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Giovanni Luisoni, fotografo del territorio
Primi piani - L’intento, da buon documentarista, è quello di porgere al futuro un ritratto del presente
Stefano Spinelli
Oggi incontriamo, nel bel Mendrisiotto, all’imbocco della Val di Muggio – la valle più a sud della Svizzera, come ama dire lui stesso –, Giovanni Luisoni. Fotografo del territorio, del paesaggio e della sua gente. Luisoni lavora con la fotografia da oltre mezzo secolo, e tanta parte di questo tempo l’ha dedicata – con l’occhio al mirino – all’attraversamento di questa regione.
La fotografia s’insinua nella sua vita già da ragazzo; la sceglie dapprima per curiosità, poi da appassionato, e infine quale mestiere di cui vivere. E con cui esprimersi. Siamo tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta: «Da ragazzo guardavo incuriosito le persone che possedevano un’apparecchiatura fotografica con cui scattare immagini per l’album della memoria. Desideravo solo poterlo fare anch’io, un giorno. Forse, dentro di me, già era nata la passione, anche se ancora non avevo né i mezzi, né la possibilità reale di poterla sviluppare». Difatti, si forma prima come pittore-decoratore, per aiutare nel lavoro il padre. È solo all’inizio degli anni Settanta, a ventisette anni, che Luisoni apre i suoi due studi fotografici a Morbio e a Mendrisio, dopo aver avuto un paio d’importanti e formative esperienze professionali, in televisione e presso lo studio Tritten di Lugano.
Non si nega mai a un lavoro: in quegli anni – ma ancora oggi – viene sollecitato con richieste di vario genere, da ogni dove e in particolare dall’ambiente circostante. Ogni esperienza è un’occasione di crescita, specialmente per un autodidatta come lui (così ama definirsi). Per sbarcare il lunario, Luisoni passa dai servizi matrimoniali alla fotografia tecnica, agli still life, alla foto d’architettura, alle riproduzioni d’arte, divenute con l’andare del tempo una sua specializzazione. Architetti di fama come Botta, Gianola, Carloni, si sono avvalsi del suo contributo. Tami, in particolare, ma anche Snozzi, di cui ha documentato per una pubblicazione i vari interventi architettonici realizzati a Monte Carasso. Collabora nel contempo con giornali e riviste scattando foto di cronaca e proponendo suoi reportage e paesaggi.
Ma è nell’amicizia col fotografo Gino Pedroli, noto esponente della fotografia ticinese del ventesimo secolo – da Luisoni considerato anche suo maestro – che nasce la fatale attrazione per il territorio. «Con Gino si parlava, e poi m’insegnava tante cose: di amare quello che fai, di amare il tuo territorio, di amare la gente che ci vive; un concetto che ho voluto approfondire». Ed è così che per vari decenni, armato di macchine fotografiche – dal piccolo e medio fino, talvolta, anche al grande formato – percorre e documenta, per lavoro ma in gran parte per suo personale interesse, il territorio in cui ha da sempre vissuto e nel quale, ci confessa, ha trovato tutto, in tutta la sua semplicità.
Il profilo delle montagne, le pianure, i volti delle persone che ci vivono, ci lavorano: «Qui ho trovato tutto quello che cercavo. Tutto. In cinquant’anni anni e oltre, riesco a fare ancora qualcosa in questo territorio, che mi ha legato e mi legherà per sempre. Perché, alla fine dei conti non bisogna fare chissà che cosa, dei grandi passi, per poter veder qualcosa: l’abbiamo lì, sotto casa. Sulla soglia di casa abbiamo tutto e basta avere il cuore e la mente aperti per trovare le cose. E le trovo ancora oggi, magari gli stessi luoghi, stessi momenti, stesse stagioni, ma ogni volta è diverso, ogni volta è cambiato. Questo territorio si è insinuato dentro di me al punto che non potrei fare altro, altrove».
L’intento, da buon documentarista, è quello di porgere al futuro un ritratto del presente. Di un oggi che, negli anni, ha portato con sé tanti e sempre più veloci cambiamenti. Non tutti positivi. Da qui anche lo stimolo a realizzare immagini che, senza di lui, testimone di questi luoghi, non sarebbero state scattate, e con le quali può ora porre lo spettatore di fronte a una riflessione sul valore del territorio e sull’importanza di una sua equilibrata gestione. Da qui, anche la necessità di proporre pubblicazioni, affinché ne rimanga nel tempo la testimonianza. Cinque sono le belle, intense e dense, raccolte di immagini, sul Mendrisiotto e la Valle di Muggio – sulla soglia di casa – da lui tanto amata, mandate alle stampe.
Il forte senso etico legato alla pratica di Luisoni non è scevro dalla ricerca del bello. Bellezza, che incontra anche nel manifestarsi della tristezza. Il bello che c’è nelle belle cose ma anche in quelle meno belle, da cui la bellezza va tratta fuori. O in quelle proprio brutte, come ne possiamo incontrare – qui, il pensiero, è il mio – ove ci si confronti con lo sviluppo urbanistico selvaggio dei nostri ormai tristi, o meglio detto, squallidi fondovalle.
Luisoni, questo lavoro documentaristico – in senso proprio –, fortemente poetico, l’ha realizzato, e continua a realizzarlo, perlopiù in pellicola bianco e nero. Che fosse per i giornali, ma anche per l’architettura o i servizi matrimoniali, nei vari campi in cui è stato attivo professionalmente, era il bianco e nero a essere solitamente da lui utilizzato. E l’abitudine di guardare con gli occhi la realtà a colori e di tradurla in tonalità di grigi, l’ha coltivata fin dagli inizi. Così come l’amore per la camera oscura, per quella dimensione «artigianale» del mezzo fotografico, che ancora oggi lo affascina e lo accompagna. Rispetto al colore, il bianco e nero gli dà e trasmette qualcosa in più – un sentimento, a mio avviso, per tanta parte condiviso da chi ha ancora avuto modo di vivere quel tempo ormai mitico.
Ma non per questo, nel suo lavoro personale, ha scansato il colore, dove per ragioni strettamente legate al soggetto ritratto se ne fosse presentata la necessità. E se n’è avvalso col digitale. Tecnologia che ha utilizzato fin dal suo imporsi nella fotografia professionale, dalla fine degli anni Novanta, inizio Duemila. Il colore, digitale, a suo avviso facilita il fotografo, documentando la realtà, dove il colore, appunto, s’impone. Per il bianco e nero, il discorso è diverso e, come già detto, Luisoni continua a prediligere la pellicola che, ritiene, dia ancora oggi risultati dal suo punto di vista migliori rispetto al digitale.
Pur con un pensiero al fotografico un po’ preoccupato circa il suo futuro – per l’avvento dell’intelligenza artificiale, portatrice con sé d’incertezza rispetto alla possibilità di riconoscere la verità trasmessa dalla fotografia – Luisoni ci saluta col gentile sorriso di chi, passata una vita dietro al mirino, sa di aver compiuto un grande e irrinunciabile lavoro al servizio della comunità.