azione.ch
 


La Chimera sarà proiettato al Cinema Iride di Lugano il 16 di novembre alle 20:30. Per le altre sale e date consultare filmcopi.ch

Qui il trailer.


La Chimera di Alice Rohrwacher

Cinema  ◆  Una pellicola che gioca sui contrasti sia a livello formale sia nei contenuti
/ 13/11/2023
Nicola Mazzi

Alice Rohrwacher con La Chimera avrebbe meritato un premio all’ultimo Festival di Cannes. È infatti il suo film più riuscito che la inserisce di diritto tra i cinque registi italiani contemporanei più interessanti e importanti. Da non perdere dunque tra le varie proiezioni in programma nella Svizzera italiana a partire dal 16 novembre (per tutte le informazioni consultate il sito filmcopi.ch).

Il film è ambientato negli anni 80, nel Centro Italia, nella regione dove, secoli prima, vivevano gli Etruschi (tra Tarquinia, Cerveteri, Blera, Sorano e Pitigliano). Seguiamo le vicende di alcuni paesani che campano facendo, illegalmente, i tombaroli. Saccheggiano le sepolture etrusche per vendere illegalmente gli oggetti trovati a un mercante d’arte. In paese arriva Arthur (bravissimo e stralunato Josh O’ Connor), un inglese trasandato in abito bianco appena uscito di prigione che, grazie ai suoi poteri sovrannaturali, riesce a trovare in fretta i luoghi nei quali scavare. E, malgrado sia visto come lo straniero, è coccolato e trattato come un principe.

La Chimera è una pellicola che gioca molto sui contrasti. Di ogni tipo. Ci sono infatti le tombe, simbolo di morte e di antichità e i giovani tombaroli che le saccheggiano. Ma ci sono anche edifici nuovi (come la vicina azienda elettrica di Civitavecchia) che si contrappongono, nella narrazione, a una stazione abbandonata. Quest’ultimo è un luogo importante nel film perché la parte sana di quella comunità si aggrega per ristrutturarla e per iniziare una nuova vita, senza più basare la propria sopravvivenza sui saccheggi.

I contrasti sono presenti anche negli spazi della pellicola. Se lo scavo delle tombe è chiaramente un segno verticale, il mare vicino alle tombe è il simbolo, per eccellenza, dell’orizzontalità. Senza dimenticare gli opposti musicali. La colonna sonora ha infatti un ruolo essenziale nella narrazione filmica. L’uso di Vado al Massimo di Vasco Rossi, insieme alle musiche elettroniche che ricordano molto bene gli anni 80 si alternano ai canti folcloristici di quelle zone che si perdono nella notte dei tempi: implicitamente sono un commento ai vari tempi della storia raccontata e aiutano lo spettatore (probabilmente a livello inconscio) a spostarsi nel tempo. I brani diventano, allora, una sorta di macchina del tempo che trasporta lo spettatore dagli anni 80 all’epoca etrusca.

A livello tecnico i contrasti sono accentuati dall’uso di diversi tipi di pellicola: il 35 mm che si presta all’affresco, all’iconografia; il super16 mm che ha una grande densità narrativa e, come una scrittura magica, riesce a farci entrare nel cuore dell’azione, e infine il 16mm di una piccola cinepresa amatoriale, che segna l’immagine come appunti a matita sul bordo di un libro. Differenze che la stessa autrice mette in evidenza nel lavoro fatto grazie al montaggio: «Ho provato a intrecciare dei fili molto lontani tra di loro, come in un arazzo d’oriente. Ho provato a giocare con la materia del film, rallentando, accelerando, cantando, dichiarando e ascoltando. Osservando gli uccelli in volo, che per gli etruschi rappresentano il nostro destino».

Tutto ciò ci porta a dire che il cinema di Rohrwacher – e questo ultimo lavoro ne è la conferma, anzi è il punto più alto raggiunto – è unico nel suo genere ed è sempre riconoscibile. Perché, volontariamente, si mette sempre in bilico tra il reale e il magico, tra l’arcaico e il moderno e insegue un’utopia, una chimera appunto che non raggiunge mai.

Peter Bradshaw, noto critico del «Guardian», allarga il discorso a un pensiero sociale che in qualche modo si rispecchia anche nell’immagine del film che abbiamo scelto di mettere in pagina: «È un’opera vivace e brulicante di vita, con personaggi che lottano, cantano, rubano e rompono la quarta parete per rivolgersi direttamente a noi. Come nel suo film precedente, Lazzaro Felice, Rohrwacher si concentra su un senso struggente dell’Italia come scrigno di glorie passate, una cultura necropolitana di antica eccellenza. La si può saccheggiare per i manufatti del presente e per gli spiriti resuscitati, ma a costo di incorrere in una terribile tristezza: la sensazione di circondarsi di fantasmi».