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«Quanto vale il lavoro di un artista?»

Arti  ◆  Viaggio nella scena indipendente italiana che soffre per la mancanza di finanziamenti adeguati
/ 02/10/2023
Muriel Del Don

Måneskin e le loro sfavillanti tenute da rock star, la vita apparentemente perfetta di Chiara Ferragni o ancora l’incredibile successo della misteriosa Elena Ferrante, ecco alcuni esempi di quello che l’Italia rappresenta per molti, una sorta di oasi dove il sole sembra splendere sempre, un luogo al contempo famigliare ed esotico che negli ultimi anni ha sfornato fenomeni pop planetari. Cosa si nasconde però dietro le apparenze, dietro questa facciata tutto sommato liscia e consensuale? O, meglio, cosa si cela dietro il mainstream, cosa pulsa nelle arterie di una cultura underground che si oppone con forza ai discorsi dominanti?

Malgrado il governo Meloni tenti con tutte le forze di farci credere che ogni moto sovversivo, culturale ma non solo, sia definitivamente addomesticato (il ridicolo decreto anti-rave e i pericolosi discorsi anti abortisti e discriminatori nei confronti della comunità Lgbtiq+ ne sono esempi lampanti), l’Italia brucia sotto pelle, lotta per esistere al di fuori dei dettami di una società sempre più stereotipata.

Come sottolinea Sara Manente, coreografa, performer e ricercatrice italiana di casa a Bruxelles, in Italia i sostegni alla scena artistica, in particolare quella alternativa, sono decisamente scarsi per non dire assenti. Questa mancanza di mezzi non è però sempre negativa perché permette ad artisti e artiste di sviluppare la propria creatività liberi da qualsiasi limitazione istituzionale. A differenza del Belgio dove, anche grazie ai sostegni pubblici e ai numerosi festival dedicati alle arti sceniche, le opportunità lavorative per i danzatori e le danzatrici sono numerose e qualitative, in Italia chi sceglie di restare deve lottare con tutte le forze per far vivere la propria arte, per sviluppare dei progetti spesso autofinanziati.

Come sottolineato da Anahì Traversi, attrice ticinese membro del collettivo Treppenwitz che si è formata al Teatro Piccolo di Milano, in Italia la sopravvivenza di artisti e compagnie è messa costantemente alla prova. La voglia di esprimere la propria diversità, di far sentire la propria voce dissidente spinge però molti a cercare delle strade alternative. «In Italia i bandi e i premi destinati alle compagnie indipendenti sono più morali che economici e spesso gli artisti si trovano a dover ridurre tutto ai minimi termini per poter ricavare anche solo dei minimi guadagni. Negli ultimi anni stanno però emergendo dalla scena teatrale degli artisti poliedrici che si cimentano sia nella regia sia nella scrittura. Penso per esempio a Liv Ferracchiati, Francesca Garolla, Davide Carnevali, Caterina Fiolgrano, Maria Vittoria Bellingeri o Alice Redini», sottolinea Anahì ricordandoci che l’arte riesce spesso a imporsi anche nelle situazioni più disperate. L’artista sottolinea inoltre che (troppo) spesso il prodotto artistico non è considerato nel suo giusto valore ma inteso piuttosto come risultato di un passatempo e non come culmine di un lungo processo di ricerca: «Quanto vale il lavoro di un artista? Questo purtroppo è un tema caldo dappertutto, e credo che tutti gli artisti vogliano non solo sbarcare il lunario ma ottenere un riconoscimento professionale e un potere contrattuale tali da permettergli una continuità progettuale».

In Italia quest’insicurezza, il non poter contare su sostegni finanziari adeguati, ha spinto molti artisti a percorrere strade alternative, a creare collettivi indipendenti che si nutrono di esperienze collettive. Fra questi ritroviamo per esempio Amleta, associazione femminista intersezionale che promuove la presenza di donne nel mondo dello spettacolo e che si pone in quanto osservatorio per combattere violenza e molestie sul lavoro o, ancora, Il Corpo innocente, blog che si occupa delle questioni legate alla violenza, al sessismo e alla precarietà nel mondo dell’arte. Insomma, in Italia, malgrado un’insicurezza finanziaria sempre più grande, la voglia di creare sfidando il perbenismo non si è certo placata.

Sara Leghissa è un’artista indipendente attiva nel campo delle arti performative che trasforma lo spazio pubblico in una sorta di parco divertimenti dove sperimentare nuovi legami sociali, nuovi modi di vivere e agire insieme all’interno di comunità alternative che hanno scelto l’autodeterminazione come via di fuga da logiche produttive che non riconoscono come proprie. Leghissa rivendica con fierezza il suo statuto di artista indipendente anche attraverso progetti di curatela che sperimentano differenti pratiche di coabitazione. Lo spazio Una Sauna ne è un esempio emblematico, luogo comunitario all’interno del quale l’accettazione di ogni forma di diversità rappresenta la colonna di sostegno di tutta una comunità. Sviluppata nel 2021 da Eva Melisse per gli spazi de Il Colorificio di Milano, Una Sauna accoglie incontri ed eventi grazie ai quali evolvere insieme al di fuori dei dettami di una società che si sta sempre più ripiegando su sé stessa. Grazie a iniziative come questa, il corpo individuale diventa collettivo, un corpo autogestito che si nutre di scambi, di cura e rispetto reciproco.

Il corpo dissidente, decisamente politico, è anche al centro dei lavori della performer e autrice italiana Chiara Bersani che rivendica con forza una diversità non più stigmatizzata ma valorizzata e mostrata in tutta la sua splendente poesia.

Trasferitesi all’estero ma legate all’Italia da un punto di vista culturale e personale Agnes Questionmark e SAGG Napoli hanno invece deciso di valorizzare le proprie origini trasformandole grazie al potere catartico dell’arte. Attraverso le sue maestose performance (Transgenesis in primis), Agnes Questionmark esplora il concetto di corpo postumano, un corpo fluttuante e fluido che rifiuta ogni categorizzazione, un involucro vulnerabile ed effimero in costante trasformazione che travalica non solo il binarismo di genere ma anche quello tra specie. SAGG Napoli, all’anagrafe Sofia Ginevra Gianni, esplora invece le sue origini culturali napoletane, e più in generale quelle legate al Sud dell’Europa, sfruttandone ed enfatizzandone il potenziale trashy ed eccessivo. Anziché nasconderne le peculiarità, SAGG Napoli ci incoraggia a ripensare e rivalutare l’estetica del Sud, ad apprezzarne gli eccessi ma anche le poetiche e stralunate manifestazioni culturali. Il suo video che ritrae una coreografia di scooter guidati dai ragazzini di Napoli ne è un esempio emblematico.

L’artista e performer veneziano ma zurighese d’adozione Nicola Genovese sviluppa anche lui il tema dell’identità focalizzandosi però sulla decostruzione del concetto di mascolinità. Le relazioni di potere e la fabbricazione delle identità sono tematiche che Genovese affronta di petto attraverso creazioni artistiche pluridisciplinari che intersecano performance, arti visive e artigianato.

Poco importa il supporto, quello che conta per questi artisti indipendenti è l’utilizzo dell’arte in quanto vettore di trasformazioni individuali che si ripercuotono sulla collettività. Le loro opere diventano così un grido primordiale che ambisce a stravolgere e decostruire gli stereotipi, i preconcetti e le piccole grandi violenze del quotidiano. Conclude però Anahì Traversi «Credo che si stia pian piano lavorando il terreno per nuove trasformazioni che avverranno. Ci vuole fiducia».