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Dove e quando
Emil Nolde – Herbert Beck. La forza del colore, Fondazione Gabriele e Anna Braglia, Lugano, fino al 16 dicembre.
Gio-ve-sa 10.00-12.45 e 14.00-18.30.

Emil e Herbert, una storia di colori e amicizie
La Fondazione Gabriele e Anna Braglia espone uno accanto all’altro Nolde e Beck, i due maestri dell’espressionismo tedesco
Natascha Fioretti
Ricordo come fosse ieri la mostra allestita all’Hamburger Bahnhof di Berlino, museo di arte contemporanea, dedicata a Emil Nolde. Era il 2019, la mostra si intitolava Emil Nolde – Eine deutsche Legende. Der Künstler im Nationalsozialismus. Un tripudio di colori. Che fascino emanavano quei paesaggi nordici e quei fiori (penso ai suoi girasoli, alle distese di cielo infuocate, quasi violente, con i mulini a vento sullo sfondo). Poi, guardando meglio, era la prima volta che un’esposizione indagava le simpatie del maestro espressionista tedesco per il nazionalsocialismo. Volendo, un paradosso, visto che Emil Nolde è probabilmente l’artista «degenerato» più famoso, a nessun altro i nazisti confiscarono così tante opere. Partendo da qui la mostra berlinese si proponeva dunque di indagare come la sua arte e il suo lavoro artistico fossero stati influenzati dal nazionalsocialismo.
Da Berlino a Lugano, qualche anno dopo, ritroviamo Emil Nolde alla Fondazione Braglia, questa volta però in compagnia di un altro maestro tedesco espressionista che in Nolde trovò grande ispirazione: Herbert Beck, definito l’esperto dell’acquerello della sua generazione. Non a caso la mostra è dedicata alla forza del colore che i due erano in grado di imprimere alle loro tele. Si incontrarono una volta sola, nel 1952 alla Galerie Commeter di Amburgo e per pochi minuti ma per Beck, allora trentaduenne, l’incontro con il maestro nato nel 1867, quindi di tutt’altra generazione, fu una folgorazione. Lui stesso nel 2010 in un’intervista alla Deutsche Welle disse: «I suoi potenti colori ad acquerello sono per me ancora oggi un modello». A suo figlio Michael Beck, classe 1963, gallerista, presente all’inaugurazione della mostra qui a Lugano qualche settimana fa, chiedo se suo padre – che nel 1935 fu espulso dalla Hitlerjugend – sarebbe contento oggi di vedere le sue opere esposte accanto a quelle di Nolde. «Assolutamente. La mostra berlinese ci ha aperto gli occhi, ha fatto luce sulla leggenda dell’artista degenerato che si diffuse dopo la guerra. Ma mio padre questo momento non l’ha vissuto, non c’era quando, documenti alla mano, è stato provato che Nolde era un grande simpatizzante nazista e antisemita. La sua ammirazione per Nolde era puramente artistica, voleva carpire il suo segreto, comprendere le sue grandiose capacità espressive nel dipingere a colori».
«Nolde usava una carta giapponese molto sottile, mio padre usava una carta molto forte, densa che gli permetteva di dipingere più in grande e in modo più espressivo»
Le opere esposte alla Fondazione Braglia sono raggruppate e accostate per capitoli tematici – i paesaggi al primo piano (nell’immagine l’opera Espressive Landschaft del 2008, acquerello su carta fatta a mano), poi salendo le infiorescenze, i volti espressivi, le coppie – era caro a Nolde il tema del dualismo (uomo e donna, piacere e sofferenza, divinità e demoni) – , gli schizzi e le miniature che Beck realizzò nel suo atelier a Tegernsee e poi le sue opere più apocalittiche. Queste, in particolare, raccontano come al di là dell’affinità pittorica e cromatica, la posizione di Beck nei confronti della guerra e delle esperienze vissute fosse profondamente diversa da quella di Nolde.
«Mio padre si è continuamente confrontato con questi temi, la crudeltà dell’uomo e della guerra, le domande esistenziali, cosi come ha fatto nella serie Faces of the World». Ritratti di volti a cui Beck lavorò per sei anni, uno studio delle espressioni umane che come lui stesso disse in occasione della sua mostra alla Art Mia Foundation a Pechino «è ciò che abbiamo di più importante, lo sguardo allo specchio, il nostro volto».
Chiedo a Michael se è vero che suo padre spesso era deluso dal fatto che le persone amassero di più i suoi paesaggi e i suoi fiori e prestassero meno attenzione ai quadri più cupi – penso a Apokalypse II (1988), Apokalyptische Landschaft (2000), Mensch und Baum (1975) in mostra alla Fondazione Braglia. «Questo sguardo è tipico del consumatore, del compratore e del collezionista d’arte che in generale era ed è sempre molto affascinato dalla forza e dal virtuosismo dei colori, così come dalla tecnica di mio padre nel realizzare paesaggi e acquerelli floreali. Diventa tutta un’altra storia quando ci si accosta ad argomenti più difficili, dove anche i colori sono completamenti diversi. Pensiamo soltanto all’immagine del bombardamento di Dresda dove un animale esce dal basso della cornice e al centro c’è una figura umana con le braccia alzate in evidente sofferenza. I colori in questo caso sono molto freddi, c’è il giallo, il viola, ci sono i toni del nero. Per mio padre era importante dipingere queste tele e soffriva del fatto che le persone non le apprezzassero molto. Ma è comprensibile. Sono opere destinate ad un museo, pochi collezionisti le appendono nella loro casa».
