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Dove e quando

Wolfgang Laib. Buchmann Galerie, Lugano. Fino al 27 aprile 2024.

Orari: da ma a ve 13.00-18.00, sabato su appuntamento.

www.buchmanngalerie.com


L’universo in un chicco di riso

Mostre: Buchmann Galerie di Lugano ospita una mostra dell’artista tedesco Wolfgang Laib
/ 18/03/2024
Alessia Brughera

Lo hanno chiamato mistico, filosofo, ma ogni definizione sembra stare stretta a Wolfgang Laib. Forse persino quella di artista può apparire non pienamente appropriata dal momento che è lui stesso a precisare di sentirsi più un «tramite» che un «creatore», uno strumento attraverso cui la natura parla all’uomo.

D’altra parte il pensiero che sta alla base dell’opera di Laib è piuttosto complesso, improntato com’è a coniugare una profonda conoscenza delle civiltà e delle religioni orientali con la riflessione sulle radici del patrimonio culturale dell’Occidente, alla ricerca di un’armonia tra impulsi dell’anima e razionalità.

Cresciuto in un ambiente colto e abituato sin da piccolo a viaggiare in Oriente, Laib, nato nel 1950 in Germania, dove ancora vive alternando alla sua permanenza nel sud del Paese lunghi soggiorni in India e a New York, ha indicato una sorta di via alternativa dell’arte. Una direzione capace di rinnovare i canoni della contemporaneità permeandoli di una poetica che stimola prima di tutto le sensazioni. Le sue opere difatti evocano l’aspetto incontaminato dell’esistenza inneggiando all’equilibrio e alla purezza che governano il mondo: essenziali e simboliche, ci parlano del desiderio di catarsi, dell’aspirazione alla rinascita e di quella seduzione ancestrale del creato che porta l’uomo a meditare sulla sua potenza e insieme sulla sua vulnerabilità, spingendolo a divenirne un fidato custode.

Con i suoi lavori Laib ambisce a suscitare la medesima impressione di bellezza primigenia che emerge dalla percezione dell’universo, facendosi portatore di una visione che si distanzia dall’antropocentrismo a favore invece di una vicinanza umile e rispettosa alla realtà che ci circonda. Per fare questo l’artista utilizza forme ed elementi semplici, primari, ascetici, che bene racchiudono l’autenticità e la radicalità del suo messaggio. Laib si affida così ad archetipi figurativi rielaborati in chiave metaforica conferendo loro un significato ancor più pregnante tramite l’impiego di materiali di provenienza naturale.

Sono materiali, questi, che Laib trova e raccoglie nella campagna tedesca vicina alla sua dimora, una natura ancora in parte incontaminata che lo ispira e con cui vive in simbiosi, attenendosi alle sue regole e seguendone ossequiosamente i ritmi. È qui che sin dagli anni Settanta l’artista, dopo aver terminato gli studi di medicina e aver deciso di abbandonare questa disciplina poiché ritenuta limitante per la sua attitudine a esplorare l’interiorità, trascorre le sue giornate in dialogo con il creato, individuando quei frammenti del reale, particelle di un tutto, che portano con sé il principio delle cose, l’afflato primordiale della vita, il legame tra effimero ed eterno.

Sono i pollini di nocciolo, di tarassaco, di pino e di ontano, raccolti da Laib con puntualità ogni primavera, oppure la cera d’api, o ancora il riso e il latte: sostanze vive che partecipano del processo di nascita, di crescita e di morte e che rimandano all’idea di nutrimento e di stupore propri del mondo naturale, di cui restituiscono in forma visiva e simbolica il senso panico. Laib non ha la presunzione di attribuire a questi elementi un nuovo valore, si limita a riproporli al nostro sguardo per sottolinearne la bellezza e la caducità e per farne una forma di sostentamento per l’anima. Nelle sue mani la materia non viene trasformata ma solo utilizzata in modo differente affinché possa esprimere la propria energia.

