azione.ch
 



Rivoluzione Callas a un secolo dalla nascita

Anniversario  ◆  Un ricordo del soprano statunitense di origini greche
/ 27/11/2023
Giovanni Gavazzeni

Al centenario della nascita Maria Callas (1923-1977) giunge più famosa che mai. Le sue lettere valgono come e più di quelle dei celebri compositori di cui fu interprete indimenticabile, Verdi compreso. La caccia agli autografi da cui trarre rivelazioni ha conosciuto una vera e propria impennata negli ultimi decenni, inframezzata dalle dispute sulla cospicua eredità, divisa fra l’ex-marito Giambattista Meneghini, la madre Evanghelia, la sorella Jackie. Pettegolezzi finiti a riempire biografie promettenti rivelazioni sulla vita privata, diventata pubblica dopo l’entrata nel jet set internazionale come amante del Paperone greco Aristotele Onassis.

Il magnate che poi la ripudiò senza molti scrupoli per impalmare la vedova del presidente Kennedy. Erano gli anni in cui la Divina Maria scendeva dal panfilo Cristina, dov’erano ospiti Winston Churchill e Lady Clementine, mentre il ritorno alle scene diventava una frustrazione: la primadonna assoluta fu costretta a limitarsi a qualche disco nel registro di mezzo soprano (una meravigliosa Carmen), alla recitazione come protagonista della Medea di Pier Paolo Pasolini, a una serie, per altro splendida, di concerti, all’insegnamento sporadico (le masterclass alla Juilliard School), a un non felice tentativo registico per i Vespri siciliani con cui inaugurò il Nuovo Teatro Regio di Torino a quattro mani con lo storico partner, il tenore Giuseppe Di Stefano. La Callas aveva imboccato quel viale del tramonto, così ben descritto nel film Callas forever di Franco Zeffirelli, quando ascolta e recita da sola i suoi dischi, piangendo a dirotto. Il regista fiorentino aveva ereditato l’ammirazione per il genio della Callas dal suo maestro Luchino Visconti. Questi da autentico Pigmalione trasformò la sovrabbondante ragazzona greco-americana in una sorta di Audrey Hepburn lirica, rivestita dagli abiti della sarta della Milano altoborghese, Biki.

La Callas trasformata in Diva divenne non solo la cantante che aveva portato nel mondo dell’opera una ventata rivoluzionaria, ma fu considerata alla stregua di una grande attrice che mutava a seconda del personaggio con straordinaria aderenza alla parte – paragonabile forse solo al contemporaneo ciclone rappresentato in teatro e nel cinema da Anna Magnani.

Eppure quando interpretò al Teatro alla Scala nel 1952 il suo ruolo forse maggiore, Norma nell’opera di Bellini (dopo aver inaugurato la stagione per due anni consecutivi come veemente eroina verdiana nel Macbeth e nei Vespri siciliani), c’erano ancora spettatori che le davano dell’imbrogliona, per non dire di frange loggionistiche irriducibili che, lanciandole ortaglie in scena, le rimproveravano certe note schiacciate lungo il passaggio tra registro medio e superiore e i suoni velati nel centro e nel grave. Nei brevi anni del successo, la Callas divenne anche bersaglio ossessivo di un critico musicale che non sopportava i numeri uno (i suoi odi erano equamente ripartiti con il direttore d’orchestra Victor de Sabata e il pianista Arturo Benedetti Michelangeli). La Callas lo denunciò per diffamazione, perdendo. I suoi sostenitori allora si vendicarono mettendo in giro la diceria che il critico fosse uno jettatore. Una sera nel ridotto della Scala, il marito della Callas, Titta Meneghini, al passaggio del critico fece il gesto scaramantico e plateale di infilarsi le mani nei calzoni. Questi si girò e gli disse: «Signor Callas, si tocca i Meneghini?».Giornali, rotocalchi, settimanali, radio, montarono una rivalità accanita con il suo opposto, la Voce d’angelo Renata Tebaldi, che sarebbe stata spodestata dalla Callas a Milano, finendo con il diventare la Regina della Metropolitan Opera di New York.

Quando nel 1958, causa indisposizione, la Callas non riuscì a continuare la serata d’apertura del Teatro dell’Opera di Roma con Norma, il caso divenne una questione nazionale, con interpellanze parlamentari e interviste a chiunque fosse o non fosse in grado di chiarire se l’indisposizione era causata da capriccio divistico o reale malore.Oggi era chiaro che l’incredibile Voce dava i primi segni di «guasto», quelli che l’avrebbero costretta a restringere vieppiù le sue apparizioni, fino alle ultime strazianti recite a Dallas, Londra e Parigi, dove i devoti constatarono la sua fine vocale.

Il suo astro aveva brillato per tredici anni, dal 1947 fino alla fine degli anni Cinquanta. Ma perché tante discussioni e tanto accanimento pro o contro? Risponderemo con l’aiuto del Virgilio dei critici del tempo, Eugenio Gara: «Perché nel suo docile edonismo lo spettatore italiano è disposto a qualunque sacrificio, davanti al quale l’obbedienza alla legge della musica, lo stile, il gusto, vanno al diavolo». La rivoluzione Callas aveva spezzato l’idolatria del bel suono fine a sé stesso, dimostrando una volta di più che una voce è bella o brutta solo se è o non è adatta ad un determinato ruolo.

La sua camaleontica capacità di calarsi in ogni «parte» partiva da un’ancestrale sintonia «greco-tragica» (Norma, Medea, Vestale, Ifigenia), perfettamente inserita nella poetica romantica del belcanto (Anna Bolena, Lucia, Sonnambula, Elvira nei Puritani) e proto-naturalista (Traviata, Carmen), ma diede prove all’epoca non capite in Puccini (salvo Tosca) e nel cosiddetto verismo (Fedora, Maddalena nello Chénier, Manon Lescaut). Capace di exploit come cantare una sera Wagner e un’altra Bellini, rimane incredibile come la figlia di un farmacista greco di Meligalas (Messenia) emigrato a New York, sia riuscita a impadronirsi in modo così assoluto dell’italiano, ma anche nel poco frequentato repertorio francese è stata mirabile.

Cantante-attrice e non primadonna gorgheggiante, la Callas cantava con trent’anni di anticipo sui suoi tempi. Forse anche per questo continuiamo a voler essere «imbrogliati» dalla sua voce: i suoi dischi, in studio e dal vivo, sono fonte perenne di stupore e di studio.

(A completare il ritratto della «divina» c’è la rubrica di Aldo Grasso).