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Tutto quel che non sapevamo su Oriana Fallaci

Intervista  ◆  Edoardo Perazzi, suo erede universale, racconta i nuovi materiali del Fondo Fallaci ora disponibili al pubblico
/ 16/10/2023
Blanche Greco

«Tutti i miei libri sono scritti in prima persona generalmente e hanno comunque uno sfondo biografico. Non dicono solo la mia altezza (un metro e cinquantasei scarsi), e il mio peso che oscilla tra i 42 e i 43 chili. La gente quando mi conosce rimane sorpresa da tanta pochezza. E io allargo le braccia e dico “Tutto qui”». Finisce così una delle biografie di Oriana Fallaci (1929-2006, ritratta nella foto), scritta di suo pugno, in cui questa giornalista, corrispondente di guerra e «scrittore», famosa, temuta e rispettata che ha vissuto ai quattro angoli del mondo, sembra guardare indietro ai fatti salienti della propria vita con soddisfazione, ironia ed una certa sorpresa per come gli avvenimenti, le persone e le sue stesse scelte l’avevano resa straordinaria. Ma chi vuole conoscere più da vicino il Soldato semplice dell’Esercito Italiano Oriana Fallaci (si era guadagnata questo titolo sul campo a quattordici anni, nel 1943 quando a Firenze aiutava suo padre partigiano a far passare i prigionieri inglesi e americani in fuga, oltre le linee tedesche) d’ora in poi non dovrà andare a Boston, o alla Rizzoli a Milano, ma potrà accedere al Fondo Fallaci custodito all’Archivio Storico del Consiglio Regionale della Toscana e alla Sala Fallaci della Biblioteca Pietro Leopoldo a Firenze, la sua città, da lei tanto amata, che finalmente l’accoglie con gli onori dovuti ad una figlia illustre. Chi lo desidera potrà ascoltare la voce di «quella donna», come diceva l’ayatollah Khomeini riferendosi a lei, perché oltre ai suoi libri, agli articoli, alle fotografie, ai reportage dalla guerra del Vietnam e sulle missioni aerospaziali, ci sono anche i materiali preparatori e i nastri delle sue mitiche interviste ai grandi personaggi del XX secolo oltre alle lettere e ai documenti legati ad Alexandros Panagulis (poeta greco perseguitato dal regime dei Colonnelli) con il quale ebbe la storia d’amore raccontata nel romanzo Un uomo. Abbiamo parlato di Oriana Fallaci con Edoardo Perazzi, nipote prediletto e suo erede universale, che si è molto speso per la creazione del fondo e che «dall’Oriana» ha preso anche l’altezza e soprattutto il gusto per le iperboli.

Una giornalista che non si fermava davanti a nulla: per intervistare l’ayatollah Khomeini nel 1979, accettò d’indossare il chador e persino di contrarre un matrimonio temporaneo sciita. Ma com’era davvero?
Era una belva assetata di sangue. Aveva un carattere molto forte, ruvido. Stare con lei era come avere accanto una bomba innescata pronta ad esplodere. Era sempre concentrata e lucida sia sul lavoro che con i famigliari e gli amici, non c’era spazio per una conversazione faceta, o superficiale, questo non vuol dire che non fosse spiritosa, simpatica, affettuosa, però dovevi sempre pensare a quello che dicevi perché lei faceva così. Aveva un coté romantico e femminile di grandissima dolcezza, però le sue aspettative erano molto alte e con lei ti sentivi sempre sotto esame.

Fu Oriana a mettere fine all’intervista con Khomeini togliendosi di colpo il chador, gesto che lo mise in fuga. Ma pochi mesi dopo la ritroviamo in Libia sotto la tenda con Muammar Gheddafi per un’altra famosa intervista. Cosa la spingeva?
Determinazione e serietà. I suoi reportage dalla guerra del Vietnam li faceva andando in elicottero in prima linea, mentre i suoi colleghi aspettavano al bar dell’hotel d’intervistare i soldati che tornavano dal fronte. La guerra sarebbe finita solo nel 1975, Oriana nel 1969 ad Hanoi, chiese d’incontrare il generale Giáp -era l’incubo degli americani e il sogno di ogni giornalista- e lui accettò di parlarle. Tempo dopo affascinato da quell’intervista “impossibile”, Henry Kissinger le concesse un colloquio. Sono interviste belle da leggere, ma l’ascolto dei nastri ti dà un’altra percezione di quegli incontri.

