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Il Napoleone di Ridley Scott è senza energia

Cinema  ◆  Delude il film che in queste settimane è nelle nostre sale, anche l’interpretazione di Joaquin Phoenix non convince
/ 11/12/2023
Nicola Falcinella

Stanley Kubrick, che a lungo sognò un film su Napoleone e realizzò molte ricerche e bozzetti preparatori (costituivano un pezzo forte di una notevole mostra sul regista di Arancia meccanica circolata qualche anno fa), lo definì «tremendo», pur lodandone «la tecnica all’avanguardia». Il Napoleon di Abel Gance, realizzato tra il 1925 e il 1927 e proiettato la prima volta il 7 aprile 1927, è il punto di riferimento obbligato per i film (non tantissimi per le evidenti difficoltà dell’impresa) sul generale e imperatore che cambiò il volto dell’Europa. C’è da dire che l’incontentabile Kubrick poté vedere una versione incompleta dell’opera: solo negli ultimi decenni, grazie soprattutto alla dedizione dello studioso britannico Kevin Brownlow, sono state ricostruite oltre cinque ore e mezzo delle nove originarie realizzate da Gance. Tra le oltre venti diverse rimaneggiature va menzionata quelle curata da Francis Ford Coppola con il sottofondo delle musiche di suo padre Carmine, una delle più agevoli da rintracciare.

Ora con il personaggio si è confrontato Ridley Scott realizzando un kolossal da 200 milioni di dollari: due ore e tre quarti nella versione per la sala e quattro ore pronte per Apple Tv+, che l’ha prodotto. Un film ambizioso nelle mani del regista ottantacinquenne che, da I duellanti (ambientato sempre in epoca napoleonica) ad Alien, Blade Runner, Thelma e Louise o Il gladiatore, aveva reso bigger than life tante storie e personaggi. Alle prese con uno dei politici e condottieri più celebrati e importanti di sempre, il cineasta ne ha fatto però un piccolo uomo, quasi più un incidente che un motore della Storia. Dal punto di vista politico questo Napoleon sembra trovarsi ripetutamente al posto giusto al momento giusto, senza particolari spinte ideali, e la maggiore ossessione è quella amorosa.

In aggiunta se ne può leggere un velato sentimento anti-napoleonico, del resto Scott non scorda di essere inglese: la Gran Bretagna (non a caso sempre insieme alla Russia) resta ancora la più agguerrita rivale dell’idea di unificazione europea che già animava Bonaparte. Dimenticata la magnifica apertura con la battaglia a palle di neve filmata da Gance, con Napoleone che si rivela abilissimo stratega già da ragazzino, Scott inizia invece nel 1793, in pieno Terrore.

Il regista alterna il privato con le battaglie, rischiando di ridurre la vicenda a una telenovela interrotta da guerre

Maria Antonietta è condotta al patibolo, osservata da un giovane ufficiale, unico tra la folla a non lasciarsi inebriare dal giustizialismo e dal sangue. Nasce forse in quel momento la sua fascinazione per il regno, le regine e Giuseppina, che è uno dei temi portanti della pellicola. Il regista passa a mostrare la successiva presa del porto di Tolone contro le navi con lo stemma di San Giorgio, che, condotta in condizioni sfavorevoli, rivelò l’ardimento e le capacità del giovane corso.

Il regista alterna il privato (la famiglia e soprattutto l’incontro e l’amore con Giuseppina de Beauharnais) con le battaglie, rischiando di ridurre la vicenda a una telenovela interrotta da guerre. Il contesto (del resto tre ore scarse sono poche per trent’anni fitti di successi, rovesci, risalite e tante innovazioni) è sacrificato, ridotto all’osso. Basti dire che il titolo di lavorazione (la sceneggiatura è di David Scarpa che per Scott aveva già scritto Tutti i soldi del mondo) fosse Marengo, battaglia della quale la versione per il grande schermo non comprende neanche un fotogramma e la stessa campagna d’Italia, punto di svolta della parabola di Bonaparte, è liquidata in una battuta. La pellicola entra nel vivo con la battaglia di Austerlitz, quella resa meglio di tutte, specie nella messa in scena della trappola sul lago ghiacciato che portò alla sconfitta degli eserciti russo e austriaco. E, dal punto di vista dello spettacolo, anche la sconfitta di Waterloo è una degna conclusione. Il risultato non è un brutto film, sebbene non sia troppo coinvolgente: paragonato ai kolossal dei nostri giorni se la cava bene anche nell’utilizzo di effetti speciali necessari ma non soverchianti e fini a loro stessi. Qualche imprecisione e superficialità storica è quasi inevitabile e i film non possono essere valutati alla stregua di un documento storiografico.

Un altro limite è forse rappresentato dal protagonista Joaquin Phoenix: sebbene costituisse una certezza per il regista (in più di una situazione richiama il suo Commodo de Il gladiatore), per i produttori e per il richiamo al botteghino. L’attore ha l’età del Napoleone degli ultimi anni e non quella del generale ambizioso che bruciò le tappe e gli manca un po’ dell’energia e di folgore negli occhi: si mostra adatto alla fase rovinosa più che a quella ascendente. Convincono maggiormente la presenza e l’interpretazione di Vanessa Kirby, una delle attrici più lanciate di oggi (rivelata al grande pubblico da The Crown, è stata premiata alla Mostra di Venezia per Pieces of a Woman), nel ruolo di una Giuseppina ben consapevole del suo potere.

Gance, nella sua grandeur politica e cinematografica, presentava il giovane corso subito impegnato in azione, qui appare la prima volta come spettatore, poi ossessionato dall’amata più che dalla carriera, dalle battaglie, dal consolidamento delle idee rivoluzionarie e dalla realizzazione della «Repubblica universale».

Significativo che Scott concluda con la conta dei caduti nelle guerre napoleoniche, facendo di Napoleone un seminatore di morte e distruzione manco si trattasse di Adolf Hitler.