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I cento anni di Enzo Sellerio

Nato il 25 febbraio 1924 si definiva uno «scrittore per immagini»
/ 04/03/2024
Paolo Di Stefano

C’era molta Sicilia, un po’ di America e una madre russa nella vita di Enzo Sellerio, di cui quest’anno la sua Palermo celebra il centenario della nascita con diverse mostre. E c’era anche la Svizzera, perché fu la rivista zurighese «Du» a pubblicare il suo primo reportage fotografico, proiettandone sulla scena internazionale il genio realistico e visionario: era il 1961 e si trattava di un viaggio nei quartieri del capoluogo siculo, ancora feriti dalla guerra oltre che perennemente dilaniati dalle differenze sociali, tra povertà e residui nobiliari. Sellerio era arrivato alla fotografia non precocemente: si era laureato in giurisprudenza appena ventenne e aveva intrapreso una carriera universitaria, quando nel 1952 fu folgorato dalla passione per la Rolleiflex trovando immediata ospitalità, oltre che su fogli locali, sul «Mondo» di Mario Pannunzio, il meglio del giornalismo liberal dell’epoca.

Ferrero, che ne fa un meraviglioso ritratto in Album di famiglia, descrive Enzo come l’Incarnazione dello Stile: e non si può dargli torto se si pensa alle copertine della casa editrice palermitana

Riservato, forse timido, di indomita, ironica fierezza e con un aspetto dadà (così lo descrive l’amico Ernesto Ferrero); classe 1924, quasi coetaneo di un altro maestro concittadino, Nicola Scafidi, Sellerio anticipa di una decina d’anni altri grandi fotoreporter siculi, d’arte e di denuncia: Letizia Battaglia, Ferdinando Scianna, Giuseppe Leone.

Ecco, con le sue parole, il credo artistico di Sellerio, che si voleva «scrittore per immagini»: «come nell’arte militare la fanteria è definita la regina delle battaglie, nella sub-arte fotografica (lo dico senza falsa umiltà) il primato spetta senza alcun dubbio al reportage, anche a quello minimalista, a cui mi sono dedicato per circa un quarto dí secolo». Non è dunque un caso se nel 1955 accompagna con otto fotografie l’inchiesta del sociologo triestino Danilo Dolci sui «banditi» a Partinico, il centro agricolo siciliano in cui il maestro della non-violenza aveva creato una comunità chiamandola «Borgo di Dio» e compiendo con i braccianti una incisiva attività civile e politica talmente avversata dal potere democristiana da procurargli l’arresto.

Le immagini di Sellerio (una madre che tiene tra le braccia un bambino rachitico, una schiera di ragazzini per strada durante il Carnevale, un calzolaio all’aperto sotto un grande manifesto del Partito Monarchico, un circolo di lavoratori comunisti…) rimasero escluse, per motivi tipografico-economici, dalla prima edizione del libro. Vennero poi recuperate dal critico Guido Aristarco in uno dei Fotodocumentari della rivista «Cinema nuovo». La «poetica» del racconto sociale di Sellerio è inconfondibile, e la troviamo ben rappresentata in Inventario siciliano, un volume del 1969 che testimonia le sue due passioni affini e convergenti: la gente (il popolo) e la scena teatrale. Ciò che colpisce però sono gli scorci straordinari di vita quotidiana, tra cui spicca, memorabile, un cortile di pietra, nel quartiere della Kalsa, in cui un gruppo di bambini maschi, schierato a mo’ di plotoncino d’esecuzione con tanto di pistole puntate, finge di sparare a un compagno che, contro un muro, aspetta il colpo di grazia: a distanza alcune ragazzine osservano la scena sedute sui gradini di una chiesa. C’è tutto: la finzione giocosa, l’immaginario dell’infanzia figlia dei ciechi tempi, la separatezza dei sessi, il teatro degli slarghi palermitani, il mondo diruto del dopoguerra e soprattutto il tempo sospeso che diventa eterno nella memoria. «Avrei mai fotografato una fucilazione vera? – si chiese Sellerio – Non credo proprio. Registrai quella scena perché era soltanto un gioco. E il gioco è quella forma in cui, più di ogni altra, la vita dovrebbe essere vissuta: per questo avevo scelto la fotografia». Solo osservando capolavori del genere si può capire il ragionamento insieme tecnico e filosofico di Sellerio: «In quel brevissimo tempo, premendo un pulsante, il fotografo lega il passato al presente e fa coincidere in un telemetro interiore quello che sa con quello che vede».

Intanto, nel 1963 Sellerio ha sposato Elvira Giorgianni, figlia di un prefetto e funzionaria all’Ente regionale della Riforma Agraria. Qualcuno ancora oggi dice che erano la coppia più bella di Palermo, e probabilmente è vero. L’esperienza da freelance negli Stati Uniti, collaboratore di «Vogue» e di «Fortune», aumenta l’alone cosmopolita di Enzo. Ma si avvicina la svolta, ovvero il passaggio dalla fotografia (mai abbandonata in realtà) all’editoria e alla grafica. Nel 1969, donna Elvira decide di investire la sua liquidazione nei libri, chiama in aiuto l’antropologo Antonino Buttitta e soprattutto Leonardo Sciascia, e nasce la casa editrice Sellerio. Ferrero, che ne fa un meraviglioso ritratto in Album di famiglia, descrive Enzo come l’Incarnazione dello Stile: e non si può dargli torto se si pensa alle copertine della casa editrice palermitana. La bellezza sublime della collana «La civiltà perfezionata», l’incisione impressa sulla copertina avorio, la carta velina e le pagine intonse sembravano inadatte a un titolo come L’affaire Moro, il pamphlet politico di Sciascia: ma il successo fu immediato e sconvolgente. «La memoria» è la collana pensata da Sciascia, disegnata da Enzo e costruita mattone su mattone da donna Elvira: sono il formato tascabile (12x17) e il colore blu delle copertine a colpire gli editori stranieri quando quei libretti approdano per la prima volta alla Buchmesse di Francoforte. Il raffinatissimo editore tedesco Klaus Wagenbach stravedeva per quel blu notte che incornicia un’opera pittorica, per la carta vergata che piace ai bibliofili. Eleganza in trentaduesimo.

Nel 1983 la casa editrice, ormai consacrata anche dal successo inatteso di Gasualdo Bufalino, si sdoppia: da una parte la produzione di libri d’arte in edizione limitata, curata da Enzo Sellerio; dall’altra la narrativa e la saggistica guidate da donna Elvira e da Sciascia. La coppia più bella di Palermo si avvia al divorzio, ma lo studio di Enzo rimane nell’appartamento di fronte alla casa editrice in via Siracusa 50, che diventerà via Elvira e Enzo Sellerio dopo la loro morte, avvenuta a due anni di distanza, nel 2010 e nel 2012. Non avevano mai smesso di parlarsi e, probabilmente, si parlano ancora.