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Lucky Love, camaleontico e intenso
Il personaggio ◆ Il cantante francese con le sue molteplici incarnazioni artistiche è un inno spontaneo alla vita e all’inclusione
Benedicta Froelich
Soprattutto in un’epoca «ad alto voltaggio mediatico» come quella attuale, non è raro imbattersi in personaggi pubblici che devono la loro fama al fatto di essere perfetti rappresentanti delle contraddizioni e dei dibattiti del loro tempo – riuscendo nella non facile impresa di impersonare alla perfezione un determinato momento storico, del quale sono dichiaratamente e orgogliosamente figli. Si può dire che a questa ristretta e privilegiata categoria appartenga di diritto anche un personaggio per molti versi eccezionale quale Lucky Love – all’anagrafe Luc Bruyère (classe 1993, originario di Lille), il quale, fin dalla prima giovinezza, è sembrato intenzionato ad abbattere tutte le barriere imposte dagli stereotipi sociali per abbracciare ogni forma d’arte ed espressione personale.
Lucky Love è una figura talmente poliedrica da costituire un caso pressoché unico
Ecco quindi che, nonostante Luc abbia dovuto, fin dalla nascita, adattarsi all’assenza del braccio sinistro (sviluppatosi solo in minima parte a causa di una patologia nota come agenesia congenita), ciò non gli ha in alcun modo impedito di seguire tutti i propri sogni e le proprie ambizioni, dedicandosi dapprima alla danza – tra cui la pole dance – per poi debuttare come attore teatrale e cinematografico; nel mezzo, perfino una nuova identità nei panni di drag queen nel cabaret parigino di Madame Arthur. Nemmeno la diagnosi di sieropositività – ricevuta ad appena diciannove anni, dopo un periodo di grave dipendenza da droghe – ha potuto rallentare la sua corsa al successo, né, tantomeno, la sua fame di vita: «È stato come se avessi infine capito di essere vivo… mi è piaciuto». Felicemente sposato con il produttore cinematografico australiano Adam Munnings, Luc ha infatti deciso proprio insieme al marito di assumere il cognome «Love»: più che un nom de plume, un omaggio alla serenità che la vita coniugale ha portato a entrambi.
Appare quindi evidente come Lucky Love sia una figura talmente poliedrica da costituire un caso pressoché unico; figlio dei moderni social network, si presenta infatti al pubblico come ben più che un semplice cantante o entertainer, collocandosi a cavallo tra l’influencer e lo showman, aperto ai più molteplici eventi di pop culture – come avvenuto qualche tempo fa alla Fashion Week milanese, nell’ambito della quale ha funto da colonna sonora per il defilé di Gucci; nulla di nuovo per chi, tra le sue molte esperienze, può annoverare anche quelle di modello per «Vogue International» e testimonial per firme del calibro di Yves Saint Laurent e Philosophy, tramite le quali ha contribuito a promuovere la presenza in passerella di corpi «diversi» dal consueto. Forse è proprio quest’iperattivismo sfrenato a spingere alcuni a definirlo il «Freddie Mercury dei nostri giorni», sebbene la sua incarnazione come musicista sia la più recente, avendo Luc esordito appena l’anno scorso con l’EP Tendresse; in effetti, la musica sembra rappresentare per Love un veicolo tramite il quale esprimere messaggi di forte rilevanza, come dimostrato dal suo maggiore successo, la hit Masculinity – una poco velata accusa non solo nei riguardi del cosiddetto patriarcato, ma anche di una percezione del ruolo maschile ormai obsoleta e perfino tossica. La rabbia di cui le liriche sono intrise tradisce così la presa di coscienza che Love vuole condividere con il suo pubblico: non un semplice inno alla queerness e alla convivenza pacifica tra differenti identità di genere («alla fine siamo tutti umani», come egli stesso ha affermato), ma anche un messaggio di tolleranza verso differenti sensibilità e tendenze – unito al desiderio mai del tutto celato di stupire e, perché no, divertirsi nel farlo («esibirmi come donna è ciò che mi ha davvero reso un uomo»).
«Rinascere di continuo potrebbe essere un modo d’ingannare la morte, motivo per cui io devo costantemente mutare»
E se Lucky Love sembra, di fatto, avere tutte le carte in regola per diventare una vera e propria «sensazione del momento» e incarnare molti tra gli argomenti «caldi» dibattuti dalla nostra società – coniugando, tra le altre cose, disabilità e gender, queerness e inclusione, e condendoli con una sana dose di controversia – si potrebbe dire che in verità, dietro al personaggio, ci sia ben più del semplice desiderio di scandalizzare (o quantomeno infastidire) i più reazionari. Se la fluidità di genere permette a Love di rifuggire da ruoli identitari tradizionali o stereotipati, allo stesso tempo egli sembra infatti emanare soprattutto una grandissima vitalità – quella che Iggy Pop avrebbe definito «lust for life», derivante da una notevole forza d’animo e sicurezza di sé. Tutte doti che gli permettono di vivere la propria diversità in modo emancipato e disinvolto, al punto da essere già stato soggetto di un documentario – Lucky, di Loren Denis e Anthony Vibert – che dissipa almeno in parte il velo di mistero intorno all’artista (si veda, ad esempio, l’analisi del rapporto conflittuale con la figura paterna), dando finalmente un senso all’alto coefficiente scandalistico di una vita già fin troppo spericolata. Del resto, poter vantare, in soli trent’anni, una quantità di esperienze pari a un’intera esistenza non fa che rendere ancor più affascinante la figura di Luc, il quale continua ad esplorare nuovi stimoli artistici come nel caso del suo nuovo progetto musicale (Lucky Love + the Gospel), che, come il nome stesso suggerisce, è volto a conferire un sapore più soul e gospel ai propri brani. E dato il ritmo vertiginoso con cui Love conduce la sua attività, ci si può solo interrogare su dove la prossima avventura lo condurrà.
E se è vero che, come detto, proprio in questo instancabile entusiasmo sta il vero punto di forza di Lucky Love, ne consegue che a rendere tanto significativa la parabola ascendente della sua carriera è soprattutto un unico, fondamentale dettaglio: il fatto che, nella sua esperienza di vita, Luc abbia dimostrato come sia possibile, se solo lo si desidera, spingersi ben oltre i limiti di quanto tradizionalmente considerato come fattibile o accettabile – a dimostrare come un essere umano a tutto tondo non sia in alcun modo riconducibile a una qualsivoglia definizione o classificazione. Nelle parole dello stesso Love, «rinascere di continuo potrebbe essere un modo d’ingannare la morte, motivo per cui io devo costantemente mutare». Poiché ciò non vale soltanto in campo artistico, ma anche e soprattutto in termini esistenziali, chiunque può riconoscersi in un simile desiderio di emancipazione; e, magari, trovare infine il coraggio di innalzarsi oltre quanto ritiene essere «alla propria portata» per avventurarsi in terreni meno noti e tentare ciò che davvero desidera.