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Con la poesia dentro

Un ricordo della scrittrice Anna Felder, scomparsa lo scorso giovedì
/ 20/11/2023
Stefano Vassere

È fuori di dubbio che il mondo della letteratura svizzera in italiano perda con Anna Felder (scomparsa lo scorso giovedì) una delle sue voci di primo piano e soprattutto una figura esemplare di un tipo particolare di italianità letteraria. Le declinazioni reciproche possibili in riferimento alla lingua e al territorio sono in questo ambito parecchie, e comprendono gli scrittori più strettamente territoriali, quelli territoriali ma con respiro panitaliano, gli scrittori italofoni extraterritoriali e quelli che scrivono in altre lingue ma vivono nel territorio, dove in genere il territorio può essere inteso come la Svizzera italiana tutta, anche nel dominio simbolico dell’italofonia d’Oltralpe. Anna Felder ha occupato un po’ tutte queste opzioni, cui si può accompagnare il prestigio di una pubblicazione in una sede italiana come l’Einaudi, che stampò il suo secondo romanzo nei primi anni Settanta. Felder ha vissuto sempre tra Aarau e Lugano, che raggiungeva spesso per brevi incursioni: nella forma della pendolare piuttosto che in quella dell’emigrante, insomma. E così non ha potuto mai essere attribuita concretamente a un territorio per nessuna stagione della sua esistenza, avendo rinunciato lei stessa a definire quale fosse il luogo nel quale risiedesse stabilmente e quello cui le capitasse di tornare ogni tanto, ed eleggendo alla pari la Svizzera tedesca e il Ticino come due insediamenti equivalenti.

Era nata a Lugano nel 1937; formatasi all’Università di Zurigo, si era laureata con una tesi intitolata La maschera di Montale. Aveva poi a lungo insegnato al Liceo di Aarau ed era entrata in contatto con le esistenze faticose (soprattutto in quei decenni) dei figli dell’emigrazione italiana nella Svizzera tedesca; proprio da quell’esperienza trasse gli spunti narrativi per il suo primo romanzo, Tra dove piove e non piove (Locarno, Pedrazzini, 1972). Sotto il patrocinio di Italo Calvino pubblicò poi La disdetta (Torino, Einaudi, 1974). E seguiranno altri due romanzi, Nozze alte (Locarno, Pedrazzini, 1981) e Le Adelaidi (Bellinzona, Sottoscala, 2007), numerosi racconti e racconti brevi usciti in varie sedi e poi in raccolte (l’ultima, Liquida, Lugano, Edizioni Opera Nuova, è del 2017), parecchi radiodrammi, un’opera teatrale, L’accordatore (Balerna, Edizioni Ulivo, 1997). I suoi testi sono tradotti in tedesco e in francese. Nel 2018 ha ricevuto il Gran Premio svizzero di letteratura per l’insieme della sua opera e da tempo le carte prodotte dalla sua attività sono depositate presso l’Archivio svizzero di letteratura, nella Biblioteca nazionale a Berna.

Il suo stile narrativo si è evoluto nel tempo, da un registro ben saldato nella tradizione nel primo romanzo in direzione di forme divenute, nel succedersi delle opere, via via più liriche e non di rado sperimentali, certamente più asciutte; le scelte linguistiche sono ricercate e sui piani della tecnica e delle soluzioni narrative le invenzioni sono coraggiose e improntate a una concreta padronanza. Lo dice anche Calvino, nella lettera di preavviso per la pubblicazione de La disdetta all’Einaudi (è trascritta in apertura alla riedizione del romanzo del 1991): «il suo modo di raccontare è interessante e compiuto e richiama esperienze della poesia contemporanea». In questo senso, l’attenzione per la forma sembra imporsi sempre più sui contenuti e così non sorprende per nulla l’approdo finale a un canone poetico forse più conclamato, in una raccolta uscita di recente, Venti Frammenti (Lugano, alla chiara fonte, 2013).

