azione.ch
 


Bibliografia

Mahmud Darwish, Con la lingua dell’altro, Portatori d’acqua, Pesaro, 2024.


La traduzione letteraria come atto di resistenza

È uscita in italiano la conversazione tra il poeta palestinese Mahmud Darwish e la traduttrice israeliana Helit Yeshurun
/ 15/04/2024
Sarah Parenzo

Rientrato in Medio Oriente dopo quasi trent’anni di esilio, il poeta palestinese Mahmud Darwish (un suo «ritatto» nella foto) accetta di incontrare l’israeliana Helit Yeshurun, traduttrice ed editrice, figlia del poeta Avot Yeshurun. L’intervista, tenutasi ad Amman in lingua ebraica, apparirà per la prima volta nel maggio 1996, sul numero 12 della rivista letteraria «Hadarìm» (lett. stanze), diretta dalla stessa Yeshurun. A ridosso degli accordi di Oslo, due mondi intellettuali, quello arabo-palestinese e quello ebraico-israeliano, fanno da sfondo alla conversazione tra Darwish e Yeshurun che si snoda come un tango appassionato fatto di avvicinamenti e allontanamenti, in una continua tensione tra differenze e similitudini, tra il particolare e l’universale.

Pur incarnando la voce letteraria più autorevole della resistenza palestinese, Darwish rifugge l’identificazione assoluta con la militanza politica nelle sinistre, per rivendicare un’indipendenza radicale, politica e poetica, etica ed estetica. Se l’occupazione israeliana è sinonimo di provvisorietà, quella dell’esilio finisce per diventare una condizione esistenziale della quale è faticoso spogliarsi anche al ritorno in patria. Per sfuggire alla nostalgia e agli infausti destini, non resta allora che fissare la propria dimora all’interno della lingua e della poesia, alle quali Darwish affida il compito ideale di sostituirsi ai confini geografici che delimitano la terra contesa.

Grazie a Francesca Gorgoni, che ne ha curato l’edizione con profonda attenzione e sensibilità, l’intervista è ora disponibile anche in lingua italiana sotto il titolo Con la lingua dell’altro. Oltre a costituire una preziosa operazione estetica, come conferma il dettagliato apparato critico che arricchisce il volume, la traduzione corrisponde ad un vero e proprio atto di resistenza etico-politica esercitato all’interno delle coordinate di spazio e di tempo del conflitto israelo-palestinese.

Tradurre significa aprirsi al nuovo, al non familiare, a quello che non è immediatamente conosciuto e, così facendo, espandere la capacità di immaginare l’umano con effetti riscontrabili nel privato e nel collettivo, a partire dal cambiamento del modo di pensare. Proponendo una traduzione di Mahmood Darwish dall’ebraico, invece che dall’arabo, il traduttore sovverte la forma manifestando la volontà di percorrere sentieri non battuti che consentano di rompere gli schemi rigidi, superare le dicotomie, smussare gli angoli e introdurre fluidità nell’arena culturale e politica.

Dal canto suo, l’italiano può farsi spazio liminale dislocato dove ospitare la negoziazione tra Darwish e Yeshurun, tra palestinese e israeliano, tra arabo ed ebraico. Ma per restiture al palestinese la propria soggettività, reintegrandolo nello spazio culturale condiviso, la lingua terza deve assumere su di sé il ruolo di garante etico affrontando una coraggiosa opera di decolonizzazione. Il rischio è infatti quello di venire facilmente sedotti dall’ebraico forbito di Darwish, così come dalle affinità e simmetrie linguistiche e culturali che lui stesso sottolinea ripetutamente nel corso dell’intervista, dimenticando che l’occupato non ha scelta se non imparare la lingua e la cultura dell’occupante, mentre quest’ultimo persiste nell’ignorare «la lingua dell’altro». Solo sottoponendo il testo ad un costante vaglio critico, il traduttore potrà tenere a bada residui di violenza, dinamiche gerarchiche o orientalistiche, di emarginazione, assimilazione o cancellazione dell’altro.

La pubblicazione del presente volume coincide con una drammatica escalation di violenza nei confronti della popolazione palestinese che lascia poco spazio alla speranza di restaurare l’etica umana. Tuttavia, pur nel rispetto dei mutamenti storici intervenuti, è sempre dai testi e dalla lingua che possiamo partire, ricordando che la poetica del traduttore è in grado di aprire nuovi orizzonti al punto di ripensare la politica internazionale anticipandola.