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«Ci vorrebbe più ecologia del linguaggio»

Intervista  ◆  Claudia Durastanti, curatrice della collana La Tartaruga, racconta Carla Lonzi, pensatrice e poeta femminista
/ 23/10/2023
Laura Marzi

Per me c’è qualcosa di intrinsecamente femminista nell’evitare la logica del consuma e dimentica»: abbiamo incontrato Claudia Durastanti, scrittrice, traduttrice, responsabile dal 2021 de La Tartaruga, la prima casa editrice femminista fondata nel 1975 da Laura Lepetit e adesso acquisita da La nave di Teseo. Con lei abbiamo indagato il grande successo che sta avendo la ripubblicazione di Sputiamo su Hegel e altri scritti il primo dei testi della pensatrice e poeta femminista Carla Lonzi, voce fondamentale in Italia e in tutto il mondo occidentale, avanguardia assoluta del movimento che si sviluppò negli anni ’70.

Credo nelle collane femministe o nei progetti che lavorano sulle autrici in maniera meno istantanea, più stratificata, con il desiderio di accogliere varianze nella scritturadi un’autrice, mescolando storia e sorpresa

Ha ancora senso una collana femminista nel panorama dell’editoria italiana e perché?
È una domanda che mi sono posta sin da quando ho ricevuto l’incarico di curare le nuove uscite della Tartaruga, ed è una domanda che mi pongo ancora. La «nuova» visibilità delle scrittrici appartenenti alla nostra storia nei cataloghi delle case editrici mainstream a volte mi pare oscillare tra moda, cinismo e senso del dovere. Ed è chiaro che operazioni del genere hanno vita molto breve, sono scelte effimere dimostrate dal fatto che spesso si adotta una scrittrice da riscoprire e poi la si abbandona a sé stessa, senza fare scelte di lungo periodo sulle sue opere, recuperando anche testi più laterali o marginali ma che alla lunga completano la voce di un’autrice, come invece fanno le case editrici più piccole e con meno mezzi. Credo dunque nelle collane femministe o nei progetti che lavorano sulle autrici in questa maniera meno istantanea, più stratificata, con il desiderio di accogliere varianze nella scrittura di un’autrice, mescolando storia e sorpresa. La Tartaruga tende ad acquisire più opere di un’autrice, e aspira a seguirla nel tempo, o a recuperarne il sommerso. Ho ereditato questa impostazione, e per me c’è qualcosa di intrinsecamente femminista nell’evitare la logica del consuma e dimentica.

Come siete arrivate alla decisione di ripubblicare tutta l’opera di Carla Lonzi?
Era una fantasia di lungo corso, e credo che molti episodi, conversazioni o incidenti della mia vita da lettrice mi abbiano portato ad accumulare gli indizi necessari per arrivare a fare una proposta editoriale, accolta subito con molto entusiasmo dall’editrice Elisabetta Sgarbi, che tiene molto a Lonzi anche nel suo ruolo di critica d’arte. La nuova edizione del libro prova a far risuonare la sua voce senza apparati critici, una scelta della curatrice Annarosa Buttarelli che ho condiviso subito, per liberare Lonzi dalle gabbie in cui spesso viene rinchiusa perché questo consola e appaga certe cose che vogliamo pensare o sapere di lei. E invece Lonzi ci smonta continuamente, attraverso testi di natura diversa, emanati dalle varie fasi della sua vita. Questa pubblicazione non cancella la genealogia e la storia di Rivolta Femminile, ma risponde all’idea che un testo possa avere vite diverse nel corso del tempo. E anche qui, ho ragionato molto: Lonzi e la fondatrice della Tartaruga Laura Lepetit entrarono in conflitto proprio sull’esistenza di un’editoria femminista «di mercato», era corretto pubblicarla in questa serie? In copertina c’è un’opera di Carla Accardi, intima amica e sodale di Lonzi prima della rottura e fondatrice insieme a lei di Rivolta Femminile. Era un atto travisato ricongiungerle? Ma studiando e amando la vita di Lonzi ci si rende conto che il conflitto è ovunque, e questo doppio tradimento mi pare se non altro un fatto storico, ed è importante che venga esplicitato.

Vi aspettavate il successo in termini di vendita di Sputiamo su Hegel? Come se lo spiega?
Siamo alla quinta edizione, è sempre in ristampa, libraie e librai mi dicono che lo tirano fuori e: «puff, sparisce». Mi fa sorridere quest’immagine, per questo la riporto! Un po’ me l’aspettavo, perché credo che abbiamo prestato ascolto a chi esprimeva questa mancanza verso l’opera di Lonzi nelle librerie. Era tutto lì: questa edizione non esisterebbe senza il movimento sotterraneo e duraturo di lettrici di varie fasce d’età e percorsi femministi che l’hanno tenuta letteralmente in vita, in forme diverse. Dalla circolazione del pdf, alle fotocopie, ai regali tramandati tra generazioni, alle traduzioni amatoriali, al mercato nero, a quello folle della speculazione su ebani, in forme benigne e altre (poche) più maligne. Mi piace molto l’idea che culto e clandestinità si siano intrecciati in maniere spontanee per riportare al visibile. È una riedizione guidata dal basso, se ha senso.

Che cosa del femminismo della differenza di cui Lonzi è stata ideatrice in qualche modo e precursora è ancora attuale e necessario e cosa è invece datato?
Quando si parla di Lonzi oggi sembra che ci sia quasi paura di tirare in ballo uno dei capisaldi del suo pensiero sulla differenza perché potrebbe portare in territori scivolosi. Ma la posizione di Lonzi è netta, chiara e lapidaria: la donna si muove su un altro piano dell’esistenza. È fondamentale recuperare questo pensiero, in un momento di femminismo mainstream che fatica a liberarsi dalle scorie del femminismo empowered di stampo angloamericano che ha prodotto molti danni nell’inseguire retoriche politiche, modelli di crescita e forme del potere dannosissime, tendenzialmente maschili. Nella mia lettura, il rifiuto del potere e della crescita che si basa sull’oppressione come massima affermazione personale sono due nuclei importantissimi del pensiero femminista della differenza, e sono posizioni attualissime. Per quel che riguarda la questione datata, a volte si dimentica che Lonzi utilizzava la parola patriarcato in maniera molto precisa, tagliente; temo che a volte la si stia annacquando utilizzandola in maniera indiscriminata. Ci vorrebbe più ecologia del linguaggio.

Cosa possiamo aspettarci per il futuro da La Tartaruga?
Mi piacerebbe che La Tartaruga sperimentasse di più con vari generi letterari. In tal senso uscirà Cursed Bunny, una raccolta di racconti dell’autrice coreana Bora Chung che inietta i suoi racconti horror, weird e grotteschi di teoria femminista in una maniera appassionata e divertente. Ma non escludo la pubblicazione di un romance o di un noir smantellati e decostruiti, nella Tartaruga che immagino ci deve essere sempre la poesia, o la rottura.