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I primi tre articoli sono usciti su «Azione» del 17 gennaio, del 9 maggio del 2022 e del 25 settembre 2023.


Il gabbiano nel mirino e in punta di penna

Un visibile narrare - Focalizzazione e punti di vista: che si scriva con le parole o con la luce, gli avvisi di pericolo sono identici
/ 15/01/2024
Manuela Mazzi

«Un gabbiano spesso può fare alzare lo sguardo al cielo, o farlo abbassare a terra, o volteggiare sopra la foresta di un’isola vergine o tra i grattacieli di New York distogliendo la nostra attenzione da ciò che gli sta attorno; vale a dire che, ovunque, tutto il mondo potrebbe rischiare di diventare il gabbiano». Non solo di albe e tramonti, scrivevamo nel primo pezzo di questa serie («Azione», 17 gennaio 2022), ma anche di gabbiani, indicandoli, tra mille e mille altre immagini, quali topos letterari molto diffusi, soprattutto nella poesia.

Chi scrive in queste pagine li adora, s’intende. D’appassionati di Corto Maltese e di Hugo Pratt, in generale, non si potrebbe farne a meno, soprattutto quando si passeggia lungo le fondamenta di Venezia. Ovviamente, di gabbiani, ne abbiamo molti anche qui, sulle rive del Verbano e del Ceresio, ma i nostri sono piccini, lacustri (Larus canus), e per quanto siano belli, quelli di mare lasciano chi li ama con più facilità senza fiato, e con lo sguardo inchiodato al volo fermo di un Larinae Rafinesque gigantesco. Punti di vista, o… focalizzazioni diverse.

Il punto focale è di fatto uno dei fattori determinanti per far parlare una fotografia, una narrazione, una storia, un’opera, con la nostra «voce» (il nostro «sguardo»; ricordiamo ai lettori che questa rubrica cerca di valorizzare una commistione tra fotografia e scrittura, mostrando come l’aspetto formale dell’una possa riverberarsi nell’aspetto formale dell’altra).

Dal dizionario, focalizzare significa: «Individuare e definire con chiarezza e precisione i vari aspetti di una questione, di una situazione». Secondo noi possono essere due gli approcci da adottare a confronto di un’opera letteraria: quello più classico (di cui si parla spesso) sottolinea lo sguardo del narratore (cioè proprio il punto di vista; focalizzazione interna, o esterna, eccetera), ma in realtà vi è anche da tenere in considerazione il più generico focus, o anche detto punto focale (gergo fotografico) che riguarda la cosiddetta fabula. Quest’altro approccio si divide a sua volta in due aspetti: uno macro, e molti micro. La storia (conflitto; nucleo drammatico), e le scene. Resta tuttavia e prevalentemente una caratteristica formale più che contenutistica, per restare nell’analogia con la tecnica fotografica che non mira solo al soggetto da inquadrare ma alle parti dell’inquadratura da mettere in risalto «mostrando» in modo più nitido o più sfocato questo o quel dettaglio.

Tornando al gabbiano, lo sguardo di chiunque tenderà a seguire la distrazione si lascerà catturare da ciò che si muove, attirerà l’obiettivo di chi cerca il «disturbo che attrae», come capita quando in un locale casca una padella per terra e tutti si girano da quella parte: bisogna stare molto attenti ai gabbiani! Che non sono necessariamente gli «uccelli bianchi» ma tutte quelle informazioni attraenti che vorremmo usare perché magari le abbiamo appena scoperte e ci sembra che potrebbero interessare a tutti, ma che di fatto non hanno nulla che vedere con la storia che stiamo raccontando.

Questi «gabbiani» distolgono l’attenzione, rompono la tensione, e infine potrebbero anche annoiare il lettore, perché se uno va a Londra possiamo ben immaginare che voglia vedere altro che non i piccioni sui gradini della cattedrale di San Paolo (eh, sì: occorre stare attenti non solo ai gabbiani ma anche ai piccioni, che sono capaci di riempire le fotografie di frotte di turisti che non si accorgeranno mai della Madonnina in cima al Duomo di Milano).

Nei romanzi di aspiranti autori si trovano molto spesso paragrafi interi di informazioni locali (detti didascalici) circa la costruzione di quel tal immobile, la pianta più antica del talaltro giardinetto, la storiella folcloristica del tombino sulla tal strada, il colore perfetto delle mutande del prete degli anni Cinquanta,… e questo perché mentre si fanno ricerche si tende ad accumulare un sacco di informazioni che scopriamo in quel momento e che – restandone affascinati – ci sembra importantissimo far conoscere anche ad altri, e alle quali ci pare di non poter proprio rinunciare, dimenticandoci il punto focale della storia che stiamo scrivendo: e così il nostro gabbiano ci distoglie dalla storia, dal personaggio, dal dialogo.

Ah!, no, non sempre ci distoglie dal dialogo, anzi, a volte lo usiamo proprio come nido perfetto. A tal proposito: attenzione a non far entrare gabbiani e piccioni nei dialoghi dei vostri personaggi, perché a quel punto il disastro stilistico è certo.

Queste considerazioni sono solo tali e non regole, si intende, più che altro segnali di attenzione, avvisi di pericolo. Tutto dipende sempre dagli obiettivi, dal genere, dalla struttura, dalla voce, dalla luce. Noi, ad esempio, abbiamo amato molto sia I miserabili di Victor Hugo, sia Moby Dick di Herman Melville, dove il primo infarcisce la storia come un panino a multistrati infilandoci schede appassionanti sulle fogne di Parigi, sull’architettura dei conventi, sulla battaglia di Waterloo, eccetera, mentre il secondo pare talvolta un saggio enciclopedico sulla balena, che comprende peraltro uno strepitoso capitolo dedicato al «bianco»: erano però anche romanzi ottocenteschi; oggi si usa meno, ma non per questo non potrebbero essere altrettanto belli. Tocca avere però quella forza lì. Oppure si potrebbe scegliere di scrivere un libro paesaggistico dove la storia diventa secondaria. Per cui il «gabbiano» sarà altro. L’importante è non perdere il punto focale, che soprattutto nella cinematografia viene chiamato tecnicamente: idea di controllo.

Ovviamente anche il punto focale sottostà o, per meglio dire, interagisce con tutti gli altri aspetti (luce, soggetto, storia, movimento, narratore, montaggio…) ma come si suol dire, un saltello per volta.