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Dove e quando

Esperienze della Svizzera – Italianità, Museo nazionale svizzero, Zurigo. La mostra si prende una pausa per lasciare spazio all'esposizione natalizia e riapre dal 14 gennaio al 14 aprile 2024.

Ma-me 10.00-7.00, gio 10.00-19.00, ve-do 10.00-17.00.vwww.landesmuseum.ch


Il Landesmuseum parla italiano

Mostra  ◆  Un viaggio attraverso l’italianità in Svizzera tra le sue diverse origini e le sue numerose espressioni.
/ 06/11/2023
Stefano Vassere

La mostra Esperienze della Svizzera – Italianità, in corso al Museo nazionale svizzero, è come si usa dire piccola ma molto densa, consistendo di fatto nella platea di un’ampia proiezione a muro e in una bacheca elettronica che permette di accedere a documentazione generale a proposito della diffusione della nostra lingua nel Paese (ad esempio la vignetta raffigurata qui a lato del «Nebelspalter» del 10 novembre 1917 che mostra la divisione della Svizzera lungo il confine linguistico all’inizio del XX secolo).

La scelta delle voci proiettate sul muro del museo ha il merito di testimoniare le possibili forme di lingua e di atteggiamento culturale

Gran parte degli sforzi di chi si occupi di queste tematiche riguarda la necessità di stabilire alcuni distinguo in merito alla diffusione dell’italiano in Svizzera, fenomeno che ha finito per produrre modi diversi di parlare: se dagli immigrati italiani arriva un certo tipo di varietà (o più varietà, perché ogni italiano che giunge in Svizzera arriverà da un posto diverso e magari non parla nemmeno l’italiano ma il dialetto), altri modi di articolare l’italiano saranno generati dai ticinesi e dai grigionesi e ancora diverso sarà l’italiano usato nelle amministrazioni federali, o quello portato da immigrati recenti e più attuali, o ancora quello della televisione italiana guardata a Schlieren o a Brugg.

La scelta delle testimonianze proiettate sul muro del Landesmuseum ha un indubbio e probabilmente inedito merito: quello di testimoniare insieme tutte queste possibili forme di lingua e di atteggiamento culturale. Come nel caso un po’ estremo di Pierre di Sion, che dice che «non si è mai sentito trattato come un italiano» e che quando va in Italia gli manca «l’ambiente del Vallese»; e lo dice in francese, rappresentando quella sorta di italianità senza lingua molto frequente soprattutto nei fenomeni di emigrazione geograficamente molto lontani. Poi c’è la condizione curiosa di Addei, che è somala e sta a Friburgo, e porta in Svizzera un’italianità già esportata in Africa; e, ritrovatasi in Svizzera quasi per caso, incontra di nuovo questa lingua facendo amicizia con studenti ticinesi. Rosanna di Zurigo, testimone di una tradizione solida e di grande dignità, quella delle Colonie libere e dell’immigrazione impegnata e consapevole, ha parole secche e di denuncia: verso i mancati ricongiungimenti, le baracche, gli scolari messi nelle classi speciali solo perché non conoscevano la lingua locale, il rifiuto assoluto e un po’ sofisticato dello Schwyzerdütsch, e però l’amore per la città di accoglienza.

Lara di Jona rappresenta un ulteriore fenomeno foriero di variazione linguistica e culturale, una ulteriore tipologia: la nascita in Svizzera da genitori migranti, il rientro in Italia con la famiglia dove va a scuola e all’università e lavora un po’, il ritorno in Svizzera a insegnare l’italiano: una specie di catena potenzialmente disorientante e che genera una (re)integrazione particolare, perché Lara fa anche in Svizzera quasi tutto in italiano, ormai: musica, giornali, televisione, lingua. Tutto. E dice, soprattutto: «Oggi gli italiani sono amati!». Perché questo è un altro fattore: dopo gli anni e i decenni che abbiamo conosciuto, gli italiani sono oggi finalmente quasi ammirati, complici i poteri morbidi, la moda, la cucina, le arti, forse il calcio e un paio di campionati del mondo.

È, per concludere, decisamente originale la testimonianza di Sacha, che a Berna dirige una importante istituzione storica. Secondo lui tutto quello che deve fare uno del Grigioni italiano nel resto della Svizzera «è estremamente più difficile» e che negli anni degli studi e dell’impegno successivo per la causa ha «dovuto imparare a celebrare l’italiano».

L’italianità in Svizzera (come quasi tutto, in Svizzera) ha origini infinite e forme a volte tortuose, e forse la migliore parabola simbolica è quella di Sandro di Ginevra: girava con una bicicletta che portava una bandierina italiana, ma a quei tempi sembra fosse proibito da chissà quale autorità; e allora la piccola insegna era stata sostituita da quella del cantone di Neuchâtel, che ai colori del tricolore affianca, come in una specie di destino grafico, una minuscola croce svizzera.