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Dove e quando

Brassaï. L’occhio di Parigi. Palazzo Reale, Milano, fino al 2.6.2024. Orari: ma-do 10.30-19.30, gio chiusura 22.30.www.palazzoreale.it


Le notti di Parigi nell’occhio vivo di Brassaï

Mostre  ◆  Le immagini iconiche del grande fotografo ungherese protagoniste a Palazzo Reale
/ 25/03/2024
Elio Schenini

In una notte d’autunno del 1930, mentre l’oscurità veniva ricacciata al di là degli ampi e maestosi boulevard dalla miriade di luci che ogni sera trasformavano Parigi in una vera e propria ville lumière – da quelle dei lampioni a gas che i lampionai accendevano ancora a mano al calar della sera a quelle delle lampadine elettriche che ormai si inerpicavano fino in cima alla Tour Eiffel – solo pochi passanti infreddoliti si accorsero del lampo prodotto dalla polvere di magnesio che bruciava in cima ad una torcia che un uomo teneva sollevata sopra la sua testa in un vicolo buio di Montmartre. Nello stesso istante in cui il bagliore biancastro del magnesio squarciava l’oscurità, rivelando una donna dal seno opulento stretto in uno striminzito maglioncino a righe ritta in piedi sul cordolo in pietra del marciapiede, l’uomo avvolto in un pesante cappotto di lana che stava a fianco di quello che reggeva la torcia premette la leva di scatto di una Voigtländer Bergheil issata su un treppiede di legno. Quell’uomo, dallo sguardo profondo e gli occhi leggermente sporgenti, si chiamava Gyula Halasz, ma di lì a poco, quando le sue fotografie cominceranno ad essere pubblicate su «Minotaure», la rivista surrealista fondata da Albert Skira e André Breton, si farà chiamare unicamente Brassaï, da Brasso, il nome del villaggio ungherese in cui era nato.

La sua aspirazione era quella di cercare di estrarre dal buio della notte le immagini di una realtà che avesse il dono di apparire mai vista

La notte parigina aveva affascinato e sedotto fin da subito questo giovane aspirante artista, che, dopo gli studi alle Accademie di belle arti di Budapest e di Berlino, nel 1924 si era trasferito nella capitale francese, dove si manteneva scrivendo reportage per giornali sportivi ungheresi e per riviste tedesche. Il suo sogno era quello di potersi dedicare alla pittura, alla scultura e al disegno, oltre che alla scrittura, lui che era figlio di un professore di letteratura francese, ma la notte parigina con il suo «aroma acre e nostalgico», con la sua umanità varia, fatta di prostitute, protettori, delinquenti, amanti, vagabondi, ballerine, omosessuali, operai, lo aveva attratto fatalmente. E così aveva iniziato a trascorrere le nottate percorrendo in lungo e in largo le rive del canale Saint-Martin, salendo e scendendo le scalinate di Montmartre per infilarsi in cabaret e bordelli, oppure soffermandosi ad osservare le coppie che si scambiavano sguardi carichi di desiderio ed effusioni nei café e nei bistrot di Montparnasse, spesso da solo, altre volte accompagnato dagli amici artisti e letterati che aveva conosciuto all’Hotel des Terrasses, dove alloggiava. Amici del calibro di Raymond Queneau, Henri Michaux, Jacques Prévert, Hans Reichel e Henry Miller.

Ma erano state alcune passeggiate per le strade di Parigi con un suo conterraneo, il fotografo ungherese André Kertész, a spingerlo definitivamente tra le braccia della fotografia, facendogli capire che più che i pennelli e le matite era l’obiettivo di un apparecchio fotografico l’unico strumento in grado di cogliere la misteriosa trasfigurazione a cui la notte sottoponeva anche la quotidianità più banale e sordida.

Da quel momento le sue peregrinazioni notturne divennero ancora più frequenti e prolungate. La sua aspirazione era quella di cercare di estrarre dal buio della notte le immagini di una realtà che avesse il dono di apparire mai vista, sconfinando così in una dimensione fantastica che non a caso i surrealisti avevano amato immediatamente. Per farlo Brassaï utilizzava strategie diverse. A volte, come nel caso dei ritratti di prostitute sui marciapiedi, scolpiva la florida plasticità del soggetto con la luce fredda e cruda del flash, altre volte, per fare in modo che la tenue luminosità ambientale facesse emergere in tutta la loro morbidezza i profili delle case e dei palazzi, le arcate massicce dei ponti, gli alberi sprofondati nella nebbia o i selciati umidi di pioggia, lasciava l’otturatore aperto per tutto il tempo necessario a fumare una Gauloise o, se il contesto era particolarmente buio e necessitava di un tempo di esposizione ancora più lungo, di una Boyard.

Il risultato di quel periodo così intenso fu un libro pubblicato nel 1932, Paris de nuit, che oltre a mostrare la notte come nessuno aveva mai fatto fino ad allora, è anche un piccolo gioiello della tipografia modernista di quegli anni, con le fotografie riprodotte al vivo, la stampa in heliogravure che riesce a dare ai neri una profondità altrimenti impensabile, la rilegatura affidata a una spirale metallica che permette di aprire completamente le pagine favorendo la visione delle immagini.

Una mostra che merita di essere vista perché composta da stampe dell’epoca, quindi prodotte direttamente da Brassaï o sotto la sua supervisione

Ma ben presto Brassaï non fu più solo il fotografo della notte, la sua collaborazione con «Minotaure» lo spinse ad affrontare anche altri soggetti. In primo luogo i ritratti di artisti e intellettuali che da quel momento divennero uno dei suoi temi preferiti e nel cui elenco compaiono i maggiori rappresentati del mondo artistico e letterario di quegli anni, da Picasso, con il quale rimase legato da una profonda amicizia e di cui fotografò tutte le sculture, a Matisse, da Braque a Giacometti, da Samuel Beckett a Jean Genet. Nei decenni successivi la sua fama di fotografo si consolidò definitivamente anche al di fuori della Francia portandolo a collaborare alla rivista americana «Harper’s Bazar» con reportage da varie parti del mondo. Tuttavia il suo lavoro continuò ad essere legato a quel mondo della strada che aveva segnato i suoi esordi, come testimonia la serie dei Graffiti, vero e proprio scavo archeologico nell’inconscio sociale, realizzata sull’arco di più di vent’anni e raccolta in volume nel 1960.

Quest’anno in cui non solo ricorrono i cent’anni dalla nascita del Surrealismo, ma anche dall’arrivo di Brassaï a Parigi, un’ampia selezione del suo lavoro fotografico, oltre ad alcuni esempi della sua produzione artistica, si possono ammirare a Milano nelle sale di Palazzo Reale, in una mostra curata da Philippe Ribeyrolles, nipote del fotografo. Una mostra che merita di essere vista anche perché composta unicamente da stampe dell’epoca, quindi prodotte direttamente da Brassaï o sotto la sua supervisione, a differenza della deprecabile abitudine, piuttosto diffusa negli ultimi anni, di mostrare il lavoro di grandi fotografi del passato utilizzando riproduzioni recenti che non rispettano i formati e le tecniche di stampa previste originariamente dal loro autore.