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Dove e quando

Matisse, Derain und ihre Freunde. Die Pariser Avantgarde 1904-1908, Kunstmuseum Basel, fino al 21.1.2024. Me 10.00-20.00, ma, gio, ve, sa e do 10.00-18.00. www.kunstmuseumbasel.ch


Le belve e il loro uso selvaggio del colore

Mostra  ◆  Matisse, Derain e gli amici dell’Avanguardia parigina di inizio Novecento sono protagonisti al Kunstmuseum di Basilea
/ 09/10/2023
Elio Schenini

Per noi, oggi, dopo un secolo e più di continue ondate avanguardiste, di ripetute rotture con il passato e con la tradizione, di incessanti trasgressioni e scardinamenti linguistici che hanno portato l’arte attuale a un «tana libera tutti» dove non solo non vi sono più né regole né canoni normativi ma nemmeno il senso, seppur vago, di un’appartenenza a una koinè comune, è estremamente difficile capire l’impatto dirompente che l’arte dei fauves ha avuto nella Parigi dei primi anni del Novecento.

Per entrare nello spirito di un tempo ormai così lontano ci può però venire in aiuto una piccola fotografia esposta, assieme a ben altri capolavori, in una bacheca della grande mostra che il Kunstmuseum di Basilea dedica al movimento che costituisce il corrispettivo francese delle tendenze espressioniste emerse in area tedesca nello stesso giro d’anni. Si tratta di una fotografia in bianco e nero del 1903 in cui, accanto ai commessi incaricati di movimentare e appendere i dipinti, riconoscibili per i berretti a visiera e i grembiuli bianchi, sono ritratti i membri, tutti maschili, ovviamente, della giuria del primo Salon d’Automne, un’esposizione nata proprio quell’anno per accogliere anche quegli artisti a cui i salon ufficiali non concedevano spazio.

L’immagine di questo gruppo di uomini abbigliati di scuro secondo il rigido formalismo della moda di quel periodo, i volti incorniciati da barbe e baffi solenni, risulta difficilmente conciliabile con quell’esplosione di colori puri accostati senza preoccupazione per le dissonanze che due anni dopo nella sala numero VII del Grand Palais in occasione della terza edizione del Salon d’Automne fece da detonatore a uno scandalo senza precedenti nella storia della pittura moderna, tanto che il presidente della Repubblica si rifiutò di partecipare all’inaugurazione della mostra. Osservando questa fotografia ci riesce difficile resistere alla tentazione di confrontare mentalmente le bombette e i cappelli a cilindro corvini di questi giurati con un altro cappello, quello indossato da Madame Matisse nel quadro La Femme au chapeau, straordinario brano di pittura (purtroppo non in mostra, ma è una delle poche lacune) che di quello scandalo parigino fu il vero e proprio epicentro e che fu subito acquistato da due che avevano l’occhio lungo: i fratelli Leo e Gertrude Stein.

Proprio da questo confronto, appare chiaro che, a dispetto di un suo innegabile conservatorismo di fondo, il critico Louise de Vauxcelles, con la consueta arguzia e capacità di sintesi icastica che caratterizzava la sua scrittura (sarà sempre lui a utilizzare per primo la parola «cubo» in relazione alla pittura di Picasso e Braque alcuni anni dopo), aveva visto giusto scegliendo di utilizzare una metafora zoologica, quella dei «fauves» (le belve), per descrivere il gruppo di pittori raccolti attorno a Matisse e Derain, nella recensione del Salon pubblicata su Gil Blas del 17 ottobre 1905.

Belve. Indubbiamente potevano essere definiti così gli autori di questi quadri per l’uso violento e selvaggio che facevano dei colori, ma più che altro, ci verrebbe da dire, erano belve in gabbia. La pittura di questo gruppo di artisti che accanto a Matisse e Derain comprendeva De Vlaminck, Camoin, Manguin e Marquet, e a cui si aggiungeranno successivamente Braque, Dufy e Friesz, apriva un campo di libertà finora mai sperimentato in ambito artistico, rifiutando ogni principio compositivo tradizionale e ogni sottomissione del colore ai principi naturalistici della fedeltà ottica. Per loro, i colori dovevano rimanere puri così come uscivano dai tubetti; la loro forza e la loro luce non dovevano essere spente mescolandoli fra di loro per ottenere le infinite e estenuanti gradazioni dei grigi e dei marroni tipici della pittura accademica. E questo anche a costo della totale innaturalezza della rappresentazione. Tuttavia, questa rivendicazione di libertà assoluta sul piano del linguaggio artistico, non si traduceva nella quotidianità in un rifiuto delle norme, delle convenzioni e dei costumi di una società ancora in gran parte ottocentesca. In questo sta probabilmente una delle grandi differenze con l’espressionismo tedesco, movimento all’interno del quale la consapevolezza e la critica radicale delle condizioni politiche e sociali dentro le quali gli artisti si trovavano a operare sono strettamente impastate alla pratica artistica.

Nel caso dei fauves in gran parte usciti dalla scuola di Gustave Moreau, e poi maturati sugli esempi neo e post-impressionisti di Seurat, Van Gogh, Cezanne e Gauguin, ma anche attingendo a fonti disparate come l’arte extra-europea, medievale e popolare, all’estrema libertà espressiva dei dipinti fa da contraltare la tranquillità borghese delle esistenze dei loro autori, basti pensare a Matisse. Del resto il fauvismo, si rivelò una breve, ancorché intensa, fiammata avanguardista, da cui partirono ben altri e più radicali incendi artistici; e i metaforici «barattoli di vernice gettati in faccia al pubblico», a cui alcuni loro detrattori avevano paragonato i dipinti esposti al Salon del 1905, acquistarono ben presto consistenza concreta nelle serate futuriste e dadaiste.

A sottrarre i fauves dal tranquillo milieu borghese del loro tempo ci hanno però pensato i curatori della mostra di Basilea. Accanto alla vicenda artistica, ampiamente nota, ma raccontata attraverso una selezione di opere di grande qualità, l’esposizione, in linea con le preoccupazioni sempre più presenti in ambito museale in questi anni, ha il merito di ampliare lo sguardo dello spettatore verso campi in parte ancora inesplorati, come il ruolo delle donne all’interno di un movimento che appare sostanzialmente maschile, recuperando così figure come Émilie Charmy e Marie Laurencin oltre alla già ricordata Amélie Parayre-Matisse. Allo stesso modo, per contestualizzare storicamente le scene di vita notturna che spesso ritroviamo nei dipinti degli artisti, la mostra include una sezione documentaria affidata alla storica francese Gabrielle Houbre che illustra la realtà delle migliaia di persone (donne ma anche uomini) attive nell’ambito della prostituzione, che in quegli anni affollavano le vie di Parigi.