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Dove e quando

Balla ’12 Dorazio ’60. Dove la luce, Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Lugano.
Fino al 14 gennaio 2024.
Orari: da giovedì a domenica dalle 11.00 alle 18.00.

www.collezioneolgiati.ch

 


Incontri di luce tra due pittori

Giacomo Balla e Piero Dorazio sono i protagonisti alla Collezione Giancarlo e Danna Olgiati fino al 14 gennaio
/ 01/01/2024
Alessia Brughera

1912. Giacomo Balla è a Düsseldorf, ospite nella villa in riva al Reno della famiglia Löwenstein, dove è stato invitato per decorare lo studio del padrone di casa. Nei sei mesi in cui vi soggiorna, da luglio a dicembre, l’artista durante le pause di lavoro osserva dalla finestra della sua stanza il variare della luce del sole che accompagna lo scorrere delle giornate e delle stagioni. Sente allora il bisogno di cogliere l’essenza di quei fenomeni luminosi che così tanto affascinano il suo sguardo. È l’inizio di una nuova idea di pittura.

Due pittori, due diverse generazioni 

Con matite colorate, tempere e acquerelli, Balla disegna su fogli di un semplice block-notes le sue rappresentazioni della luce, come se volesse definirne l’anatomia. Nascono piccole composizioni che esprimono le riflessioni dell’artista attorno alla possibilità di catturare i misteri dell’iride. In questi schizzi, esercizi speculativi dall’audace sintesi formale, Balla delinea le rifrazioni luminose attraverso reticoli a pattern triangolari, recuperando una figura geometrica che bene restituisce l’immagine di espansione della luce nello spazio.

D’altra parte Balla, due anni prima, all’apice del successo, aveva entusiasticamente aderito al Futurismo attratto proprio dall’interesse di questa corrente verso la luce e il dinamismo. Aveva inoltre già da parecchio tempo, grazie soprattutto al suo viaggio a Parigi, grande dimestichezza con le leggi dell’ottica e della fisica, che lo avevano portato a utilizzare artifici per rafforzare il fulgore delle tinte e rendere le composizioni più vibranti.

Nel taccuino di Düsseldorf, a cui il titolo di Compenetrazioni iridescenti verrà dato solo molto più tardi, l’artista abolisce così ogni referente figurativo approdando a opere che per la loro precocità possono essere a buon diritto considerate sperimentazioni ante-litteram delle ricerche astratto-geometriche. Così tanto precoci che lo stesso Balla, in quel momento, non è ancora pronto a mostrarle, rendendosi conto della loro importanza solo negli anni Cinquanta, quando quegli schizzi nati da una brevissima ma intensa stagione di studi e poi tenuti nascosti per decenni verranno riscoperti da molti giovani pittori.

1960. Piero Dorazio, poco più che trentenne ma con già alle spalle importanti traguardi, prestigiose esposizioni, esperienze internazionali e un’appassionata militanza nelle fila dell’arte astratta (è, tra l’altro, uno dei fondatori del gruppo Forma 1), espone alla XXX Biennale d’Arte di Venezia, in una sala personale, diciassette dipinti di grandi dimensioni intitolati Trame luminose. Il pittore si trova nel vivo di un’indagine che lo vedrà impegnato per qualche anno nell’affrontare la complessità del rapporto tra luce, colore e movimento, alla ricerca di un modulo capace di stabilire un equilibrio tra questi tre elementi sulla superficie del quadro.

Le sue Trame, subito molto apprezzate da pubblico e critica in quanto affermazione di un linguaggio originale, sono tele costituite da un fitto reticolo di linee che si dispongono in sequenze ordinate, eseguite «con la stessa pennellata che hanno usato Previati o Boccioni», per usare le parole dell’artista stesso. Queste opere si presentano ai nostri occhi come una sorta di tessitura che emerge dall’incrocio di tratti verticali, orizzontali e diagonali dipinti con mano leggera impiegando un registro di tinte primarie e complementari nelle combinazioni dell’iride.

Dorazio approfondisce così il suo interesse per i meccanismi della percezione e per le potenzialità spaziali della tela, andando a sviluppare una sua precisa idea di trama che nasce da una materia raffinata stesa strato su strato in una sorprendente gamma di variazioni. In questi intrecci di luce e colore non si fatica a trovare la forma del triangolo, anche per l’artista romano una figura che conferisce energia e movimento alla composizione.

La sperimentazione delle Trame luminose occupa una parentesi temporale piuttosto breve nel percorso di Dorazio: dopo aver raggiunto con questi lavori risultati importanti per la ricerca artistica, infatti, un po’ inspiegabilmente, già nel 1963, il pittore reputa esaurito il loro potenziale.

Due pittori, due diverse generazioni e quasi mezzo secolo a dividere le fasi affini delle rispettive carriere. Balla e Dorazio: il primo, grande figura della corrente futurista, il secondo, tra i maggiori esponenti dell’arte astratta. Entrambi condividono, a distanza di decenni, la medesima fascinazione per i segreti della luce e del colore.

La comunanza tra i due non è certo casuale. Il giovane Dorazio, classe 1927, frequenta il più anziano maestro, classe 1871, nei primi anni Cinquanta, recandosi spesso nella sua casa in via Oslavia a Roma. È qui che scopre i disegni che Balla aveva realizzato a Düsseldorf, intuendone subito la vitalità e la modernità.

In quel periodo Balla è uscito dalla scena artistica già da tempo (morirà nel 1958) ma la stima che Dorazio ha nei suoi confronti è molto profonda, nutrita com’è dalla consapevolezza del ruolo fondamentale avuto dal Futurismo per il rinnovamento dell’arte in direzione dell’astrattismo. È così che traendo stimolo e suggestione dalle Compenetrazioni iridescenti di Balla, Dorazio realizza le sue Trame luminose, recuperando lo spirito e la pratica che avevano mosso il pittore futurista cinquant’anni prima.

Una mostra allestita negli spazi della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati a Lugano, curata da Gabriella Belli, ci permette di comprendere la vicinanza tra i due brevi ma importantissimi periodi di sperimentazione dei due grandi pittori italiani. Il 1912 e il 1960 diventano così le date simbolo di un intenso studio sui fenomeni luminosi e sul colore, due punti di riferimento temporali che raccontano quella continuità che dalle ricerche futuriste ha portato alle origini dell’astrazione.

Il titolo scelto per la rassegna, Dove la luce, è ispirato a una lirica di Giuseppe Ungaretti, poeta e scrittore amico di Dorazio, con il quale, tra l’altro, nei primi anni Settanta pubblica un volume illustrato, nonché grande estimatore di Balla, di cui si occupa anche come critico, interessandosi proprio alle sue indagini sull’elemento luminoso.

Il dialogo tra le Compenetrazioni di Balla e le Trame di Dorazio è amplificato in mostra dal bell’allestimento progettato dall’architetto Mario Botta, che, se da una parte ha voluto instaurare un continuo rimando visivo tra i lavori dei due pittori, dall’altra ha voluto sottolinearne le differenze, realizzando due contesti espositivi completamente diversi: nicchie bianche per accogliere gli schizzi di piccolo formato di Balla, grandi superfici nere per ospitare i dipinti di Dorazio.