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La forza e la stabilità del franco svizzero

I periodi di crisi fanno della nostra moneta un «bene rifugio» ma c’è anche da considerare il rovescio della medaglia
/ 30/10/2023
Ignazio Bonoli

Lo scorso 18 ottobre il franco svizzero toccava un nuovo primato nei confronti dell’euro. O, se volete, l’euro era sceso al livello più basso da sempre nei confronti del franco svizzero: valeva infatti solo 0,9449 franchi. Il primato precedente risale agli ultimi giorni del mese di settembre del 2022, quando l’euro era sceso a 0,9497.

Da tempo si vede comunque un generale indebolimento delle varie valute nei confronti del franco. Vi sono però momenti in cui il ribasso si accentua a causa di vari fattori. In primo luogo va considerata la storica forza del franco, dovuta alle prerogative svizzere: economia e politica stabili ed efficienti, enti pubblici ben organizzati, burocrazia contenuta nei confronti della maggior parte degli altri Paesi, soprattutto europei, e anche una politica monetaria credibile. Si aggiunga anche – per citare un caso recente – il modo con cui il Consiglio federale ha risolto il caso Credit Suisse. Ha infatti evitato l’allargarsi di una crisi finanziaria a livello mondiale e per questo è stato apprezzato a livello internazionale, forse più che in patria.

Vi sono però momenti in cui la domanda di franchi svizzeri sui mercati internazionali aumenta. In tempi recentissimi possiamo considerare tali la guerra in Ucraina e più ancora lo scoppio del conflitto in Medio Oriente, entrambi accompagnati anche da un aumento dei tassi di interesse pagati sul franco svizzero. Talvolta anche qualche grossa crisi valutaria contingente a un singolo Paese o a un’area monetaria. Sono momenti in cui il franco diventa il classico «bene rifugio», a cui si ricorre per cercare di salvare il valore dei propri investimenti. Ma recentemente il franco svizzero ha avuto altri due sostegni importanti e cioè una migliore rimunerazione anche sui titoli obbligazionari e la dichiarazione del presidente della Banca nazionale che confermava l’intenzione dell’istituto di ridurre le enormi riserve in valuta estera, cedendole sui mercati contro franchi svizzeri.

Da tempo sappiamo anche che il franco è ormai diventato il mezzo migliore per non importare inflazione e lo dimostra il fatto che, in Svizzera, il tasso di inflazione è inferiore al 2% (obiettivo di tutte le banche centrali) mentre in Europa è ancora superiore al 4%. Come sempre vi è però anche il rovescio della medaglia: nel caso specifico un aumento dei prezzi delle esportazioni svizzere, oltretutto in un periodo in cui le economie di quasi tutti i Paesi stanno rallentando. Talvolta, comunque, con il correttivo di una diminuzione dei prezzi delle materie prime e dei prodotti semi-lavorati da importare. Effettivamente il fattore determinante per le imprese esportatrici è piuttosto la congiuntura e la domanda dei Paesi importatori.

Oltre al dollaro – che in certe circostanze, e tenuto conto della congiuntura americana, è a sua volta un «bene rifugio» – in momenti politicamente difficili, come quello che stiamo vivendo, anche l’oro vede fortemente aumentare la domanda. Dopo aver superato in primavera il limite dei 2000 dollari l’oncia, il dollaro ha perso progressivamente terreno fino a scendere poco sopra i 1800 dollari l’oncia. Al momento dello scoppio del conflitto in Medio Oriente l’oro è subito salito sopra i 1950 dollari e continuerà probabilmente ad aumentare il suo valore, in parallelo con le tensioni geopolitiche del momento.

D’altro canto il franco svizzero nella funzione di «bene rifugio» ha precisi limiti dovuti alle dimensioni della Svizzera anche in campo monetario. Non va infatti dimenticato che il 70% della capitalizzazione globale dei mercati borsistici è espressa in dollari e che i prezzi di alcuni prodotti (primo fra tutti il petrolio) sono fissati in dollari americani. Se però anche il dollaro, per motivi economici o anche politici, è soggetto a pressioni, la domanda di franchi aumenta e spinge verso l’alto le quotazioni del franco rispetto alle altre valute.

Determinante, anche a lunga scadenza, è spesso il differenziale dei tassi di inflazione tra la Svizzera e gli altri Paesi. Sotto questo aspetto anche il franco svizzero, dopo una fase di forte apprezzamento tra il 2007 e il 2021, è rimasto molto stabile. Così anche la decisione improvvisa della Banca nazionale svizzera, nel 2015, di abbandonare la difesa contro una troppo forte rivalutazione del franco sull’euro ha avuto effetti limitati. Dopo qualche giorno di forti oscillazioni le quotazioni del franco hanno ritrovato una buona stabilità.

Uno sguardo sull’andamento delle varie valute negli ultimi vent’anni (dati del 15 ottobre 2023), rispetto al franco svizzero, mostra tassi di svalutazione che vanno da un minimo del 34,2% per il dollaro della Nuova Zelanda a un massimo del 60,8% per lo yen giapponese, passando per il dollaro americano con il 42,6% e l’euro con il 39,8% (vedi tabella). Anche questa una conferma della forza intrinseca del franco, ma anche della sua stabilità nel tempo, che ne fanno i motivi principali della sua ricercatezza.