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Francesca Fagnani, cortesemente senza limiti

SmartTV  ◆  Ritratto della giornalista italiana che conduce Belve – talk show della RAI – dimostrandosi un’ottima intervistatrice
/ 29/01/2024
Marco Züblin

È contenta di avere due cagnoline, hanno il vantaggio che «non diventeranno mai delle adolescenti irriconoscenti»; lucida e lapidaria, Francesca Fagnani. Ho appena visto un bell’incontro con Luca Sommi (rassegna Dedalo, Parma), un ottimo intervistatore che intervista un’ottima intervistatrice.

L’intervista – e in sommo grado quella sui media elettronici – è un vero genere giornalistico, che richiede onestà intellettuale, preparazione, improvvisazione ben sorvegliata, istinto per tempi e ritmi, senso della misura e rispetto; impone un conflitto con il proprio ego, per evitare quella vertigine autoreferenziale che conduce molti, anche bravi bravi (Gruber su tutti), a mettersi sempre in scena, con domande che sommergono le risposte. Quindi, rispetto per l’intervistato ma soprattutto del pubblico, che è interessato alle risposte (se le domande sono giuste). La Fagnani ha tutte le qualità necessarie; e anche quel quid (ineffabile, non basta il solo fascino) che le consente domande che ad altri sarebbero precluse.

Belve (prima Nove, finora Rai2) è uno degli spazi che hanno trovato legittimazione – e anzi una sorta di necessità – nel «mercato» televisivo delle ospitate, drogato dalla politica e dalle esigenze di autopromozione. La sensazione è che vi venga creato, per gli ospiti, un ambito di libertà pur nel rischio dello svelamento e dell’emozione, uno spazio che è una corda senza rete, senza preparazione e senza condiscendenza, anzi retto dalla sorridente e ironica crudeltà della cerimoniera; il brivido dell’imprevisto, del «fuori sceneggiatura», dell’imbarazzo possibile, non nella rassicurante ovatta delle intervistine d’occasione, condiscendenti e pilotate. Ed è così che anche personaggi stranoti, apparentemente più che prevedibili, diventano straordinari, cioè fuori dal «loro» ordinario mediatico. Fagnani fa non solo la seconda, ma anche la terza domanda, anzi tenta di scartare la prima (quella banale, quella che esaurisce invece il «lavoro» di altri colleghi suoi); su tutto, la capacità di essere cortesemente senza limiti e senza regole, il coraggio di essere imprevedibile. Viene da una storia professionale molto varia (Minoli, Santoro, cronaca), che le ha permesso di togliere artifizi e pregiudizi, e di giungere all’essenziale, all’osso, cioè al fatto; sotto ogni costruzione e ogni orpello, soprattutto faccia a personaggi che vivono/esistono nell’ambito fasullo della loro sovraesposizione mediatica. C’è in Fagnani l’esigenza feconda di uscire dall’ovvio, dal senso comune, dalla facilità; evitando di assecondare l’intervistato, di fare le cosiddette «domande di appoggio» (quelle che assecondano e che offrono pretesti per qualche messa in scena), esce – forse – la vera verità delle persone.

Direi meglio le prime versioni di Belve, cioè quelle senza pubblico; la presenza della gente, l’orrida claque da tribuna, rischia di diluire l’impatto dell’intervista, permettendo all’ospite di fare sponda con il pubblico e di deviare così l’attenzione da qualche proprio imbarazzo, accreditando per applauso interposto la versione celebrativa di sé che l’intervista sta mettendo in discussione.

Un altro pianeta rispetto a programmi come Ciao Maschio (Rai1), in cui Nunzia de Girolamo alimenta l’ego degli intervistati, che dal proprio autoeretto pulpito mettono in scena una versione improbabile di sé stessi; e l’intervistatrice fa finta di sfrugugliare ma lo fa male, con sostanziale deferenza e con evidente complicità.

In attesa della nuova edizione al via a settembre 2024, Fagnani sembra resistere alle sirene dell’intrattenimento, che vorrebbero usarla come «traino» e così facendo la snaturerebbero, omologandola e forse delegittimandola; ha evitato di ballare in tivù, riuscirà ad evitare nuovi Sanremo?