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Un pericoloso sodalizio femminile

Per la prima volta Netflix coproduce un lungometraggio svizzero: il thriller Early Birds di Michael Steiner è ora in streaming
/ 11/03/2024
Simona Sala

Quanto Michael Steiner ami il suo lavoro appare chiaro sin dalle prime scene del suo nuovo film, Early Birds, ma anche retrospettivamente, guardando alla sua opera che, spaziando tra alti e bassi, lo vede inoltrarsi senza tregua in argomenti nuovi. Lo sfondo però, quella scenografia su cui si muovono i personaggi più diversi, pur cambiando di film in film, rimane lo stesso, essendo di fatto un leitmotiv che, discreto ma saldamente presente, accompagna il regista in ogni sua idea. Stiamo parlando della Svizzera. La continua ricerca di Steiner di rappresentare il Paese al di là dei suoi cliché (che da noi abbondano, a partire dal paesaggio bucolico che fa impazzire i turisti fino al mito ormai traballante dei soldi), lo ha portato fra le altre cose a narrare la vicenda della fine della compagnia aerea nazionale Swissair (Grounding, 2006), una scabrosa leggenda alpina in cui una bambola-fantoccio realizzata da alcuni contadini per contrastare la solitudine si trasforma in una creatura demoniaca (Sennentunschi, 2010), le peripezie amorose tragicomiche del giovane ebreo ortodosso zurighese Wolkenbruch da un romanzo di Thomas Meyer (Non tutte le sciagure vengono dal cielo, 2018) o le avventure di Eugen e dei suoi giovani amici, dal romanzo del 1955 di Klaus Hägelin (Il mio nome è Eugen, 2005).

Nella carriera del regista di Rapperswil, personaggio a tratti sfuggente ma con delle intuizioni e un fiuto interessanti, non vi sono comunque stati solo successi e un percorso in discesa: a momenti di gloria cinematografica, come la doppia apertura dello Zurich Film Festival, o le quattro pellicole dirette da lui fra i film più visti di sempre nel nostro Paese, se ne sono alternati altri di incertezza, come quando durante la realizzazione di Sennentunschi la sua casa di produzione fallì o quando la critica fece a pezzi l’horror Il massacro delle Miss (2012).

Ora però sembra essere tornato il momento di Steiner: dopo l’ammissione nel 2019 sulla piattaforma Netflix di Non tutte le sciagure vengono dal cielo, con l’apertura di fatto del film a un pubblico internazionale, la stessa piattaforma di streaming ha deciso di co-produrre (ed è la prima volta che accade per un film elvetico) il thriller Early Birds, presentato allo ZFF lo scorso autunno e dalla settimana scorsa disponibile online.

Anche in Early Birds siamo in Svizzera – come poteva essere altrimenti – e ce lo dicono la Langstrasse e il Prime Tower ripresi a volo d’uccello (fanno miracoli, al cinema, i droni, restituendoci nuove skyline abissali) così come le montagne scarsamente spruzzate di neve, ma lo capiamo anche dalla fermata gialla dell’autopostale e dalle divise della polizia di Zurigo. Il sole non splende mai, quando non è buio le luci sono rarefatte. Si crea così una serie di atmosfere, fatte di interni cupi e vagamente ostili, nel segno del più totale anonimato sociale, che sembrano proiettare la storia in una sorta di no man’s land, dove protagoniste di una vicenda al cardiopalma sono Annika e Caro, due giovani donne dal passato non proprio limpido (la tedesca Nilam Farooq e la basilese Silvana Synovia, entrambe notevoli) che si ritrovano all’improvviso nel mezzo di una brutta storia di droga e omicidio.

Set della strage iniziale che dà il la alla vicenda è un appartamento della Langstrasse, un tempo capitale indiscussa della movida d’Oltre Gottardo e oggi in crisi, che qui però, grazie a Steiner assume un’impalpabile vivacità nuova. Le due donne sono inseguite, perché hanno con sé il malloppo rimasto per terra dopo la strage di cui sopra, e se da una parte a cercarle vi sono due poliziotti – un Anatole Taubman, Elvis di Quantum of Solace, forse un po’ troppo sopra le righe e un Dimitri Stapfer sottotono – dall’altra vi è una gang fin troppo strutturata a mo’ di stereotipo.

Convince per contro la fuga delle due donne, Thelma e Louise in chiave minore, che non disdegnano salti da balconi e finestre, corse lungo tetti che ricordano Parigi, e stordimenti continui per dimenticare una vita che è sempre stata un fardello insopportabile, nel segno di una «sorellanza» che sembrava tanto improbabile all’inizio quanto appare autentica e necessaria alla fine del film.

Il ritmo è serrato e i colpi di scena spesso non sono scontati, con qua e là qualche concessione a una composizione dell’immagine che da lontano sembra fare il verso a Tarantino. Ma in fondo non è grave, perché con l’ironia necessaria (che qui non manca) anche «fare il verso» può trasformarsi in un modus operandi, in una citazione che è anche un omaggio, come ha dimostrato in questi tempi il caso della serie TV Tschugger. La fortunata idea della serie di David Constantin e Mats Frey giunta alla terza stagione (si trova in parte su Play Suisse) si muove anch’essa in un paesaggio straniante simile a quello ricreato da Michael Steiner, anche se in questo caso siamo in Vallese, per raccontare una storia surreale che a più riprese sfora nell’assurdo, in tutto questo facendo il verso, negli abiti, nei dialoghi, all’ironia di Wes Anderson o allo stile dei fratelli Cohen.

Un esordio non indimenticabile ma dignitoso, quello del cinema svizzero come partner di Netflix, ma dalla valenza imponderabile, se è vero che non esista vetrina migliore e immediata di quella che porta film e Paesi all’interno delle case della gente, ovunque e in ogni momento.