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Dove e quando

West Side Story dal 23 al 28 gennaio al LAC.

Per info e biglietti: www.luganolac.ch


West Side Story, il musical cult arriva al LAC

Intervista  ◆  Il regista Lonny Price racconta la forza di un capolavoro sempre attuale e della sua magica connessione con il pubblico
/ 15/01/2024
Natascha Fioretti

Pensandoci, vi ricorderete di averlo già visto da qualche parte sul grande schermo. In Dirty Dancing era Neil Kellermann lo scapolo perfetto per la giovane Baby interpretata da Jennifer Gray che però aveva occhi solo per Patrick Swayze. Classe 1959, Lonny Price calca le scene teatrali di Broadway e quelle cinematografiche di Hollywood da più di 40 anni. Ha curato la regia di Sweeney Todd con Emma Thompson, quella di Sunset Boulevard con Glenn Close e la serie TV Desperate Housewives. Soprattutto ha diretto molti musical da Class Act e Lady Day at Emerson’s Bar and Grill a Urban Cowboy e molti altri.

Regista, attore e scrittore statunitense, Lonny Price ha ora realizzato il suo sogno d’infanzia: dirigere West Side Story, il musical cult andato in scena per la prima volta a Broadway nel 1957 grazie allo splendido lavoro di Arthur Laurents (drammaturgo), Leonard Bernstein (compositore), Stephen Sondheim (paroliere) e Jerome Robbins (regista e coreografo). Da Broadway arrivò al cinema nel 1961, a dirigerlo furono Jerome Robbins e Robert Wise, il film fece incetta di statuette agli Oscar portandone a casa dieci, tra queste quella per il miglior film e per la migliore regia. Nel 2021 lo ripropone Steven Spielberg.

Il musical che racconta la storia di due giovani amanti, Maria e Tony che vivono nella New York degli anni Cinquanta e appartengono a due gang rivali (lei alla gang portoricana degli Sharks, lui a quella dei Jets), dopo il grande debutto a Monaco nel dicembre del 2022 e il tour in giro per il mondo, approda ora a LAC il prossimo 23 gennaio. La produzione firmata Lonny Price porta con sé il brillante cast di 34 performer, le coreografie originali di Jerome Robbins e le musiche di Leonard Bernstein. Nell’attesa di vederlo dal vivo ne abbiamo parlato con Lonny Price.

Il musical sta avendo grande successo in tutto il mondo, in Giappone, India, le date di Parigi sono state tutte sold out. Se dovesse descrivere il musical con cinque parole, quali sceglie?
Direi elettrico, emozionante, emotivo, ritmico… che spezza il cuore.

Pensando ai diversi tipi di pubblico nel mondo, nota delle differenze nella ricezione del musical?
È una domanda interessante. Sicuramente la differenza si percepisce nella reazione alle parti di testo che suscitano ilarità o risa. Tutto naturalmente dipende dalla familiarità del pubblico con la lingua inglese e il linguaggio utilizzati, in questo caso conta molto la traduzione. Il cast è abituato alle differenti reazioni e quando il pubblica partecipa e ride si gusta il momento.

La sua regia è rimasta molto fedele al lavoro originale del 1956. Lei è nato qualche anno dopo, qual è stato il suo primo incontro con il musical?
A casa sono cresciuto ascoltando le musiche di West Side Story. Poi nei primi anni Settanta ho visto il film al cinema e rimasi affascinato dalla storia e dalla danza straordinaria di Jerome Robbins.

Al musical la lega anche una relazione personale con Alexander Bernstein, il figlio del famoso compositore (interpretato al cinema da Bradley Cooper nel film Maestro, nelle sale in queste settimane) che alla prima a Monaco al Deutsches Theater ha speso parole di grande elogio in particolare per il canto e la danza che ha definito «enorme e toccante» e poi la scenografia «semplicemente magica».
West Side Story per me ha un significato speciale. Non soltanto perché è il capolavoro della storia dei musical teatrali ma anche per la mia profonda amicizia con Alexander. Non ho avuto modo di conoscere bene Leonard Bernstein ma ho avuto la fortuna di passare alcuni momenti con lui. Era un uomo straordinario e sempre molto gentile. Custodisco nel cuore l’esperienza di averlo incontrato.

A firmare la suggestiva coreografia è Julio Monge che è stato ex allievo di Jerome Robbins. È vero che Monge è tra le pochissime persone al mondo autorizzate a mettere in scena la coreografia originale?
Si, si è vero. La Fondazione Jerome Robbins è molto attenta nel selezionare chi può ricreare, riportare sul palcoscenico il lavoro di Jerome.

Dicevamo prima che nella sua versione di West Side Story è rimasto molto vicino a quella originale. Da allora sono passati 65 anni, non temeva – nel dare il via a questo progetto – che i tempi non fossero più propizi per ripetere il grande successo?
Il mondo è cambiato ma stranamente molti dei problemi degli anni Cinquanta persistono ancora oggi. Penso alla xenofobia e alla tendenza a demonizzare il diverso, chiunque non sia come noi. In verità l’odio razziale e il possesso del campo da basket che portano le due gang giovanili – quella portoricana e quella degli americani bianchi – a rivaleggiarsi, sono questioni attuali ancora oggi. Mio dio, guardiamo soltanto cosa sta avvenendo in Medio Oriente per un pezzo di terra. La lotta per la pace sfortunatamente non passa mai di moda, la natura umana è quello che è.

La sua conclusione ha qualcosa di molto shakespeariano…
Proprio come la tragedia d’amore di Romeo e Giulietta anche il musical – che a quest’opera si ispira – continua a parlare alle persone di oggi.

