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Dieci anni di Film Festival Diritti Umani
Cinema ◆ «Non è un traguardo, ma un nuovo punto di partenza» dice Antonio Prata della sua rassegna in pieno svolgimento
Nicola Mazzi
Mai come oggi i diritti umani stanno vivendo un periodo di fragilità e vengono attaccati da più parti (vedi regimi totalitari, guerre, ma anche minacce che arrivano dalle nuove tecnologie). Ecco perché l’edizione dell’omonimo Film festival, organizzato a Lugano proprio in questi giorni – è iniziato il 19 e termina sabato 29 ottobre – è un momento fondamentale di riflessione, dibattito e confronto.
Una rassegna cinematografica (ma non solo) giunta alla decima edizione, che sottolinea l’anniversario proponendo diverse novità. Anzitutto ha introdotto un concorso internazionale al quale partecipano otto film provenienti da diverse parti del mondo, scelti tra più di cento opere giunte al comitato di selezione. In secondo luogo, la manifestazione è passata da cinque a dieci giorni; infine, sono state potenziate le sedi di proiezione, con il cinema LUX Art House di Massagno, che si aggiunge alle storiche sale del Corso e dell’Iride.
Una rassegna che sempre di più tende a coinvolgere la città e il resto del Cantone attraverso molti eventi collaterali
Come ha spiegato il direttore Antonio Prata: «Il decimo anniversario del festival non è un traguardo, ma un nuovo punto di partenza con maggiore esperienza e consapevolezza». Una rassegna che sempre di più tende a coinvolgere la città e il resto del Cantone attraverso molti eventi collaterali come il Caffè dei diritti, un bar del Quartiere Maghetti nel quale sarà possibile chiacchierare con lo staff e i protagonisti del festival. Ma anche con le due esposizioni all’ex asilo Ciani: Noi e gli altri: dal pregiudizio al razzismo e I am AI dedicata all’intelligenza artificiale.
Detto ciò, ovviamente, al centro della manifestazione resta sempre il cinema: il vero e proprio nucleo del Film Festival Diritti Umani (FFDUL). Ecco perché vogliamo proporre delle riflessioni su alcune opere che vengono proiettate in questi giorni.
A cominciare da Another Body, un documentario che parla di una deriva dell’Intelligenza Artificiale. Il film segue una studentessa che cerca giustizia dopo aver scoperto in rete alcuni video porno fasulli con le sue sembianze. Attraverso video diari, il film conduce lo spettatore nel mondo della ragazza evidenziando un problema sociale che sta diventando sempre più urgente: la costruzione di un’identità virtuale altra, di un me fasullo che ha il mio viso, ma un corpo di qualcun altro. Un fatto che mette sul tavolo problematiche giuridiche, oltre che psicologiche e sociali. Dal punto di vista cinematografico è interessante anche per un altro aspetto. La ragazza, usando lo stesso strumento per il quale è stata vittima, e cioè l’IA, modifica i tratti del suo viso per proteggere la propria privacy. In questo modo l’immagine vista dagli spettatori non è la sua, ma appunto quella di un fake. Il film è in programma la sera di mercoledì 25 ottobre al Corso (in replica il 26 alle ore 13.30 all’Iride) a cui seguirà una conferenza sul tema con due esperti: Paolo Attivissimo e Bruno Giussani.
Un altro documentario che ci interessa segnalare è In the Rearview del regista polacco Maciek Hamela, presentato per la prima volta a Cannes, nella sezione indipendente Acid. La pellicola racconta l’esperienza del regista durante i primi mesi dell’invasione russa in Ucraina. Hamela acquistò un paio di furgoni per portare in Polonia i rifugiati ucraini, soprattutto donne, bambini e anziani, che scappavano dalla guerra. Maciek – che ha aiutato in questo modo più di 400 civili – filma queste persone all’interno del veicolo e si fa raccontare le loro storie, le loro speranze e quello che hanno lasciato a casa. E mentre loro parlano, dai finestrini possiamo osservare le macerie di un Paese in guerra: ponti distrutti, carri armati pronti per un’altra battaglia ed edifici squarciati dalle bombe. Un’opera compatta, toccante e carica di significato con la quale il regista vuole trasmettere al pubblico l’esperienza devastante di diventare un rifugiato e che «chiunque, in qualsiasi Paese, possa immaginarsi in uno di questi sedili del furgone».
L’ultimo film del quale vogliamo parlare è 19 della regista iraniana Manijeh Hekmat. Venerdì 27 ottobre la stessa autrice riceverà il Premio Diritti Umani al cinema Corso. Per il direttore Antonio Prata si tratta di «un’artista che, attraverso il cinema, ha intrapreso un viaggio resistente e tenace nella creatività e nella ricerca, nella vita e nella morte, nell’amore e nella guerra. Un percorso politico ma anche pieno di immaginazione, in cui la regista, nonostante le tante difficoltà non smette mai di sognare, di rincorrere un futuro migliore e libero per sé e per il suo popolo».
Il film – tra l’altro giudicato «inappropriato» dal ministro della cultura iraniana e che ha quindi subito censure – sarà proiettato dopo la premiazione e ci immerge nella mente di Mitra, una pittrice iraniana, che entra in coma dopo essere stata contagiata dal virus Covid. Seguendola sullo schermo, scopriamo la sua vita ma anche l’evoluzione di un’intera società. La voce off, che accompagna il film come un flusso di coscienza è un intenso commento alle immagini. Quelle di una donna che vive isolata nel suo appartamento durante il lockdown e prima della malattia, ma anche quelle di una bambina (grazie a immagini d’archivio) durante feste, matrimoni ed eventi che ha vissuto decenni prima. È molto interessante la messa in relazione dei due tempi (presente e passato) nel quale si alternano la solitudine di una donna sola e destinata alla morte e la gioia di una ragazzina che corre e gioca in mezzo alla gente. Come ha spiegato anche la stessa regista: «Il film racconta tutti i dubbi della mia generazione, la paura e i timori che abbiamo vissuto per tutta la vita. In questi tempi difficili per il nostro mondo ho deciso di guardare indietro per vedere cosa abbiamo fatto e cosa abbiamo rovinato». Da notare che durante il festival si potrà vedere (sabato 28 ottobre dalle 15.45 all’Iride) anche Women’s prison, il suo primo film (2002) che descrive la rivolta in un carcere femminile di Teheran.