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E se usassimo il timer?

Secondo Balbi «ci sono forme di comunicazione che funzionano perché gli interlocutori si capiscono bene. Ma è vero che in un momento in cui si moltiplicano i soggetti che comunicano – ad esempio coi social – aumenta la quantità di comunicazione che circola anche a livello privato, e questo può creare sempre più malintesi e problemi. Soluzioni non ce ne sono, o meglio, bisogna sapersi adattare a tutte le situazioni elencate. Dobbiamo da un lato adeguarci al mondo comunicativo e dall’altro adeguare a noi la comunicazione. Per esempio: sono stufo di passare ore sui social? Allora li adatto a me e metto un timer perché si spengano dopo un po’. Si tratta, quindi, per ognuno di noi di trovare una propria ricetta personale».


Tantissima informazione, pochissima attenzione

Che cosa crea i malintesi e i cattivi funzionamenti nella comunicazione? Parla il saggista Gabriele Balbi
/ 26/02/2024
Carlo Silini

Esiste una comunicazione perfetta? No. La risposta di Gabriele Balbi, professore in media Studies presso l’istituto di Media e Giornalismo (IMeG) all’interno della facoltà di Comunicazione, Cultura e società dell’USI di Lugano, è secca e convinta. Ne fa stato anche il suo ultimo libro, Comunicazione imperfetta, scritto a quattro mani con Peppino Ortoleva. Balbi è autore di parecchi saggi sul mondo dell’informazione contemporanea e sui suoi aspetti più controversi e nascosti. Ad esempio sulle insidie e sulla mitizzazione del mondo digitale. In questo saggio, invece, propone una teoria della comunicazione alternativa a quelle tradizionali. Che parte da una constatazione inquietante: «Gli effetti della troppo o della troppo scarsa comunicazione sono gli stessi: l’invenzione del falso».

Professor Balbi, di cosa parlate nel vostro saggio?
Ci sono teorie che sostengono che se vuoi influire sulla comunicazione devi centrare il bersaglio, e questa è una delle metafore più comuni per chi fa comunicazione. Oppure, all’opposto, altre teorie dicono che un essere umano non può mai comunicare bene perché c’è una incomunicabilità di fondo; quindi, le persone non possono capirsi a prescindere.
Noi ci siamo detti: facciamo un libro che contrasti sia un’idea sia l’altra, cercando di costruire quella che abbiamo chiamata mappa con quattro regioni, identificate da altrettante domande: che cosa crea il malinteso? Che cos’è il malfunzionamento? Perché sovrabbondanza e scarsità di informazione creano dei problemi? Perché il silenzio è problematico, o multi-semantico?

La comunicazione è la chiave del successo politico, in particolare quando ricorre a schemi di narrazione molto semplificati ma efficaci, magari perché martellano in continuazione gli stessi slogan. Sarebbe questa la comunicazione perfetta?
Direi di no. Noi parliamo di comunicazione politica da vari punti di vista. La domanda ha a che fare con sovrabbondanza e scarsità.

Ovvero?
Una delle tecniche per tentare di limitare il grande sovraccarico informativo di oggi è quello di semplificare la comunicazione. Con il problema che così la si rende anche semplicistica. Anche perché in genere vi è una polarizzazione. Le piattaforme social sono spesso fatte per polarizzare con i loro «like», per esempio. Poi c’è il problema della scarsità dell’attenzione.

A cosa si riferisce?
Mi riferisco al fatto che viviamo in un contesto in cui la merce ormai non è più l’informazione di per sé, visto che ce n’è fin troppa, ma l’attenzione all’informazione. C’è un enorme squilibrio tra la quantità delle notizie e l’attenzione del pubblico. Questo implica una comunicazione sempre più semplice.

Come si fa, allora, in ambito politico a catturare l’attenzione del pubblico?
Una delle prime cose che fanno i regimi durante i colpi di stato è ridurre l’informazione, per esempio oscurando internet. Significa che il politico può volontariamente impedire alla comunicazione di funzionare bene.

Si chiama censura.
Senza dubbio. Si censurano alcuni elementi, ma attenzione: sia nel bene sia nel male. Per esempio, chi si opporrebbe alla censura della pedopornografia? Eppure, a rigore, è una tecnica di limitazione dell’informazione libera. Esistono anche dei silenzi, sui segreti di Stato per esempio. Allora ci si trova come davanti a un muro di gomma, e Muro di gomma era il titolo del film su Ustica di qualche anno fa. Parlava di un ostinato silenzio politico. In altre parole, per tornare alla domanda, la comunicazione politica utilizza moltissimo l’imperfezione comunicativa, cerca di applicarla volontariamente. E quindi, più che essere perfetta, sfrutta le sue pecche a proprio vantaggio.

Anche nelle fake news che a volte vengono diffuse proprio da ambienti politici?
Una delle cose più interessanti che dice lo studioso Marc Bloch ne La guerra e le false notizie. Ricordi (1914-1915) e riflessioni (1921) è che uno degli effetti principali di un ambiente con scarsa informazione è la creazione di nuove informazioni. Oggi sembrerebbe vero il contrario. Siamo in un ambiente stracarico di informazioni. Vuol dire che gli effetti della troppo o della troppo scarsa comunicazione sono gli stessi: l’invenzione del falso. Forse però, dal punto di vista pratico, l’effetto più dirompente delle fake news sono i malintesi sociali.

