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The Game, il gioco come possibile forma artistisca

Attraverso la sua peculiare narrazione teatrale senza attori, Trickster-p mette in scena un esercizio ludico
/ 01/04/2024
Giorgio Thoeni

È poco costruttivo e inutile continuare a chiedersi quanto rimane della formula teatrale tradizionale nella cifra stilistica della compagnia Trickster-p di Cristina Galbiati e Iljia Lungibühl.

Fin dagli esordi e dopo diverse stagioni di successo, ogni loro debutto corrisponde a una sorpresa e persiste quella curiosità quasi infantile nel vedere quale diavoleria avranno escogitato per portare avanti la loro ricerca in nome del Teatro senza abdicare alle logiche consumistiche dello spettacolo. Lo scarto continua ad essere sempre quello adottato sul piano teorico e narrativo. Un impianto che corre lungo modelli stilistici raffinati e sommersi, dove il pubblico assume un ruolo fondamentale nel sostituirsi alla struttura teatrale ricreandola attraverso considerazioni, decisioni e azioni partecipative che diventano la sostanza della rappresentazione.

È il risultato di una scelta, originale, impegnativa e coraggiosa, di voler rinunciare all’attore affidando la comunicazione, le emozioni e le sensazioni al pensiero attivo e partecipativo del pubblico. Una conquista che dai primi loro allestimenti è cresciuto dimostrando la consistenza di quel cambio di marcia. Un processo che ha portato a Eutopia nel 2022 a cui ora si è aggiunto The Game, fresco di debutto nella sala del Teatro Studio del LAC di Lugano dove si sono già esaurite le repliche.

La novità, non di poco conto, consiste nel fatto che entrambi i progetti si sono affidati alla struttura del gioco di società utilizzando dinamiche simili con obiettivi differenti. Con Eutopia la centralità si basava su princìpi di convivenza mentre con The Game vengono messi in campo i temi della sussistenza e della pratica economica.

Si confrontano sei squadre (con due o tre giocatori per squadra), massimo 18 partecipanti, in una serie di cicli animati da un sistema complesso e articolato di regole, di scelte e di situazioni create con lo scopo di sopravvivere. La cadenza viene definita dagli interventi di Cristina e Ilija, arbitri del gioco, costruttori di scenari, giudici inflessibili. I partecipanti devono immaginare di essere su un’isola, lo scacchiere del gioco, che è suddiviso in parcelle colorate: compongono il terreno della comunità che deve gestirsi in autonomia, fra acquisti e scambi, numero delle mucche, spazio per il fieno, pascoli, stalle e numero di lingotti (il denaro).

L’accostamento con il popolare Monopoly viene spontaneo. Però The Game è di ben altro stampo: i beni con cui dover fare i conti per mantenere un livello di sfruttamento naturale delle risorse sono distribuiti in partenza in misura uguale e la sfida consiste nel produrre senza soccombere alle calamità naturali (epidemie, siccità o inondazioni) ma neppure senza cedere a logiche espansionistiche eccessive e di accumulo. Oppure a decisioni poco ortodosse come il furto.

La matrice comune dei giocatori consiste nel dimostrare equilibrio ma la possibilità per raggiungerlo è tutt’altro che semplice. La natura performativa di The Game, infatti, è nella competizione e la dinamica della sua narrazione «teatrale» è quella che viene a crearsi fra i membri di ogni singolo gruppo e indirettamente anche fra gli stessi gruppi.

Tutto si svolge in una durata prevista, i ruoli nascono, crescono e possono morire. La logica è implacabile. Solo al termine la collettività viene chiamata in assemblea per decidere qual è il gruppo vincitore sulla base dei risultati, il frutto conquistato grazie appunto a equilibrio impreziosito da abilità, strategia, razionalità, visione, istinto e intuizione. Insomma un modello di workshop per aziende. Ma ecco che così il Gioco, come accade con lo spettacolo, se eseguito per interposta persona diventa uno schermo protettivo, una barriera immaginaria contro emozioni e pulsioni che rischierebbero di diventare distruttive se vissute direttamente. La finzione diventa spettacolo e gli spettatori diventano attori che vi si identificano accettando le dinamiche imposte da regole ferree. The Game non le nasconde: spesso sono spietate e crudeli ma, tutto sommato, divertenti. Gli obiettivi, non sempre espliciti, finiscono con il diventare la parte oggettiva in mano ai giocatori che vedono così crescere o diminuire i loro possedimenti.

È la forza di questo esercizio ludico con cui Trickster-p sviluppa una potenzialità narrativa (e riflessiva) che consiste soprattutto nell’offrire ai partecipanti la possibilità di trasformarsi in prigionieri volontari di una gabbia orwelliana da cui è possibile uscire a patto di accettare le regole sociali di un futuro che è dietro l’angolo e di cui tutti siamo protagonisti. Una realtà nella finzione utile per affrontare sfide quotidiane e presupposto di ogni gioco.

Alla realizzazione di The Game hanno collaborato gli artisti Maria De Silva e Yves Regenass, per il «game design» Pietro Polsinelli, Martina Mutzner come «occhio esterno», lo studio CCRZ per l’ideazione grafica, il video e l’allestimento, Zeno Gabaglio per lo spazio sonoro.

Ora inizia la tournée.