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Dove e quando

GOYA. La ribellione della ragione, Palazzo Reale, Milano, fino al 3 marzo 2023.
Orari: ma-do 10.00-19.30, gio fino alle 22.30.

www.palazzorealemilano.it


L’irrimediabilità della vita umana nell’arte di Goya

Palazzo Reale a Milano celebra il pittore spagnolo con una grande esposizione a cura di Victor Nieto Alcaide
/ 01/01/2024
Elio Schenini

«E non c’è rimedio». Questa laconica e rassegnata didascalia che Goya ha posto sotto una brutale scena di fucilazione appartenente alla serie dei Disastri della guerra incisa tra il 1810 e il 1820, riassume probabilmente meglio di ogni altro commento il senso di scoramento che molti hanno provato di fronte alle immagini degli atroci massacri che ci sono giunte lo scorso 7 ottobre da Israele così come a quelle che ci sono arrivate nei giorni immediatamente successivi e che continuano ad arrivarci dalla Striscia di Gaza, senza ovviamente dimenticare, ma forse ci siamo già un po’ assuefatti, quelle che ormai da quasi due anni ci arrivano dall’Ucraina.

All’irrimediabilità della violenza prodotta dalla guerra, all’insensata atrocità degli uomini che si massacrano tra di loro, Goya ha dedicato 83 incisioni che si riferiscono alla Guerra d’indipendenza spagnola (1808-1814) ma che nella loro terribile e scarna essenzialità acquistano una dimensione atemporale e una valenza universale, al punto che rimane ancora oggi vero quanto aveva osservato Fred Licht nella sua fondamentale monografia sull’artista del 1979: «Chiunque abbia letto, anche frettolosamente, i giornali degli ultimi cinquant’anni constaterà che le notizie più significative erano state illustrate da Goya più di un secolo e mezzo fa».

A porre l’opera di Goya sotto il segno dell’irrimediabile è stato per primo André Malraux, che nel suo Saturno. Il destino, l’arte e Goya del 1950 individua la grandezza dell’artista spagnolo proprio nella sua capacità di dare una risposta all’irrimediabile attraverso la creazione artistica, come del resto avevano fatto in passato i grandi stili dell’arte religiosa, ma, nel suo caso, senza fare ricorso alla trascendenza. Con Goya, il destino dell’uomo si staglia ormai sul nulla («nada» è la parola vergata su una pietra da uno scheletro che riemerge da una tomba nei Disastri) e la vita non è che un flebile bagliore di luce avvolto dall’oscurità che il tempo (Saturno) finirà inesorabilmente per divorare.

Il sentimento di irrimediabilità che caratterizza la vita umana si manifesta a Goya in seguito a un evento drammatico: la sordità totale che lo colpisce dopo una grave malattia (alcuni hanno ipotizzato la sifilide) contratta durante un soggiorno a Siviglia, nel 1792. Questa data segna infatti uno spartiacque fondamentale nell’opera dell’artista, tanto che si può affermare che abbiamo due Goya distinti, come racconta bene la mostra in corso a Palazzo Reale a Milano. Da un lato, abbiamo il Goya degli anni giovanili abile colorista, che sulla scia di Mengs e Tiepolo dipinge su committenza ritratti di aristocratici, scene di genere, paesaggi bucolici e quadri religiosi. Un artista ambizioso, protagonista di una rapida e inarrestabile ascesa sociale, tanto da diventare in pochi anni il Pintor del Rey.

Goya e l’Illuminismo,

Dall’altra, troviamo invece il Goya ormai maturo che, approfondendo la lezione di Rembrandt e Velazquez, vira la propria tavolozza sui toni scuri e cupi dei neri e dei marroni e si immerge sempre più nelle visioni del proprio immaginario, dipingendo e soprattutto incidendo, ormai quasi solo per se stesso, scene grottesche e brutali di sabba, fucilazioni, stupri, torture, massacri, impiccagioni, squartamenti, tauromachie. Si potrebbe dire che il silenzio che ha avvolto l’artista a partire dai 46 anni ne ha acuito in qualche modo l’immaginazione visiva e la forza visionaria e lo ha liberato dai vincoli e dalle convenzioni che gli imponevano il suo ruolo di pittore di corte, facendo di lui il primo pittore moderno. Del resto non è un caso se a Goya guarderanno quasi tutti i grandi pittori francesi della seconda metà dell’Ottocento.

Ma per spiegare il mistero Goya, perché la sua opera, soprattutto quella degli ultimissimi anni rimane ancora oggi un enigma insoluto, basti pensare alla visionarietà senza precedenti che troviamo nella serie delle Disparates o nelle Pinturas negras realizzate per la Quinta del Sordo (la casa dove abitò dal 1819 al 1824), non è sufficiente chiamare in causa la sordità da cui fu affetto. Un elemento centrale della sua evoluzione artistica è indubbiamente costituito dalla sua progressiva e sempre più convinta adesione alla filosofia dell’Illuminismo. Ma se Goya è indubbiamente il pittore che si affida alla ragione e che con le sue opere denuncia le superstizioni, i soprusi, il fanatismo, l’avidità, la stupidità e la violenza dell’Ancien Regime, egli è però anche consapevole dei limiti stessi della ragione.

Come ha osservato in un suo libro del 2013 un altro dei grandi interpreti dell’artista spagnolo, il linguista Tzvetan Todorov, «Goya non soltanto ha profondamente subito l’influsso dell’Illuminismo, ma è stato capace di trascenderlo, diventando una delle figure intellettuali più importanti dell’epoca». In qualche modo la sua opera, così impregnata di oscurità e di mostruosità è una sorta di precoce e istintiva consapevolezza della «dialettica dell’Illuminismo». Ovvero della tendenza di quest’ultimo a trasformarsi da strumento di liberazione in strumento attraverso il quale si esercita il dominio tecnocratico sulla natura e sull’uomo come hanno evidenziato Adorno e Horkheimer nel loro celebre saggio del 1944.

La famosa incisione che inizialmente doveva fare da frontespizio ai Caprichos, ma che poi l’artista ha spostato a pagina 43, ci confronta infatti con un’ambiguità interpretativa irrisolvibile. Da un lato il «sonno della ragione» che genera mostri si riferisce indubbiamente all’assenza stessa della ragione e al prevalere delle pulsioni e degli istinti ma allo stesso tempo, sembra dirci Goya, anche la ragione può scivolare nel sonno e il suo sogno di dominare il mondo, di illuminarlo attraverso la razionalità in ogni più remoto recesso così da estirparne ogni forma di oscurità può trasformarsi in un incubo mostruoso.

Ecco perché, in un mondo che si avvia ad essere perennemente illuminato a giorno da una nuova infaticabile forma di ragione, quella computazionale degli algoritmi, e nel quale la repressione istintuale richiesta da una società globalizzata e ipertecnologica portano a comprimere in una gabbia sempre più esigua la dimensione pulsionale degli individui aumentandone il potenziale deflagrante, forse la lezione di Goya non è ancora del tutto esaurita. E gli episodi di cupa violenza che vediamo scoppiare qua e là nel mondo, come crepe in un involucro troppo teso, sembrano confermarlo.