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Ilary Blasi e la sua versione dei fatti

Su Netflix una chiara mossa di marketing della showgirl per dire la sua sul divorzio dall’ottavo Re di Roma Francesco Totti
/ 01/01/2024
Virginia Antoniucci

A fine novembre Netflix ha lanciato Unica, docufilm diretto da Tommaso Deboni che prometteva di farci sbirciare dietro le quinte della rottura tra Ilary Blasi e l’ex calciatore Francesco Totti. Con un titolo che è una freccia scoccata contro la leggendaria maglietta di Totti «6 unica», Ilary trasforma la sofferenza in un’opportunità di marketing. Se non fosse che, oltre ai pettegolezzi, borse nascoste e rolex rubati, emerge l’ombra di un patriarcato che, senza pietà, colpisce anche la regina dei reality-show.

Il timing di Unica è cronometrato come una bomba ad orologeria pronta a detonare nel momento più opportuno. Strategicamente posizionato il giorno prima della giornata contro la violenza sulle donne, Ilary Blasi si unisce, a modo suo, alla lotta popolare con un chiaro messaggio: non sono unica, sono come tutte voi.

Il racconto, dai toni tragicomici, si apre con la fine della storia d’amore tra lei e Totti, apparentemente messa in ginocchio da un caffè che Blasi si è presa con un ragazzo. Che sia un caffè a segnare la rovina della coppia reale italiana potrebbe sorprendere il pubblico, ma non quanto le rivelazioni di Blasi, che con uno studiatissimo look casual fatto di camicia bianca e pantaloni scuri, che ricorda lo stile di Amber Heard in tribunale, rivela i comportamenti ossessivi di Totti: controllo delle chat, richieste di cancellare post sui social, e un’ossessione fatta di rancori e gelosie.

Rimaniamo sconcertati, ma forse non più di tanto. Dopotutto, Totti è stato sempre dipinto come «Er Pupone», il cucciolo del calcio, focalizzato solo sulla palla e poco sull’italiano.

Il classico «bravo ragazzo» di cui la stampa va ghiotta, è nella realtà un uomo ricco di privilegi, cresciuto in una città complice che lo ha difeso a spada tratta, elevandolo a ottavo Re di Roma. Persino il tassista che nel docufilm porta in giro Ilary Blasi ammicca alla telecamera, dicendo: «A Totti piacciono i maritozzi con la panna e le donne», come se non avesse la ex moglie a bordo.

Totti non è unico, anzi è prevedibilmente comune. Privato della maglia giallorossa che lo ha reso protagonista delle domeniche all’Olimpico per anni, come racconta Ilary, all’improvviso si ritrova nella triste immagine di un ex atleta a fine carriera, sprofondato sul divano a rivedere le repliche dell’addio al campo di gioco.

E, come commenta il giornalista Michele Masneri nel docufilm: «Ilary comincia a far carriera quando lui va in pensione», dettaglio che stando alla narrazione di Ilary, Totti sembra non gradire. In questa cornice quel banale caffè per lui assume dimensioni shakespeariane.

Un uomo in crisi, che non regna più, non può fare altro che porre una domanda per ripristinare il suo status quo, almeno all’interno del suo matrimonio: per riconquistare la sua fiducia, Ilary deve abbandonare la sua carriera lavorativa.

E qui è il momento di premere pausa e prendere fiato.

Ilary Blasi, che i media amano ancora etichettare come la «letterina» nonostante siano passati vent’anni e molti altri show e conduzioni televisive importanti, nel docufilm autoprodotto per comunicare al mondo – ora vi dico la mia verità – tra una lacrima e un fazzoletto che non trova nella borsa – diventa la paladina che sceglie sé stessa, la donna di successo che non ha bisogno dei soldi e dei Rolex del marito.

Ed è durante un Adho Mukha Svanasana (una posizione yoga) in giardino che Ilary Blasi sceglie di raccontare la scoperta della relazione clandestina tra Totti e Noemi Bocchi. Storia che nel docufilm viene avallata dalle donne di famiglia che la sostengono e non si lasciano scappare una sola parola critica verso l’ex capitano della Roma se non sottolinearne il cambiamento che ne avrebbe fatto una persona diversa.

La madre Daniela, la sorella Melory e le amiche Giorgia e Alessia si uniscono in un matriarcato che ascolta, capisce e accompagna Ilary nella sua avventura alla scoperta della verità, finita in fretta con l’investigatore privato assoldato per pedinare il marito che però si fa scoprire. Momento tragicomico. Intanto però quella congrega femminile, che piange più di lei in un’ora e venti minuti, diventa il baluardo su cui Ilary Blasi costruisce la sua rinascita e la sua emancipazione da Totti e da quell’immaginario che l’ha sempre legata a lui e probabilmente è stato propizio per una carriera televisiva come la sua. Al macero dunque l’immagine di lei sugli spalti dello stadio, avanti invece l’immagine della showgirl che sui tacchi a spillo altissimi conduce L’isola dei famosi.

Totti e Ilary. Il campione e la sua ex letterina. Al termine del docufilm, non si può fare a meno di riflettere sulle innumerevoli occasioni in cui per la stampa, la donna sembra ridursi a una sorta di burattino senza nome né professione, destinato a prendere vita solo quando la sua storia si intreccia con quella del marito. Passando di mano in mano, diventa una sorta di appendice di qualcun altro: figlia, ex, moglie, sorella, fidanzata.

Nonostante le piazze si riempiano di voci che portano avanti istanze femministe, il persistere di una stampa moralista, che castiga le donne e chiude gli occhi di fronte alle responsabilità e ai tradimenti degli uomini, impedisce la radicale estirpazione del patriarcato.

Che Ilary Blasi sia santa o peccatrice è qualcosa che può interessare perversamente solo durante l’attesa dal parrucchiere e forse non è l’icona femminista che ci aspettavamo (probabilmente nemmeno vuole esserlo), ma il suo messaggio, «Ho scelto la mia vita», può essere d’esempio per molto donne. Tenendo però a mente che pur non essendo «unica», Ilary Blasi vanta un conto in banca che la maggior parte delle donne si sognano e che le ha permesso di produrre un docufilm per dire la sua.