Come mai?
Perché dal tono della voce si scopre quanto Oriana potesse essere seducente, o estremamente aggressiva; oppure, come nell’intervista a Berlinguer, diretta simpatica, confidenziale. Con i militari in Vietnam invece era quasi affettuosa, mentre la sua intervista con Ariel Sharon, a casa di questi in Israele, sembra un lungo duello tra due pistoleri. Si sente lei che cerca di farlo parlare, ma lui è sfuggente come un’anguilla, finché irrompe nella registrazione la voce infuriata della domestica che li butta letteralmente fuori dalla sala da pranzo perché si era fatto tardi e lai “doveva lavorare” e i due si profondono in scuse. Ma Oriana ha intervistato anche molta gente dello spettacolo, Totò, Fellini, Paul Newman, Alfred Hitchcock, Anna Magnani, Ingrid Bergman…

Alcune delle epiche sfuriate di Oriana Fallaci fecero molto rumore, ma erano fatte apposta?
No davvero, aveva un carattere infernale ed era molto irascibile. Una volta l’accompagnai in Svezia per un incontro con Ingmar Bergman che intendeva fare un film dal suo libro “Lettera ad un bambino mai nato”. All’appuntamento in un ristorante molto elegante, c’era anche Liv Ullmann. Ma litigarono quasi subito. Io ero al bar e lo vidi uscire furioso, mentre Oriana gli tirava dietro i piatti. Lei voleva il controllo su tutto e scrivere lei stessa la sceneggiatura. Per questa ragione finì in malo modo anche una telefonata con Robert De Niro.  

Lei era molto legato a Oriana, la vedeva spesso?
Ho passato molta parte della mia vita da adulto con lei, che per me era una figura di riferimento quasi maschile perché io sono cresciuto senza padre, infatti se n’era andato di casa che avevo cinque anni e perciò ero molto affezionato a mio nonno Edoardo, papà di Oriana e a Oriana stessa. Inoltre ho studiato in America e quando potevo andavo a trovarla. Subivo il suo fascino, mi lasciavo maltrattare e comandare, magari aspettando con ansia che si decidesse a raccontarmi qualcosa dei suoi amici astronauti delle missioni Apollo. Perché tu non potevi chiederle niente, altrimenti ti mandava a quel paese. Alle volte avevo l’onore e la responsabilità di assistere mentre rileggeva ad alta voce i suoi pezzi, o brani del libro che stava scrivendo. Aveva una bella voce, roca, ruvida, ma molto musicale e se l’effetto di quanto aveva scritto, non le piaceva, era capace di rifare un paragrafo, un’intera pagina, o addirittura tutto l’articolo.

Era scontenta di sé stessa?
No. Oriana aveva raggiunto tutti gli obbiettivi che si era prefissata nella vita salvo forse riuscire ad avere un figlio, cosa che avrebbe tanto voluto. Ma era una secchiona e una maniaca perfezionista. Basta vedere le bozze delle sue opere. All’epoca non c’era il computer, lei scriveva a macchina e poi correggeva, tagliava con le forbici le frasi, o i paragrafi che le piacevano e li incollava su una nuova pagina. I suoi dattiloscritti, sono delle opere d’arte piene di correzioni, riscritture, “appiccicature”, perché lei lavorava così.  Quando mi sposai era già molto malata e non potendo intervenire mi mandò la registrazione di una sua lettura dal Cantico dei Cantici di pochi minuti, che ascoltammo in Chiesa. Un pensiero che mi commosse. Dopo la sua morte, tra le sue carte ne ritrovai le varie stesure e le diverse registrazioni. Quel regalo le era costato almeno tre mesi di lavoro.   

E le interviste come le preparava?
Era meticolosa fino all’ossessione. Esaminava tutto ciò che era disponibile sul personaggio da intervistare e siccome internet all’epoca non c’era, Oriana per settimane telefonava, scriveva, mandava telegrammi a tutti coloro che potevano raccontarle, o svelarle qualcosa in più. Raccoglieva montagne di materiale e scriveva le domande su un quadernetto. Le interviste sono belle perché ci sono anche i suoi dubbi, le sue impressioni personali e, nelle introduzioni in cui contestualizza il momento storico, il luogo e il personaggio, non lesina i commenti graffianti, a volte di una crudeltà così azzeccata da risultare uno spasso e un capolavoro. D’altronde aveva iniziato questo mestiere facendosi largo in un mondo di uomini, inventandosi un modo di scrivere diretto e aggressivo. Era questa la sua arma più potente per stare sempre sulla scena, passando dal cinema alla guerra, alla politica. Da Firenze, a Milano, a Roma e poi a New York, Los Angeles, Hanoi. …     

Negli ultimi anni della sua vita i suoi libri e le sue tesi radicali scatenarono critiche e contestazioni tali da oscurare il suo valore e il nome stesso di Oriana Fallaci, ma adesso le cose stanno cambiando?
Nelle Università americane sono anni che Oriana viene studiata per la sua tecnica di scrittura. Adesso che a Firenze un Fondo con tutti i materiali che la riguardano diventa accessibile a studenti e ricercatori, ci sarà modo di riflettere sulla sua figura ed i suoi scritti. Inoltre tra non molto dovrebbe uscire una mini serie televisiva su Oriana (alla quale ho collaborato anch’io), sui suoi primi anni di carriera, quando si fece mandare in America dal giornale L’Europeo millantando di riuscire ad intervistare la diva del momento: Marylin Monroe! Non la incontrò mai, ma ebbe uno straordinario successo raccontando come non ci fosse riuscita e fu l’inizio dei suoi viaggi e del capitolo più importante della sua vita.