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Bradley Cooper, splendido Maestro
A novembre arriva il film diretto e interpretato dal regista di A Star is Born
Giovanni Gavazzeni
Maestro, il film interpretato e diretto da Bradley Cooper su Leonard Bernstein, prossimamente visibile sulla piattaforma Netflix in tutto il mondo, è stato presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia dove lo abbiamo potuto vedere. È stato una specie di viaggio omaggio, perché ricordiamo bene come il celebre direttore d’orchestra e compositore americano amasse molto Venezia. Ci venne l’ultima volta nel 1982 per celebrare il centenario della nascita Igor Stravinskij: dirigeva la Sinfonia di salmi con l’Orchestra della Scala nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Tutto lo incantava di Venezia: incurante dell’assalto costante dei cacciatori di autografi o di gente che gli voleva semplicemente parlare (a cui non riusciva a dire di no), personaggi che lo braccavano ovunque, davanti all’Hotel Danieli e alle prove, sguazzava deliziandosi del timbro delle ciacole, delle grida segnaletiche e degli scambi verbali dei gondolieri, dell’orchestrina del Caffè Florian che suonava la barcarola dei Contes d’Hoffmann di Offenbach, dello sciabordio della laguna sulla lancia che lo portava ad omaggiare la tomba di Stravinskij sull’isola di San Michele.
Allora la popolarità di Bernstein come direttore d’orchestra era ben maggiore di quella del compositore. Oggi è vero il contrario, il compositore conosce un largo riconoscimento critico che in vita, e soprattutto in patria, era spesso messo in discussione, perfino ridotto ai minimi termini dalla violenza della propaganda politica (Bernstein fu un coraggioso paladino di tutti i diritti civili fin dai tempi della Grande Depressione). Riconoscimento dimostrato dal recente successo della nuova versione cinematografica di West Side Story, realizzata con molte meno modifiche rispetto all’originale del film multi-Oscar di Robert Wise e Jerome Robbins - dazi che nemmeno Stephen Spielberg non ha potuto pagare alle schizofrenie della cultura ‘inclusiva’ americana.
Lo stesso Spielberg che Bernstein ammirava molto (alla proiezione di E.T. venne richiamato dalle maschere perché singhiozzava troppo rumorosamente) è co-produttore con Martin Scorsese e Cooper di questo film che racconta un’altra storia, lontana dai riflettori del successo, quella dell’amore fra Bernstein e Felicia Montealegre Cohn, attrice e pianista cilena allieva di Claudio Arrau, una donna che visse a fianco del golden boy musicale realizzando il loro sogno americano, una famiglia. Il film è come visto dalla delicata prospettiva dei tre figli nati dalla relazione tra un uomo dalla sensualità travolgente e una donna di grande intelligenza e ironia (nell’unica scena in cui litigano Felicia dice con eleganza che contraddice la sostanza a Lennie: «in Cile c’è un proverbio: non stare mai sotto ad un uccello scagazzante. E io sotto quell’uccello ci ho passato tutta la vita»).
Nell’intimo però un tarlo devastante ha divorato Bernstein: il rimorso che il cancro di sua moglie Felicia (interpretata da una splendida Carey Mulligan) fosse dovuto al dolore per averla lasciata a metà degli anni Settanta per un uomo, dopo essersi progressivamente aperto ad una vita sessualmente molto attiva, non più tenuta fuori dalla famiglia. L’idillio si era rotto quando Bernstein volle vivere con un uomo e dopo poco Felicia ebbe il verdetto di morte. Bernstein tornò distrutto subito a casa per accompagnarla nel commiato, ma il senso di colpa non lo abbandonò più.
Il film di Bradley Cooper riesce a trattare senza sbavature un argomento delicato e complesso, soprattutto facendo capire che quella di Lennie&Felicia fu un’autentica e complicata storia d’amore, e non, come malignamente narrato, un matrimonio in bianco perché Bernstein diventasse il primo direttore nativo americano della Filarmonica di New York durante l’epoca della Commissione MaCarthy, tristamente passata alla storia come Caccia alle streghe.
Straordinaria la somiglianza fisica di Cooper con Bernstein nelle varie età: vadano a scopare il mare quelli che hanno polemizzato sul nasone posticcio e simili quisquilie sull’eventuale sottolineatura dei caratteri somatici ebraici. Ottimi i consigli su come imitare il gesto inimitabile di Bernstein impartiti a Cooper da Yannick Nézet-Séguin, attuale direttore stabile della Metropolitan Opera di New York e della Philadelphia Orchestra, che volle diventare musicista guardando da piccolo le famose trasmissioni televisive di Bernstein.
La voce di Cooper, seppure non profonda e sensuale come l’originale, mista com’era di nicotina, enfisema polmonare, whisky on the rocks e raffreddore da fieno, è piuttosto verosimile: un altro dei non pochi pregi di questo film fatto con sentimenti non posticci.