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Quando la pasta cresceva sugli alberi

Il Ticino nel cybermondo – 5 ◆ Che cosa accomuna un ristorante italiano sulla Brighton Road londinese al comune di Morcote?La soluzione sta nel nome stesso del ristorante, Spaghetti Tree, memore del leggendario albero degli spaghetti, una fake news della BBC
/ 18/03/2024
Alceo Crivelli

La vicenda è nota a tutti: correva l’anno 1957 quando nel Regno Unito – potere persuasivo della televisione! – sedotte dal breve documentario messo in onda il 1 aprile dalla BBC The Swiss Spaghetti Harvest in cui una famiglia di coltivatori ticinesi di Morcote era intenta nella raccolta degli spaghetti, centinaia di persone si predisponevano alla coltivazione domestica della pasta, subissando di chiamate i centralini telefonici dell’emittente televisiva in cerca di ragguagli per la semina dell’esotico vegetale. Esotico poiché all’epoca la pasta non era un alimento granché diffuso in Inghilterra, perlopiù venduta nei supermercati in forma di piatto pronto precotto. Tantomeno conosciuti erano i suoi metodi di produzione. Pertanto, per molti la natura umoristica dell’ormai storica bufala non appariva affatto scontata.

Per questo, imbattendomi un po’ casualmente nella fotografia dello Spaghetti Tree, oltre all’ovvio e simpatico – e, mi pare, commercialmente valido – richiamo al famoso episodio, mi colpisce l’ironia di secondo grado scaturita dalla circostanza: proprio nelle strade di Londra, sede principale della BBC e luogo d’ideazione della burla; proprio nel luogo in cui maggiormente, scommettendo sull’ignoranza in materia, la beffa era attecchita esponendo i raggirati al pubblico – universale – ludibrio; proprio qui, un ristorante italiano, battezzato in omaggio all’albero pastaio, dagli anni 80 contribuisce a diffondere e a far conoscere la cultura gastronomica mediterranea in Inghilterra.

Ciò detto, un dubbio persiste. Perché Morcote? O meglio, trattandosi di spaghetti (scusate il cliché): perché il Ticino e non l’Italia? Una possibile risposta – ipotetica – è insita nel commento al reportage fornito dalla voce narrante, la quale, alludendo al patrimonio culinario comune a Nord Italia e Svizzera italiana, riferisce come, mentre le regioni della Pianura Padana ospitino sterminate e intensive piantagioni di spaghetti, in Ticino questo tipo di coltura sia praticato perlopiù in piccole realtà di natura familiare. Aggiunge, l’inaffidabile narratore, che gli spettatori potrebbero forse aver visto qualche fotografia delle smisurate coltivazioni in territorio italiano, guardandosi però bene dal mostrarne le immagini al pubblico. E proprio qui – verosimilmente – sta il punto della questione. Considerando, infatti, le numerose difficoltà incontrate nell’allestimento delle poche «piante della pasta» impiegate nel cortometraggio – il racconto di queste traversie è reperibile un po’ ovunque in rete –, il budget a disposizione – presumibilmente commisurato alla realizzazione di un servizio televisivo di 3 minuti – e l’epoca interessata – gli anni 50 – sembra inimmaginabile che la troupe potesse produrre immagini documentaristiche credibili di sconfinate distese di campi di spaghetti con tanto di raccoglitori al lavoro.

La scelta, dunque, di inscenare una realtà più circoscritta come quella ticinese – oltre ad avvalorare in qualche modo agli occhi dello spettatore anche la plausibilità dell’esistenza di un suo corrispettivo su più larga scala – permise agli artefici del pesce d’aprile l’impiego di mezzi limitati. In breve: minimo sforzo, massima resa.