Benché questo processo evolutivo la porti lontano dalle prove d’esordio, in modo che si potrebbe definire per tappe successive di pari dignità, di Anna Felder conviene non dimenticare il bel primo romanzo, fosse anche solo per via del titolo (Tra dove piove e non piove vuol dire molte cose, due latitudini, due stati d’animo ‘climatici’, una consolidata precarietà). E per quell’attacco che racconta di una comunità di premurosi bambini italiani che accompagna la maestra alla stazione di Brugg, prima di affrontare le brume notturne attraverso le quali tornare «al di là della scuola nei caseggiati nuovi, pieni come formicai in mezzo ai campi, o nelle baracche di legno in periferia». Certo che poi, come detto, l’attenzione al ritmo e alla musica irromperà definitiva nel suo stile: sarà dunque una narratrice attenta alla poesia, che farà iniziare (lo fa notare lei stessa in una intervista a Yari Bernasconi di qualche anno fa) il suo secondo romanzo con un verso novenario seguito immediatamente un endecasillabo: «Mi prendevano per un gatto/perché facevo bene la mia parte». Un gatto, appunto, che peraltro assume per sua stessa dichiarazione il ruolo di narratore e il cui punto di vista piegherà l’intera vicenda; con una scelta che tra l’altro e con tutta probabilità avrà sostanziato anche l’interesse prevedibile di Calvino e di una sede editoriale accogliente, che, in quegli anni di significazioni così estreme, non poteva che salutare volentieri questo tipo di artificio narrativo.

Nell’ampia intervista sul mestiere di scrivere cui si è recentemente prestata insieme a molti altri scrittori nella raccolta curata da Giovanna Cordibella (I retroscena della scrittura. Come lavorano le scrittrici e gli scrittori in lingua italiana della Svizzera, Locarno, Dadò editore, 2022), Anna Felder rivela tanti aspetti della sua attività compositiva. Ma su tutti sembra di potere isolare due immagini: da una parte un profondo rispetto per la sua professione di docente («l’altra attività imperante» della sua vita) accanto a quella di scrittrice e dall’altra, e ancora, la continua tensione produttiva tra le geografie predilette della Svizzera tedesca e del territorio italofono d’origine: «il mio costante pendolarismo tra le due case, non ha fatto e non fa che alimentare di continuo il confronto, mettendo in luce sempre nuovi aspetti e sviluppi dell’una e dell’altra realtà, che spontaneamente si fanno scrittura». Molti si sono accorti di quanto questo stare alle due latitudini abbia lasciato infiniti indizi nella scrittura di Anna Felder, fin dentro le ultime produzioni letterarie, in bilico ormai tra la prosa breve e – endlich! – la poesia a pieno titolo. In questi giorni nei quali la scrittrice manca alla sua comunità letteraria e culturale, piace ricordare la sua opera con un piccolo testo del 2016, pubblicato nella raccolta Venti Frammenti, in capo alla quale si ribadisce di nuovo che vive insieme «a Aarau e a Lugano» e dove Anna Felder pare parlare più intensamente di sé: «Tanti saluti. La cartolina da imbucare? Mah, scelgo la buca al sole».

Quando uno scrittore abbia concesso tante testimonianze (e lo sanno bene i fortunati famigliari che gli sono sopravvissuti) sono frequenti le occasioni, anche quelle minime, di scovare preziosi e confortanti segnali di una personalità e delle sue abilità: così, tra il molto altro, riesce ancora a intenerirci l’uso giovanile di un tempo antico e gentile, il passato remoto, nella biografia posta in appendice alla tesi di laurea; una rassegna certo priva di tutto quanto sarebbe poi successo nei decenni a seguire, ma forse già anticipatrice di un animo e delle sue disposizioni: «Al Professor Bezzola e al Poeta stesso, Eugenio Montale, che imparai a conoscere molto prima di salutarlo personalmente, rivolgo il mio pensiero riconoscente».