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La nuova favola umanista di Barras

Cinema  ◆  Visita sul set di Sauvages!, il film d’animazione del regista romando che uscirà nel 2024
/ 20/11/2023
Bruno Giussani

L’animatore muove il braccio della marionetta di due millimetri. Verifica la scena e scatta una fotografia. Lo alza di nuovo. Scatta. Le due immagini in sequenza sullo schermo del computer creano l’impressione di gesto di saluto. «Ma quando salutiamo qualcuno non lo facciamo soltanto con il braccio: usiamo gli occhi, il sorriso», dice l’animatore. Che con una pinzetta magnetica «toglie» palpebre e ciglia alla marionetta sostituendole con altre più aperte, pescandole da una scatola che ne contiene una quindicina di varianti. Scambia anche la bocca con una che tende al sorriso. Poi alza il braccio di un altro po’ e scatta una terza immagine.

Siamo a Martigny, negli spazi di una fabbrica in disuso trasformati per sei mesi in set cinematografico per la realizzazione di Sauvages!, il nuovo film d’animazione del regista romando Claude Barras. Sono gli ultimi giorni di riprese. I corridoi sono ingombri di scene e fondali: angoli di foresta, l’ansa di un fiume, cascate, con nomi come «torrente nella nebbia»e «l’albero delle anime». Siamo in uno dei sedici studi ricavati nel grande loft industriale. Dopo aver verificato il risultato, l’animatore posa nuove palpebre e ciglia che “aprono” grandi gli occhi, installa un sorriso deciso e tende il braccio della marionetta verso l’alto. Verifica le luci. Toglie un granello di polvere. Quarto scatto. Ci mostra la sequenza di foto. L’impressione della marionetta che saluta è molto convincente.

Claude Barras si fece notare nel 2017, quando il suo film La mia vita da zucchina fu fra i finalisti al premio Oscar. La protagonista del nuovo film è Kéria, una preadolescente proveniente da una tribù di cacciatori-raccoglitori indigeni della foresta del Borneo, i Penan. Kéria accoglie Oshi, un giovane orango orfano. Cercando di ritrovare le sue radici nel cuore della giungla diventa testimone del disboscamento su larga scala e della resistenza dei Penan.
Quando si parla di questi ultimi, in Svizzera, il pensiero corre a Bruno Manser, l’attivista basilese che negli anni Ottanta visse fra di loro in Malesia, ne difese il modo di vita (e la foresta) con campagne mondiali, e poi scomparve (la sua fine non fu mai elucidata) nel 2000. «Quand’ero adolescente fui molto colpito dall’attivismo di Manser», spiega Barras, «ma non è un film su di lui», anche se uno dei personaggi, Jeanne, una scienziata impegnata sul clima, è un mix di Manser e della famosa primatologa Jane Goodall.
Barras, che si dice molto preoccupato per la crisi climatica e lo sfruttamento delle risorse naturali, per familiarizzarsi con il contesto ha trascorso sei settimane con una famiglia di Penan. Ovviamente, i “selvaggi” del titolo non sono gli indigeni, ma coloro che stringono nelle mani le motoseghe e conducono i bulldozer che distruggono le foreste per far spazio a piantagioni d’olio di palma e a strade.

Oltre a Kéria, Oshi e Jeanne il film è popolato da nove altri personaggi (senza contare gli animali della foresta). Tutti sono pupazzi fra i 15 e i 30 centimetri, hanno uno scheletro articolato in metallo ricoperto di lattice e silicone, mentre la testa – grande, rotonda – è di resina stampata in 3D. «Abbiamo molte braccia rotte», dice un animatore. Sono forse la parte più fragile. Lungo un lato della ex-fabbrica c’è il laboratorio dove le marionette vengono riparate. Appese al muro, decine di piccole braccia di riserva.

Per creare Sauvages!, che spera di presentare al prossimo Festival di Cannes e mandare poi nei cinema dopo l’estate, Barras si è circondato di specialisti da ogni parte del mondo. I titoli di coda conterranno quasi 200 nomi, per un budget di 13 milioni di franchi. La coproduzione è svizzero-franco-belga. I set sono stati costruiti in Francia, le voci registrate a Bruxelles.

Già, le voci. La tecnica dello stop-motion utilizzata da Barras è un metodo di animazione che crea l’apparenza del movimento dei pupazzi scattando una serie di fotografie, ciascuna delle quali rappresenta una piccola variazione, come descritto all’inizio dell’articolo. Prese in sequenza, si crea l’illusione del gesto fluido. Servono almeno 12 fotogrammi al secondo, e il doppio per scomporre movimenti delicati. Per farlo, gli animatori si basano sulle voci. Tutto il film esisteva in versione audio, scritto da Barras e registrato da attori, prima dell’inizio delle riprese. Gli animatori ascoltano parole, frasi e intonazioni per farvi aderire movimenti ed espressioni. E poi scattano. Alla fine, il film conterà 60'000 immagini.

È artigianato ambizioso e preciso. Creare i personaggi in digitale avrebbe fatto risparmiare tempo. Ma solo alcuni effetti come fuoco e fumo verranno aggiunti digitalmente: il supplemento d’anima delle marionette è innegabile. Uno dei compiti di Barras durante le riprese era proprio quello, dice, di «garante delle emozioni» che vuole trasmettere attraverso questa favola umanista: quella di una razza – la nostra, umana – che si è per secoli pensata come separata dalla (e padrona della) natura da cui dipende, e deve ora ricomporre la relazione.