Cioè?
Pensiamo alla notizia uscita nei giorni turbolenti della fine del Governo Trump: nel retro di una pizzeria americana, Hillary Clinton – con una sua setta di pedofili – controlla i destini degli Stati Uniti. È una fake news totale, che però spinge un individuo a introdursi sul retro di questa pizzeria, dove viene uccisa realmente una persona. Individuo che immagina di trovarsi nella pizzeria perché crede sia una notizia vera. Vero che si può parlare di una persona psicologicamente disturbata, ma resta che la creazione di notizie false crea pericolosi malintesi sociali. Che si verificano anche per burla.

Per esempio?
Per esempio, negli anni Sessanta, la BBC ha messo in giro un servizio farlocco che è uscito il primo di aprile. Secondo questa bufala a Lugano, in questa landa assolata al sud della Svizzera, c’erano persone che coltivavano alberi da spaghetti e li mostrano nel servizio. Era uno scherzo, come quello della guerra dei mondi di Orson Welles, ma per un certo tempo ha avuto il suo effetto. Dal punto di vista comunicativo questo più che una fake news è un malinteso creato ad arte per divertimento. E i media spesso giocano anche con il proprio pubblico spingendo al limite l’interpretazione che il pubblico può dare. Nel caso dell’arrivo degli alieni annunciato alla fine degli anni Trenta da Orson Welles, gli credettero un milione di persone.

E in tutto questo scenario che ruolo gioca l’intelligenza artificiale?
Di solito parlando di intelligenza artificiale pensiamo a ChatGPT, ma ne esistono molte altre forme che vanno dal T9 del telefonino al traduttore Deepl o le app che creano immagini. Il problema dell’IA è che spesso si inventa le cose. Inventa libri che non esistono, articoli scientifici che non ci sono, i quali si basano su dati probabilistici: avrebbe potuto scrivere quel libro o quell’articolo e quindi per ChatGPT è avvenuto. Il focus non è cosa è vero o cosa è falso, ma cosa è probabile. Per questa ragione non sempre l’IA si schiera e prende posizione: è un modello probabilistico e preferisce darti più opzioni senza schierarsi.

Nel libro si parla anche di letteratura.
Citiamo Dostoevski che parla dei silenzi; Gadda dei malfunzionamenti. La letteratura è una buona fonte per capire le imperfezioni della comunicazione. Un aspetto che ci pare interessante e che prendiamo da Michel de Montaigne, è che il malinteso in campo comunicativo è per metà dovuto a chi parla, e per metà a chi ascolta.

Il titolo Comunicazione imperfetta vuole essere provocatorio?
Il titolo è stato oggetto di una diatriba infinita con l’editore e con me stesso. Io avrei voluto «La comunicazione è imperfetta», che è il titolo dell’ultimo capitolo. Siamo poi arrivati a questo accordo. Imperfetto è un termine pluri-semantico che però ha un un’origine latina (perficio) e indica una cosa che è finita e non è finita. L’idea è che non ci sia una comunicazione giusta o una sbagliata, e nemmeno forniamo la ricetta per quella giusta. L’idea che in realtà vorremmo trasmettere è che, appunto, la comunicazione è imperfetta, perché è sempre aperta e non è mai conclusa. Non a caso nell’ultimo capitolo mettiamo in luce il fatto che noi tentiamo continuamente di rimediare ai nostri errori comunicativi.

Quando?
Mah, per esempio, prima di mandare il messaggio a un nostro capo, facciamo rileggere il testo a un amico. Oppure ricorrendo al correttore automatico prima dell’invio di un documento. O, addirittura, dopo che la comunicazione è partita cerchiamo di rimediare dicendo semplicemente «scusami, non era indirizzato a te». Oppure cercando di smentire quanto abbiamo appena comunicato.

Sì, ma giornalisticamente una smentita è quasi sempre una notizia data due volte
Esatto! Il tentativo di smentire può produrre un effetto paradossale opposto. Anche questi temi vengono trattati nel libro: della comunicazione che prende tanti rivoli diversi e che non riusciamo a controllare. Insomma, nell’ambiente comunicativo ci muoviamo tutti con grande difficoltà.

In conclusione, da cosa dipende l’imperfezione comunicativa?
A volte dipende dalla materialità. Per esempio, dalla linea telefonica che cade, all’uso di lingue diverse, dai malintesi della comunicazione non verbale che può avere significati diversi a seconda della cultura di appartenenza. Non è nel libro, ma l’anno scorso ho mandato un emoji a un collega cinese con una faccina sorridente e lui ci è rimasto male perché in Cina quel simbolo vuol dire che sei tonto… una delle ragioni principali dei malintesi dipende dal fatto che noi uomini, come animali sociali, tendiamo a sovra interpretare, ad attribuire sempre alle parole e ai comportamenti delle persone una funzione o una ragione. Ma non sempre è così.