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Quivittoq, una metafora sulla crisi climatica

Tra teatro e letteratura: una pièce di Flavio Stroppini genera anche un libro scritto a quattro mani con Pietro Montorfani
/ 22/04/2024
Giorgio Thoeni

Dopo il debutto e le successive due repliche, Quivittoq, lo spettacolo di Flavio Stroppini andato in scena con successo al Teatro Sociale di Bellinzona con l’interpretazione di Max Zampetti e Moira Albertalli e la regia dell’autore, ci permette qualche considerazione. Anche perché, oltre alle rappresentazioni teatrali, come vedremo, ha generato un ebook edito da Gabriele Capelli.

La storia è una metafora con cui Stroppini ha teatralizzato la crisi climatica trasformandola in una storia d’amore. Quivittoq, nella cultura inuit, identifica chi si allontana dalla comunità per non far pesare le proprie disgrazie. Ma è anche il nome del protagonista, uno svizzero che vive da eremita a bordo di una nave imprigionata fra i ghiacci di una banchisa della Groenlandia, un fiordo distante diversi chilometri dal villaggio più vicino dove ha lasciato Ane, la sua ragazza inuit, che lo vuole assolutamente raggiungere attraversando a piedi i ghiacci che sono però troppo sottili e friabili a causa del riscaldamento globale. La ragazza ci prova ugualmente ma è un suicidio. Una fine tragica che suona come allusione al destino del nostro pianeta e alle nostre responsabilità, individuali e collettive.

L’aspetto interessante di questo nuovo copione di Stroppini è il processo creativo che lo precede. L’autore, infatti, molto legato alla natura, ha lavorato a questa storia durante un’esperienza «estrema» scelta per uscire da una profonda crisi creativa: la sindrome della pagina bianca che è l’incubo di ogni scrittore. Un blocco che lo porta a sfruttare l’opportunità offerta da un’associazione che mette a concorso un soggiorno su una nave arenata fra ghiacci. Riesce così a mettere a fuoco la sua storia facendola rivivere attraverso la finzione teatrale, un processo che gli permette di concepire una narrazione diversa da una consuetudine narrativa che ormai gli va stretta.

In questo lo aiuta la tecnica appresa alla Scuola Holden alla corte di Alessandro Baricco – che sembrava persa per strada – e che consiste nel non aver paura del surreale a patto di trasformarlo in un contesto reale. Il tutto ha fatto poi un passo determinante grazie a un progetto finanziato da Pro Helvetia, il confronto fra un narratore e uno storico su come si racconta il reale. L’iniziativa ha messo Stroppini in dialogo con Pietro Montorfani e il risultato recentemente è diventato un ebook (Girando attorno ad altrove. Conversazione su realtà e finzione tra un narratore e uno storico), un testo gratuito da poco pubblicato da Gabriele Capelli editore.

Per Stroppini si è trattato di un’operazione che ha rappresentato il punto di svolta di una narrazione che voleva accostare l’esperienza artica alla realtà che aveva vissuto declinata nella storia di Quivittoq. Un confronto, insomma, che l’ha aiutato nella stesura del copione. Uno scambio, utile e opportuno, che ci offre anche alcune chiavi di lettura. «Sì, proprio lì ho avuto l’idea della storia», racconta Stroppini, «(…) una volta tornato la drammaturgia è nata senza particolari problemi. E questo è stato il mio problema. Ho inventato troppo? Ho romanzato un’esperienza reale? Posso farlo?» Domande centrali per Montorfani che risponde: «Credo proprio di sì. Hai in mano un’esperienza reale, molto vera, fatta di una banchisa reale, che hai calpestato con i tuoi piedi. E poi però, da come me la racconti, hai cercato degli appigli in categorie letterarie narrative che fai funzionare per lo spettacolo teatrale. La domanda è per forza sempre la stessa: la narrazione del reale necessita di un plot?» Sono brevi stralci di un confronto che ovviamente meriterebbe una lettura più approfondita, ci è sembrato però interessante mettere in rilievo alcune delle domande che sono al centro della scrittura di un narratore valide anche per lo storico. Per entrambi è importante trovare un appeal narrativo, un modello per conquistare il lettore. Vale per una drammaturgia teatrale e per la letteratura in generale. Rimane la domanda di fondo: a chi è destinato il mio lavoro?