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L’airone, il bambino e la difficile arte della vita

Cinema  ◆  Vincitore ai Golden Globes, il lungometraggio animato di Hayao Miyazaki in questi giorni è nelle nostre sale
/ 15/01/2024
Alessandra Matti

L’esordio in Italia il primo gennaio de Il ragazzo e l’airone, dodicesimo film di Hayao Miyazaki, somiglia alla progressione di cifre a sei zeri che ha caratterizzato gli incassi di C’è ancora domani di Paola Cortellesi: tre milioni di euro e 265.000 spettatori nei soli primi tre giorni di programmazione. Nel 2013 con Si alza il vento il regista aveva annunciato il suo congedo dal cinema, e invece dopo una lunga gestazione complicata dal biennio Covid è arrivato Il ragazzo e l’airone, che ha appena trionfato ai Golden Globes, un altro primato.

La storia ci porta in un mondo poco accogliente dove l’adolescente Mahito dovrà confrontarsi con il dolore e la paura per trovare risposta alla domanda del titolo originale del film, E voi come vivrete? (che è anche il titolo del romanzo di formazione del 1937 di Genzaburō Yoshino, a cui Miyazaki si richiama, pur firmando soggetto e sceneggiatura).

Siamo a Tokyo nel 1943: la guerra impazza con la sua scia di morte che si coagulerà due anni più tardi nella tragedia atomica. Per Mahito l’ingresso nell’età adulta coincide con una perdita importante: la morte della madre nell’incendio di un ospedale bombardato, raccontata in una scena epocale all’inizio del film.

E coincide con un cambio di vita: lasciata Tokyo, Mahito e il padre vanno a vivere in campagna nella casa avita della madre e della zia, che nel frattempo è diventata la nuova compagna del padre, e che aspetta un figlio. Una casa abitata da vecchiette eccentriche, sulla quale volteggia un dispettoso airone e dove l’unico elemento di attrazione è una torre lugubre costruita da un misterioso prozio.

C’è quanto basta per provare sentimenti di astio e di rabbia che porteranno Mahito prima a rifugiarsi nel silenzio della convalescenza dopo una ferita autoinferta e poi a un viaggio nella torre proibita alla ricerca della zia e nella speranza di rincontrare la madre, in compagnia di un’anziana domestica e dell’airone che svelerà la sua vera identità. Un viaggio in un mondo altro, sommerso, abitato da parrocchetti che non volano, pellicani aggressivi, embrioni di anime umane: un mondo dove la natura ha perso il suo incanto per diventare minacciosa. E questo viaggio scandito da più piani temporali e con innumerevoli persone, che poi è anche e soprattutto un viaggio dentro di sé, darà al ragazzo l’occasione di conoscere il prozio-demiurgo che ha creato quel mondo, e che lo vorrebbe come successore per preservarne bellezza e armonia. Mahito si chiederà se l’equilibrio impermanente delle cose sia la cifra della realtà, e alla fine farà una scelta.

Il ragazzo e l’airone è la meravigliosa e struggente sintesi in cui Hayao Miyazaki ha riversato vita, citazioni, echi della sua filmografia e i vertici raggiunti dalla tecnica di animazione, che fa del film un’esperienza immersiva. Il rapporto tra Mahito e la zia ci parla dell’infanzia di Miyazaki: anche la madre del regista, Dola, era la seconda compagna del padre che, rimasto vedovo, sposò la sorella della moglie. Molteplici poi i richiami ad altri film: i relitti delle navi del mondo sommerso rimandano agli aerei che volano alti nel cielo di Porco rosso, per fare solo un esempio tra i tanti.

Struggenti sono i due messaggi che il regista consegna al film. Miyazaki risponde alla domanda «e voi come vivrete?» con la scelta di Mahito di lasciare il mondo sommerso per tornare in quello da cui è venuto con le sue imperfezioni e storture.

È un invito a vivere il mondo nella sua complessità, per quanto deludente possa essere, pensando alle generazioni future alle quali lo consegneremo. A viverlo possibilmente in compagnia di amici, di una passione o di un mentore, come per Miyazaki è stato Isao Takahata fino alla sua scomparsa nel 2018.

Guarda al futuro anche l’altro messaggio del film. Miyazaki, come il prozio-demiurgo, si interroga su chi raccoglierà la sua eredità e affida la risposta a un’iscrizione su un cancello di una tomba nel mondo sommerso, una chiara citazione dell’Isola dei morti di Arnold Böcklin (non a caso un pittore simbolista): «Colui che farà come me morirà».

È un vecchio adagio orientale che invita a imparare sì, ma per rielaborare e dare vita a qualcosa di originale che resti nel tempo. La risposta di Miyazaki è il film: la sintesi di sessant’anni di lavoro a disposizione di chiunque voglia attingere per imparare e ispirarsi, frutto di collaborazioni con altri importanti studi di animazione come lo Studio Ponoc e lo Studio Chizu.

Siamo il prodotto delle nostre radici e del carattere: a nostra volta lasciamo qualcosa, piccolo o grande, dopo di noi: il nostro retaggio. La condivisione è forza: insieme si lavora meglio. Dovremmo farne il mantra delle nostre vite. Grazie, Maestro, per la bellezza elargita a piene mani nelle sue storie. Fosse anche l’ultimo film, non smetteremo di sognare rivedendoli tutti!