Fin’ora abbiamo parlato dell’artista. Nato a Lipsia nel 1920 e scomparso a Tegernsee nel 2010, di formazione orafo sulle orme del padre Hermann, clarinettista, dal 1941al 1945 inviato al fronte nella campagna contro l’URSS: che persona era Herbert Beck? «Prima di tutto, mio padre era incredibilmente amorevole, profondamente interessato alle cose ed estremamente sensibile. È stato fortemente influenzato dalle sue esperienze nella Seconda guerra mondiale, dalle atrocità alle quali ha assistito che poi sono diventate il tema centrale in molte sue opere. Ma era anche un uomo allegro con il quale capitava spesso di trascorrere serate molto divertenti. Ad esempio faceva parte del gruppo degli Schlaraffen (una società maschile fondata a Praga nel 1859 nata sulla promessa di promuovere l’amicizia, l’arte e l’umorismo). Si dilettava a parlare di ogni sorta di cose e lo faceva in versi, in una forma vicina alla musica e alla poesia. In verità mio padre veniva dalla poesia, in essa affrontava le domande sull’essere e sulla vita, i suoi sono testi importanti, in parte brevi, in parte divertenti e ancora inediti». Vuol dire che ha in progetto di pubblicarli? «Sì, ci stiamo lavorando. Da qui si può vedere quanto fosse versatile mio padre e come in lui vivessero questi due lati: quello umoristico e divertente, e poi quello più profondo. Un aspetto che si riflette anche nella sua musica e quando dipingeva gli piaceva ascoltare Johann Sebastian Bach».
Tornando alla pittura e agli acquerelli di Herbert Beck, quando arrivò per lui il punto di svolta? «La fiamma si accese nel 1952 in quell’incontro con Emil Nolde. Da qui in avanti mio padre iniziò la sua indagine sul segreto del colore di Nolde. In una collezione privata c’è un acquerello che fece all’epoca, una copia di un acquerello floreale di Nolde, uno dei suoi primi tentativi. Come si vede in questa mostra, alla fine trovò la chiave. Il segreto della luce nei quadri». Va detto però che Beck andò oltre, affinò la tecnica di Nolde per potenziare ulteriormente l’espressività e il virtuosismo cromatico: «Nolde usava una carta giapponese molto sottile, mio padre usava una carta molto forte, densa che gli permetteva di dipingere più in grande e in modo più espressivo».
Si parla molto dei colori, ma come accennavamo prima, il vero segreto nei quadri di Nolde e di Beck è la luce, la luce che non arriva dall’alto ma sembra arrivare da dietro. «Gli acquerelli di mio padre risplendono. Prendeva questa carta spessa e la inumidiva di uno strato d’acqua allungato con il colore che sovente era un giallo brillante o un arancio e poi ci dipingeva sopra».
Per completare il racconto della mostra, ci resta un ultimo, importante tassello da scoprire: come sono finiti i quadri di Herbert Beck nella collezione dei coniugi Braglia e come è nata l’amicizia tra le due famiglie? Qui la parola passa a Gabriele Braglia che ricorda quel lontano giorno nel 2004 quando con sua moglie era a Montecarlo per una grande fiera dell’arte. Tra le collezioni di una decina di galleristi di tutta Europa, i due vengono attratti da un gruppo di miniature. Dice alla moglie: «Anna scusa, cosa ci fanno tutti quei Nolde messi lì?». Ad un tratto si avvicina un signore, si presenta e dice: «Guardi che non sono dei Nolde, queste opere le ha fatte il mio papà…». Era il giovane Michael Beck che ora incalza Gabriele Braglia chiedendogli di raccontare la fine della storia. «Comprammo un Nolde!» e più precisamente quello che abbiamo scelto per la nostra copertina di «Azione» di questa settimana dal titolo Paar und Diseuse (1910-1911), un acquerello su carta giapponese. «Grazie all’amicizia con Michael Beck – aggiunge il fondatore della Fondazione – negli anni abbiamo ampliato la nostra collezione di quadri espressionisti che all’epoca contava soprattutto diversi Klee».
Michael Beck sottolinea invece la sua felicità e definisce questa mostra «un grande momento per la famiglia Beck. La verità è che io sono cresciuto con tutti questi quadri che mio padre realizzava nel suo atelier di Tegernsee dove io e le mie sorelle giocavamo da bambini. È sempre stato uno spettacolo stare lì ad osservarlo».
Emerge ancora un particolare che differenzia il lavoro artistico dei due: «Nolde ha sempre dipinto davanti alla natura, mio padre mai. Tutto ciò che dipingeva lo realizzava nel suo studio, portava con sé l’idea di un paesaggio o di ciò che voleva dipingere».