Dedicatosi all’arte perché «essa è pronta a includere ogni cosa», Laib si avvicina alle intenzioni della Land Art e ai principi del Minimalismo, mescolando sintesi formale e intensità emotiva. Importante per lui è sempre stata poi la figura di Joseph Beuys, che ha incontrato numerose volte negli anni Ottanta e a cui si sente affine sia per la propensione all’uso di certi materiali con cui dar vita alle opere sia per la concezione della creazione artistica come vocazione etica e come strumento di rigenerazione del mondo.

I lavori di Laib sono frutto di una lunga meditazione e di una meticolosa preparazione degli elementi, costituita da una serie di gesti lenti e accurati che intessono uno stretto rapporto con la natura: raccogliere, filtrare, versare, plasmare… I preliminari per approntare il materiale diventano così una sorta di cerimoniale quotidiano che coinvolge la mente e il fisico dell’artista. Sono rituali finalizzati non soltanto a dare concretezza alle opere ma anche a incarnare la loro vera essenza, il significato profondo che racchiudono. Per questo le creazioni che prendono vita appaiono al nostro sguardo nella loro immediatezza e semplicità, richiedendoci una fruizione quieta e silenziosa, quasi contemplativa, in accordo con i ritmi pacati e pazienti con cui sono state realizzate.

È ciò che accade entrando nello spazio espositivo della Buchmann Galerie di Lugano, dove si dispiegano sotto i nostri occhi alcuni lavori di Laib rappresentativi del suo percorso artistico. Le opere radunate in mostra ci accolgono nella loro essenzialità disarmante, metafore di una visione elementare e atavica del mondo che rifugge l’individualismo e la mera contingenza, aprendosi invece a una spiritualità universale.

In rassegna troviamo una selezione di Reishäuser, manufatti particolarmente significativi nella produzione dell’artista tedesco. Si tratta di piccole strutture che richiamano la forma di una casa, dalla sagoma stilizzata, attorno alla cui base Laib ha meticolosamente disposto alcuni mucchietti di chicchi di riso, quasi a costituirne le fondamenta. Le due Reishäuser presenti a Lugano sono realizzate una in marmo bianco l’altra con lastre di argento (quest’ultimo è un lavoro storico dell’artista esposto anche alla Galerie Beyeler a Basilea) e ci appaiono come costruzioni arcaiche in miniatura che sembrano appartenere a un’epoca lontana e a una terra arcana. L’abitazione, intesa come luogo intimo in cui l’uomo si sente sicuro e protetto, viene accostata a un elemento che allude alla fecondità e al nutrimento del corpo e dell’anima.

Ci sono poi opere plasmate con la cera d’api, utilizzata purissima, materiale molto caro a Laib per la sua duttilità, per l’intrinseca luminosità nonché per la sua valenza altamente simbolica. Anche questi lavori, capaci di diffondere nell’ambiente una calda fragranza che stimola con delicatezza i nostri sensi, testimoniano l’affidarsi dell’artista a un vocabolario formale minimalista composto di motivi archetipici.

A corredo di queste sculture sono presenti in mostra alcune opere su carta, delicate composizioni in cui ritornano immagini emblematiche dell’universo di Laib, come le fiammelle, ad esempio, a rappresentare il fuoco che distrugge, che incenerisce, ma che, allo stesso tempo, porta con sé un’idea di resurrezione; i serpenti, che spesso assumono la forma di un coltello, a incarnare la trasformazione che precede un nuovo inizio; le barche, allegorie di un viaggio spirituale tra il conosciuto e lo sconosciuto, di un passaggio da una realtà tangibile a una dimensione emotiva, mistica.

Laib crede fermamente nel potere trascendentale dell’arte e nella sua capacità di curare ed elevare l’essere umano riconnettendolo alla bellezza primordiale del creato. Nei suoi lavori ci sembra di avvertire l’eco, lontana ma chiara, della sensibilità del Romanticismo tedesco che fa dell’arte lo strumento privilegiato per attingere alle profondità originarie della vita, una sorta di porta aurorale che conduce all’infinito.