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Sogni dal carcere e note di danza contemporanea

Teatro  ◆  Tindaro Granata presta la sua voce ad alcune detenute mentre Villa Ciani ha ospitato il progetto di Ariella Vidach
/ 29/01/2024
Giorgio Thoeni

Profondità e leggerezza. Un ossimoro che spiega un accostamento raro, uno snodo per individuare e raggiungere una chiave interpretativa, un lasciapassare per entrare nella cifra teatrale e umana di Tindaro Granata, attore e autore di Vorrei una voce, spettacolo e monologo andato in scena in prima assoluta al Teatro Foce di Lugano nell’ambito della stagione del LAC.

Un exploît che per tre sere ha recentemente emozionato la platea tutta, senza riserve, grazie a storie speciali e uniche di donne recluse nella Casa Circondariale di Messina, il luogo in cui l’artista ha tenuto un articolato ciclo di laboratorio teatrale con alcune detenute della sezione femminile di alta sicurezza. Un teatro per sognare era il titolo dell’iniziativa di Daniela Ursino, direttrice artistica del Piccolo Shakespeare, la struttura teatrale costruita dentro il penitenziario, durante il quale alcune canzoni di Mina sono state l’idea portante e il fulcro di un progetto trasformato in una sorta di transfert narrativo dalle parole e dagli intramontabili e popolari motivi musicali della tigre di Cremona, brani scelti dal suo ultimo e storico concerto alla Bussola di Viareggio dell’agosto del 1978.

La sua voce, già riferimento e rifugio da sempre per l’attore siciliano, ha permesso di toccare e raccontare stati d’animo, gioia e dolore, abito e profilo di molte donne diverse, ognuna con la propria personalità, ognuna con una propria visione del mondo.

È stata quella la piattaforma di lavoro, il contesto utilizzato da Tindaro per coinvolgere le sue non-attrici in una trama di racconti e confessioni di cui si è fatto rispettoso interprete come attore.

Granata è un artista completo. Abbiamo imparato a conoscerlo anche grazie alle sue originali proposte teatrali. Da spettacoli premiati di cui è lui stesso autore come l’autobiografico Antropolaroid e Geppetto e Geppetto alle riuscite interpretazioni in Macbeth le cose nascoste, La locandiera, La bisbetica domata e Lo zoo di vetro.

In Vorrei una voce non ci sono solo i racconti di vita delle detenute. Con grande sensibilità e coraggio, per l’attore siciliano diventa anche un’opportunità per raccontare sé stesso.

Come attorno al disagio causato da un male di vivere nato da una lunga avventura omosessuale iniziata da bambino, da uno stato di innocenza che conduce alla consapevolezza di appartenere a una società crudele, arcaica e ostile, ingabbiata nelle sue tradizioni e discriminazioni, nei silenzi accusatori e nelle intime segretezze che finiscono per far male e causare uno stato di sofferenza da cui dover uscire con forza.

Il suo racconto si interseca così con quello delle donne recluse mimando stralci delle canzoni eseguite in playback con una esemplare perfezione di gesti e movenze. La dice lunga una breve sequenza filmata di Mina proiettata sullo sfondo all’inizio dello spettacolo con l’attore alle prese con un primo brano, una didascalia sul minuzioso lavoro preparatorio.

Pochi elementi in scena, piccole e luccicanti bluse in strass da indossare man mano e diventare Sonia, Vanessa, Jessica, Rita e Assunta, lo specchio di un’umanità negata come il loro sogno di una libertà negata in un luogo che ha lo scopo di annullare la personalità per punire il crimine.

Vorrei una voce svela una dimensione femminile condivisa, speciale, in cui l’attore riconosce le sue passioni restituendole a una platea attenta, emozionata da una narrazione in cui a tratti echeggia il cunto siciliano e una bravura interpretativa straordinaria sviluppata con ironia, con un registro di verità e commossa partecipazione. Il numeroso pubblico luganese l’ha molto apprezzato tributando a Tindaro Granata ripetuti, meritati e sinceri applausi.

COREOmedia

Sempre per rimanere nell’ambito degli appuntamenti proposti dal LAC, per La Regionale, la grande mostra collettiva che riunisce i lavori di artisti provenienti dal Ticino e dal Grigioni italiano, gli spazi della Villa Ciani hanno ospitato COREOmedia, una performance di danza contemporanea site specific della compagnia AIEP Avventure in Elicottero Produzioni. È un progetto che è parte di uno spettacolo più articolato creato dalla coreografa e danzatrice Ariella Vidach con il videoartista Claudio Prati. Un intervento performativo in fieri che si inserisce in un contesto spaziale che, come vuole la modalità del site specific, può cambiare a seconda dell’ambiente in cui ha luogo collocando gli spettatori, come nel nostro caso, lungo il perimetro di una sala. Due danzatrici, Federica D’Aversa e Francesca Linnea Ugolini, attraversano lo spazio dapprima al buio, guidate da sottili strisce di luce sui loro passi. Un sottofondo informale avvolge i passi e i movimenti.

Sulle pareti cominciano a costruirsi bianche immagini, come un’esplosione di pulviscoli che si trasformano in un filamentoso reticolo geometrico elicoidale che ricorda la struttura del DNA. Una metafora di vita che genera due cerchi in movimento, due cellule rotanti spinte dai sensori legati alle vite delle danzatrici. Dimensioni mutanti fino a scomparire lentamente. Un riassunto sintetico per mezz’ora di elegante tensione dal lessico suggestivo e postmoderno.