Tra i famosi brani del musical mi viene in mente America dove si dice «La vita può essere luminosa in America se sei bianco in America…»
Questo continua ad essere vero. Ancora oggi le persone di colore non sono incluse equamente e mi piace pensare che le cose stiano migliorando ma la macchia del razzismo nel nostro paese è ancora molto diffusa e profonda.

Un’altra delle questioni sociali sempre attuali di cui il musical ci parla è la gentrificazione nei grandi centri urbani.
Il quartiere dell’Upper West Side di New York dove la storia è ambientata è a pochi passi da casa mia. È una zona molto gentrificata in cui per fare posto a nuovi progetti edilizi sono state demolite molte piccole case e molte persone sono state costrette ad andar via. Oggi è un quartiere molto bello ma poco accessibile.

Ha già menzionato alcuni degli elementi che rendono unico questo musical ma quali sono gli altri tratti che ne fanno un capolavoro assoluto?
Intanto a renderlo eccezionale è l’altissimo di livello di scrittura dei testi. Poi non penso vi sia un altro musical con una combinazione e un equilibrio così perfetti tra storia, musiche e coreografia. Le singole parti che lo compongono sono di per sè eccezionali ma è l’armonico insieme del tutto a rendere West Side Story un capolavoro che penso continuerà ad avere successo anche in futuro. La sua forza sta nella musica che non invecchia mai, sembra scritta oggi.  Spesso si pensa che il pubblico d'elezione dei musical siano le donne o le persone gay, West Side Story parla a tutti, attira a sé un ampio ed eterogeno pubblico.

Non ha l’impressione che oggi in campo artistico, ma non solo, quando si tratta di capolavori abbiamo spesso la tendenza a guardare al passato? Oggi non siamo più in grado di raggiungere certi livelli?
È una riflessione molto opportuna. Il librettista e sceneggiatore Arthur Laurents che ha scritto West Side Story proveniva da una tradizione teatrale di altissimo livello. Penso anche ad autori e scrittori di canzoni come Richard Rodgers e Oscar Hammerstein o i fratelli Gershwin che sono stati influenzati dai più grandi maestri. E credo che non vi siano talenti di quel calibro nel panorama teatrale odierno.

Riflettendo più in generale sul panorama dei musical, qual è lo stato dell'arte? Sono ancora considerati «inferiori» rispetto al teatro drammatico?
Il musical di Broadway intanto è sopravvissuto alla pandemia. D'altra parte il pubblico resta affezionato a quelle scene dei musical che contengono canzoni di grandi popstar già conosciute e note al grande pubblico. Credo siano tempi difficili per la creazione e produzione di musical originali e non sono sicuro che oggi per avere successo siano sufficienti una buona storia e delle buone canzoni. Credo che il mondo dei musical sia un mondo in transizione pronto per una rivoluzione.

È vero che sulla scena ci sono degli elementi nuovi di contesto per capire meglio la storia?
Ho pensato che il sogno americano che si perpetua in realtà è soltanto un mito, non è veramente accessibile per le persone di colore o per le persone appartenenti alle fasce economiche più basse. Per questo sulla scena all’inizio presentiamo la statua della Libertà fatta a pezzi, proprio per simboleggiare la falsità della promessa dell’inclusione nella nostra società. In scena abbiamo aggiunto delle locandine pubblicitarie dell’America del dopoguerra in cui si pubblicizzano prodotti che promettono lusso e agio nella vita degli americani, una promessa che però vale solo per una parte di loro. Così il set è costellato di questi cartelloni che sono volutamente posizionati fuori dalla portata dei protagonisti, proprio per evidenziare come una certa fetta della popolazione sia in realtà esclusa dal sogno americano con tutta la rabbia che ne consegue.

Ora che con West Side Story ha realizzato il suo grande sogno, nel cassetto ne ha uno nuovo?
In questo momento mi trovo a Minneapolis e sto lavorando alla mia prossima opera. Si tratta di Peter Pan che curiosamente è un altro musical diretto da Jerome Robbins …

La particolarità del cast sta nella giovane età visto che i protagonisti della storia sono dei teenager: è stato difficile fare una selezione?
Per molti si tratta del primo lavoro. Ciò che conta è l'equilibrio tra giovinezza e abilità. Naturalmente devono essere dei talentuosi danzatori - se non sai danzare questo non è il tuo posto. In seconda battuta conta la recitazione ma se sei un bravo attore e non sai danzare siamo al punto di prima, questo show non fa per te.

Come avete scelto gli attori che interpretano Maria e Tony?
Abbiamo scelto Jadon Webster e Melanie Sierra perché per noi erano i migliori. Melanie nel suo ruolo canta probabilmente meglio di chiunque altra prima di lei, è un grandissimo soprano, mentre Jadon è un bravissimo attore che canta meravigliosamente.

West Side Story si ispira a Romeo e Giulietta di Shakespeare. Quale delle sue opere preferisce?
Me ne piacciono così tante... sicuramente amo La tempesta e la prima parte di Enrico IV.

Di recente con il leggendario attore irlandese Gabriel Byrne ha lavorato al memoir Walking with Ghosts andato in scena a Broadway. Si tratta di un lavoro molto più intimista – tutt’altro genere dal musical – e mi hanno sorpreso le parole di Byrne che in un’intervista ha sottolineato la connessione sprituale che a teatro si crea con il pubblico. Vale anche per un musical come questo?
Gabriel Byrne è uno dei miei più cari amici, lavorare con lui è stata un’esperienza straordinaria. Sono profondamente d’accordo con quanto dice, creare una connessione intima con le persone in sala è l’anima del nostro lavoro. Spero che la tradizione dell’incontro fisico non svanisca mai perché la forza, la magia che si prova stando seduti insieme al buio ascoltando una storia è incomparabile a qualsiasi altra esperienza.