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La Pisside di al-Mughira, gioiello del X secolo

Il tesoro nascosto – 2  ◆  Tra le bellezze conservate al Louvre c’è anche questo capolavoro intagliato in avorio dell’Islam classico
/ 30/10/2023
Gianluigi Bellei

Il Musée du Louvre a Parigi è diviso in sette Dipartimenti: quello delle Antichità orientali e arti islamiche, delle Antichità egizie, delle Antichità greche, etrusche e romane, degli Oggetti d’arte, delle Sculture, delle Pitture e delle Arti grafiche.

L’Oriente è rimasto per molti secoli vasto e misterioso. Conosciuto quasi unicamente per mezzo dei racconti della Bibbia. La curiosità porta alle prime ricerche archeologiche. Iniziano nel 1842 quando Paul-Emile Botta si dedica agli scavi per riscoprire Ninive. L’anno successivo viene ritrovato a Khorsabad il palazzo e le sculture di Sargon II d’Assiria. Trent’anni dopo Ernest de Sarzec ritrova nella località di Tello testimonianze dei Sumeri. Questa scoperta porta alla creazione al Louvre del Dipartimento delle arti orientali nel 1881.

Dopo il 1918 la Francia riceve dalla Società delle nazioni il mandato internazionale per gli Stati del Levante, Siria e Libano e inizia le ricerche delle antichità che vengono, dopo il ritrovamento, divise fra il Louvre e i musei locali. Il Dipartimento è suddiviso in Oriente classico (Mesopotamia, Anatolia, Iran, Levante, Arabia) e Islam. Da ricordare il Codice di Hammurabi, un basalto della prima metà del XVIII secolo avanti Cristo. Hammurabi è il sesto re della dinastia di Babilonia e fa incidere questa stele con una raccolta di sentenze regali esemplari. In alto il faccia a faccia del re con il dio Sole Shamash. Poi la Porta sorvegliata da tori alati assiri del palazzo di re Sargon del 721-705 avanti Cristo. Le porte sono difese da coppie di tori androcefali. Infine Gli arcieri di Dario, un bassorilievo in mattoni smaltati del 500 avanti Cristo alto due metri. L’esercito persiano indossa il vestito pieghettato da parata.

Diverso il percorso del mondo musulmano. Già dai tempi delle crociate approdano in Occidente oggetti importanti. Poi una serie di legati arrivano dalla baronessa Rotschild nel 1922, dalla signora Stern o da Raymond Koechlin. Le opere del Dipartimento provengono dall’Islam classico: dalla Spagna al Nord dell’India. Quelle del Maghreb sono al Museo delle arti africane. Diversi sono gli oggetti interessanti: dal siriano Vaso Barberini della metà del Duecento al Bacile detto Fonte battesimale di San Luigi dell’inizio del XIV secolo fino alla Pisside di al-Mughira. Il contesto storico di questa Pisside parte dalla dinastia Omayyade che, nata in Oriente, è la prima titolare dell’eredità del Califfato che incarna l’unità politica e religiosa dell’Impero islamico. Nel 750 la famiglia viene massacrata da alcuni rivali. Uno solo si salva e scappa verso la Spagna dove approda nel 775 stabilendosi a Cordova: Abd al-Rahman I. Nel 929, sotto Abd al-Rahman III gli Omayyadi riprendono il titolo perduto di califfi. Durante il loro califfato l’Andalusia si riempie di opere d’arte splendide come per esempio la spettacolare Grande moschea di Cordova che rivaleggia con quella di Damasco. Abd al-Rahman III, già avanti con gli anni, prepara la sua successione designando il primogenito al-Hakam II ma, considerato il suo poco interesse per le donne, preferisce come suo successore il principe al-Mughira. Quando muore nel 961, al-Mughira ha solo 15 anni ed è quindi troppo giovane. Il primo figlio di Abd al-Rahman III, Al-Hakam II accede quindi al trono a 46 anni. Alla sua morte nel 976 il secondo figlio Hisam II, nato dall’unione con una schiava, è anche lui troppo giovane per succedergli. Invece al-Mughira, che ha circa 17-18 anni, si rivela il candidato perfetto. Al-Mugihira però viene assassinato subito dopo la morte di al-Hakam II e i congiurati designano proprio Hisam II che diventa una marionetta nelle loro mani.

La Pisside di al-Mughira (nella foto) è un piccolo gioiello del X secolo; un capolavoro universale formicolante di immagini. Intagliato in avorio tratto dalle zanne di un vecchio elefante. Alta 16 centimetri per 11,8 di diametro. Vi sono scolpite 48 figure di uomini e animali. 69 in tutto con il coperchio. Il che smentisce ancora una volta la tesi dell’assenza di figurazione nel mondo islamico. Le figure si staccano dal fondo vegetale animato da perforazioni. Un’opera di un virtuosismo ineguagliabile. Viene acquistata dal Louvre nel 1898 per 55’000 franchi d’oro (una somma allora considerevole) dall’antiquario Stanislas Baron. Le scene sono sia grandi che piccole. Vi sono 4 medaglioni grandi concatenati assieme. Nel primo troviamo 3 figure simmetriche con al centro un suonatore di liuto e ai lati due personaggi seduti su di una piattaforma sorretta da due leoni. La figura di sinistra tiene in mano un flacone e un lumino e quella di destra un ventaglio. Nel medaglione seguente vediamo due personaggi che si danno le spalle e tendono le braccia per prendere le uova dal nido di due falconi mentre due cani addentano le loro caviglie. Il terzo medaglione contiene due uomini a cavallo che con le mani colgono i frutti di una palma al centro. Sulla groppa dei cavalli due ghepardi mordono la coda dei falconi appollaiati sulla testa dei cavalieri. L’ultimo medaglione ha una doppia immagine: due leoni che attaccano la schiena di due tori. Gli interstizi sono decorati con leoni, uccelli, roditori, cervi capre, falchi pellegrini, cani e animali fantastici. Sul bordo del coperchio troviamo la scritta in carattere cufico: «Benedizione di Dio, favore, gioia e beatitudine per al-Mug.hīra, figlio dell’emiro dei credenti. Che Dio sia misericordioso di quello che è stato fatto nell’anno 357 (il 968 della nostra era)». Fino a pochi anni fa l’interpretazione principale di tutte queste figure era che illustrassero i piaceri di corte. Sophie Makarion, nel suo volume edito dal Louvre, sostiene che siano simbolo del potere legittimo degli Omayyadi; un loro programma politico e precisamente quello di al – Mughira il quale appare fiero dei suoi 18 anni, con un destino glorioso simboleggiato dal pavone impettito. I falchi sono una metafora della dinastia degli Omayyadi, mentre i leoni rappresentano un’iconografia regale.