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Bibliografia

Federico Maria Sardelli, Lucietta. Organista di Vivaldi, Sellerio, Palermo, 2023.


La storia di Vivaldi e Lucietta, la sua organista

Per Sellerio Federico Maria Sardelli ripercorre due esistenze raccontandole a specchio
/ 15/04/2024
Giovanni Gavazzeni

Per raccontare una storia che inizia in Calle della Pietà a Venezia, Anno del Signore 1677, il direttore d’orchestra e pittore e compositore e satirico vernacoliere e musicologo livornese Federico Maria Sardelli ha sciacquato i suoi panni toscani nell’acqua non proprio trasparente della laguna.

Sardelli ha scritto due vite parallele: quella immaginaria di una ragazza abbandonata, una putta di nome Lucietta intersecata abilmente con la vita di Vivaldi

Il primo luogo descritto è all’asciutto. Si tratta di una scafetta, un andito scavato nel muro di quella stretta calle della Pietà, dove venivano lasciati i bambini abbandonati. Sopravvivere alla scafetta era la prima stazione della selezione continua a cui venivano sottoposti i trovatelli: «Spesso mani maldestre, prese dall’agitazione del momento, forzano i piccini in quella stretta finestra di legno causandone la morte o gravi menomazioni».

Sul muro dell’Ospedale della Pietà campeggia una lapide voluta da Papa Paolo III Farnese, quello che indisse il Concilio di Trento e i romani motteggiavano, per via dei commerci della sorella col papa Borgia, come «cardinal fregnese». «Fulmina in Signor Iddio maleditioni, e scomuniche contro quelli quali mandano, ò permettano siano mandati li loro figliuoli, e figliole, in questo Hospedale della Pietà». Ma nessuno in più di un secolo gli ha dato retta – «d’altra parte non saprebbero leggerla» quella lapide: i figli abbandonati dagli analfabeti indigenti sono un esercito; alla Pietà se ne contano una media annuale che oscilla intorno al mezzo migliaio. «I maschi escono a 16 anni, le femmine restano nella casa fino al matrimonio (raro), la monacazione (rara) o, quasi sempre, per l’intera esistenza.»

Sardelli ha scritto due vite parallele: quella immaginaria di una ragazza abbandonata, una putta di nome Lucietta, che divenne provetta organista compiendo tutto il corso degli onori fino a diventare priora della Pietà, intersecata abilmente con la vita documentata di Antonio Vivaldi (nell’immagine un suo ritratto di anonimo del 1723), che prende le mosse dalla bottega-casa del padre barbiere-violinista di talento e segue i vari passaggi che conducono Antonio a ricevere gli ordini minori. Nel terzo «passaggio», il Patriarca di Venezia gli conferisce «il potere di cacciare il Diavolo da persone o luoghi, dopodiché Antonio prepara l’acqua e il sale necessari alla cerimonia di benedizione. Nonostante questi suoi nuovi poteri, il Diavolo non la smette d’insidiare casa Vivaldi: il 30 gennaio il vaiolo si porta via il fratellino Iseppo Santo di tre anni e, tre giorni dopo, la sorellina Gierolima Michiella di soli diciotto mesi». Il cammino verso l’ordinazione sacerdotale iniziato all’età di 15 anni, si concluderà 21 giorni dopo il venticinquesimo compleanno, il 23 marzo 1703.

Come Lucietta nelle sue rarissime uscite fuori dalla Pietà, gli occhi di Sardelli «scattano in tutte le direzioni come saette a scrutare, registrare, esaminare e ritenere ogni viso, ogni mercanzia, ogni interno di casa rubato da una finestra socchiusa, ogni facchino che passa, ogni gatto, ogni parrucca, ogni gondola. S’incantano passando davanti alla bottega d’un doratore, si divertono a vedere un barbiere al lavoro attorno ad un uomo colla schiuma sulla faccia, si beano del concerto sguaiato di comari che si chiamano dalla finestra, barcaioli che gridano in canale, bambini che giocano, mercanti che dall’uscio di bottega invitano i gonzi a comprare».

Alternando con godibili fantasie su basi storiche e documenti d’archivio, vivacizzando i discorsi con l’inserimento del dialetto di Goldoni per dar voci agli umili (particolarmente riuscito quando descrive l’unico soggiorno in villeggiatura di Lucietta), della lingua italiana più artificiosa ma sempre goldoniana dei nobili, Sardelli trasforma la veduta veneziana in un brulicante sciame di vitalità. È uno specchio della vita grama di quelle ragazze che diventarono gli strumenti formidabili nelle mani di Vivaldi per i «Concerti» e i servizi religiosi che offrivano regolarmente alla Pietà, diventati un’attrazione primaria per i forestieri e i nobili in visita alla capitale lagunare (nelle funzioni liturgiche la musica è protagonista, il giovane maestro di coro Vivaldi stupisce gli Inquisitori di Stato con «una sinfonia di stromenti ordinata per ogni angolo della Chjesa di tant’armonia e con tale novità d’idea che fecero supponere che tali componimenti venghino più dal Cielo che dagl’uomini»).

Lo spirito volterriano di Sardelli, di timbro schiettamente labronico, non ostacola l’empatia che induce nel lettore per la durezza della vita delle putte e l’ammirazione per le qualità musicali testimoniate nei concerti vivaldiani scritti per loro ad hoc, nonostante immerse fin dal primo vagito in un mondo spietato di regole, soperchierie, invidie, superstizioni, stenti, fame, preghiere, contrizioni, pene corporali e messe senza sosta: «Agli inizi del Settecento il solo Ospedale del Derelitti celebra 8906 messe all’anno. Alla Pietà la media è di 50 al giorno. Ogni chiesa, in antico regime, è un formidabile messificio». Dopo un ultimo incontro commosso e immaginario con la vecchia organista cieca, il Prete Rosso morirà a Vienna di febbre interna all’età di 63 anni. Per lui un funerale striminzito: sono previsti «un piccolo rintocco di campane» e sei coristi, neanche un organo. Lucietta si spegnerà sedici anni dopo alla Pietà, «inferma di anni undeci di mal di petto».