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Dove e quando

Rosellina – Vivere per la fotografia, Winterthur, Fotostiftung Schweiz, fino al 28 gennaio 2024.

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Rosellina Bischof-Burri, una vita per la fotografia

Mostre  ◆  Alla scoperta di Rösli, come veniva spesso chiamata da chi la conosceva bene, e del suo apporto all’arte dell’immagine
/ 08/01/2024
Gian Franco Ragno

La Fondazione Svizzera per la fotografia di Winterthur dedica un importante e doveroso tributo a Rosellina Burri, moglie di Werner Bischof, rivelando quanto la sua figura sia stata imprescindibile per la crescita dell’arte fotografica a livello nazionale nel secondo dopoguerra.

Figlia di emigranti dell’Europa dell’Est di origine ebraica, Rose Helene Mandel, più spesso chiamata Rosellina o Rösli, nasce a Zurigo nel 1925 e si forma come maestra di scuola d’asilo. Appena terminata la seconda guerra mondiale si reca a Rimini ad aiutare un’infanzia traumatizzata dal conflitto, lavorando con i ragazzi orfani al Centro Educativo Italo-Svizzero. In Italia, complice un reportage, conosce il futuro marito Werner Bischof (1916-1954).

Un’unione affettiva e anche creativa: la coppia condivide passioni (l’arte, la fotografia) e ideali, come l’impegno sociale e le condizioni dell’infanzia. Tornati in Svizzera e celebrato il matrimonio nel 1949, Rosellina sostiene il lavoro del marito sia in ambito amministrativo sia in ambito più creativo – come testimoniano alcuni piccoli progetti e pubblicazioni. Accompagna Werner nei viaggi per tutto il mondo ed infatti è proprio con l’immagine iconica del loro soggiorno in Giappone che si apre l’esposizione. Qui Rösli appare assorta guardando l’orizzonte in un vestito nero con un gioco di cerchi bianchi, un vasto drappo che sembra formare una figura geometrica. Un’immagine di grande lirismo ed equilibrio, tipica dello stile di Bischof. Un’altra, assai nota e presente in mostra, è l’istantanea di loro due seduti su una finestra, a New York, nello studio di Alexander Calder, in cui si intravvede una sottile sagoma di fil di ferro e forme di una scultura dell’artista americano, volteggiare sui loro volti, còlti di sorpresa da Peter Bally.

Si tratta di una piccola esposizione documentaria – formata da lettere ufficiali e altre, più private, scritte a mano e corredate da piccoli e meravigliosi disegni, provini di stampa e altri ricordi. L’aspetto più toccante è appunto questo: leggere, vedere con i propri occhi questi piccoli frammenti di vita alla luce di ciò che sapremo essere la precoce morte di Werner: come ad esempio, sconfinando nella grande mostra a fianco, una lettera scritta a macchina e non ancora finita di Bischof al grande artista svizzero Max Bill, con il quale faceva parte del gruppo Allianz e nella quale racconta le sue prime impressioni sulle rovine delle civiltà precolombiane.

Nel viaggio americano, Rosellina non accompagnò Werner in Perù – partendo in aereo per la Svizzera da Città del Messico. Come è noto, nelle Ande il giovane fotografo, appena trentottenne, il 16 maggio 1954 perde la vita in un incidente automobilistico. Rösli, dopo il primo figlio Marco (1950), aspetta da lui un secondo figlio, Daniel che nasce nove giorni più tardi.

Nonostante il lutto, Rosellina non si ferma: organizza la mostra itinerante che segue la pubblicazione dello stupendo libro del marito, intitolato Japan e premiato con il Prix Nadar nel 1955. Si impegna nella sede svizzera di Magnum, e grazie alle sue riconosciute doti organizzative, oltre a quelle umane e alla sua grande capacità di lavorare in gruppo, dà alla disciplina un contributo insostituibile. Tra il 1956 e i 1961, presso la Scuola d’arti applicate di Zurigo – dove Werner Bischof e molti altri validi autori studiarono fotografia con Hans Finsler – aiuta ad organizzare importantissime esposizioni: Henri Cartier-Bresson (1956), Robert Capa (1961) e soprattutto l’imprescindibile The Family of Man – prodotta tre anni prima da Edward Steichen e proveniente dal MoMA di New York (1958) – l’esposizione principe della fotografia umanistica. Nel 1963 sposa René Burri, e la coppia avrà altri due figli.

Abbiamo sottolineato uno degli elementi principali della fotografia di reportage dell’epoca, ovvero l’impegno sociale per un mondo senza guerre. Si è usato per un certo periodo l’aggettivo inglese «concerned» ovvero impegnato, partecipato, preoccupato delle sorti del mondo contemporaneo – e da qui l’etichetta di Concerned Photography.

Ma vi è anche un altro aspetto centrale da considerare ed è la grande attenzione verso la qualità dell’insieme del messaggio che l’autore ha prodotto. Ciò si traduceva nel rifiuto per un certo tipo di tagli, nel controllo delle didascalie e dei testi – così importanti per il significato complessivo dei reportage.

Per capire l’importanza e il peso delle iniziative a cui Rosellina diede il contributo bisogna immaginare un contesto ancora molto lontano dall’odierno. La fotografia tra gli anni Cinquanta e Settanta non era vista come arte e veniva guardata con sospetto da gran parte dell’arte ufficiale.

Molti professionisti e addetti ai lavori si batterono per uno spazio e un riconoscimento all’interno delle più prestigiose sedi: il loro modello era quello americano, come il ricordato MoMA che aveva al suo interno un dipartimento dedicato alla più giovane disciplina. E ciò avvenne nel 1971 con la costituzione di una Fondazione a tutela del patrimonio fotografico svizzero, all’interno del Kunsthaus di Zurigo, dove Rosellina è operativa nel mettere in campo piccole ma significative esposizioni sui protagonisti della fotografia mondiale, sia storici che contemporanei.

Nel 2002, l’istituzione consacrata alla fotografia svizzera aprirà l’attuale sede nella cittadina di Winterthur in una zona industriale, congiuntamente a un’istituzione gemella, il Fotomuseum, che a sua volta guarda verso la fotografia su scala internazionale.

Nel 1974 con Walter Binder e altri, Rosellina lavora alla mostra La fotografia svizzera dal 1840 a oggi, vero punto di partenza di tante ricerche successive. L’esposizione antologica nazionale ha un grande successo, in soli dieci giorni  richiama più di 70’000 persone. Circa un decennio più tardi, nel 1986, proprio mentre lavora a una nuova esposizione antologica di Werner, Rosellina si spegne non vedendo la fine del progetto.

Ripercorrendo le pagine della vita di Rosellina Bischof-Burri, appare chiaro un fatto: la cultura visiva svizzera ha potuto farsi strada non solo grazie ai suoi grandi autori ma anche grazie ai molti e seri professionisti che hanno lavorato con cura – dietro le quinte – alla valorizzazione e tutela di questo prezioso patrimonio.