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Dove e quando

Disegna come scolpisce. Fogli scelti dalla collezione del Museo Vincenzo Vela e Natale Albisetti (1863–1923) scultore. Dai successi parigini ai grandi cantieri svizzeri. Museo Vincenzo Vela, fino al 5 novembre 2023.

Orari: ma-ve 10.00-17.00; sa e do 10.00-18.00.

www.museo-vela.ch


Vela e Albisetti, viaggio tra il disegno e la scultura

Mostre  ◆  Intervista a Marie Therese Bätschmann e Simona Ostinelli, co-curatrici di due rassegne diverse a Ligornetto
/ 02/10/2023
Alessia Brughera

Al Museo Vincenzo Vela di Ligornetto sono in corso due rassegne aperte al pubblico fino al 5 novembre 2023. La prima, intitolata Disegna come scolpisce. Fogli scelti dalla collezione del Museo Vincenzo Vela, è un’esposizione inaugurata in occasione del convegno «Vincenzo Vela. Temi e studi a confronto» (25 e 26 agosto 2023) e curata dalla direttrice del museo Gianna A. Mina insieme alla storica dell’arte bernese Marie Therese Bätschmann; la seconda, intitolata Natale Albisetti (1863–1923) scultore. Dai successi parigini ai grandi cantieri svizzeri, è una mostra curata dalla direttrice Mina e dalla storica dell’arte Simona Ostinelli, autrice di uno studio approfondito sullo scultore ticinese del quale ricorre quest’anno il centenario della morte.

Proprio alle due co-curatrici, Marie Therese Bätschmann e Simona Ostinelli, abbiamo chiesto di raccontarci le rassegne allestite a Ligornetto.

Signora Bätschmann, la mostra sulla produzione grafica di Vela prende vita dal nucleo di fogli a lui attribuiti conservati al museo di Ligornetto. Quanto disegnava Vincenzo Vela?
È difficile dire quanto disegnasse Vela. Quello che possiamo notare è che se contiamo i suoi disegni a nostra disposizione arriviamo a circa trecentottanta fogli. L’artista ticinese ha lavorato per cinquant’anni: facendo un rapido calcolo risultano circa sette disegni all’anno. Molto pochi… C’è da dire però che lui era uno scultore, non un pittore, e non aveva la necessità di disegnare troppo. Vela si rapportava più alle forme tridimensionali, lavorando con la terracotta, il gesso e la pietra.

Quale funzione aveva affidato Vela all’opera grafica?
Per Vela i disegni sono delle prime idee. Sono la tappa iniziale di un progetto o qualcosa che utilizza quando vuole approfondire e chiarire meglio nella sua mente una situazione, un problema. Sono un aiuto, un supporto al suo processo creativo. Osservando i suoi fogli notiamo che spesso l’artista non si sofferma sui dettagli perché il tutto si sviluppa poi nella tridimensionalità della forma plastica. Eppure questi disegni testimoniano come Vela utilizzasse un metodo di lavoro diversificato per poter giungere a una soluzione definitiva. Tra le opere che abbiamo selezionato per la rassegna, quelle a mio parere più interessanti per comprendere il modo di disegnare di Vela sono quelle che mostrano la figura umana colta frontalmente. Qui l’artista traccia solo i profili, i contorni. Le sue sembrano figure senza corpo. Quando Vela scolpisce, il corpo ha la sua forma ben esibita, quando invece disegna, il corpo si fa quasi impalpabile.

I disegni di Vela sono tuttora oggetto di analisi da parte di eminenti studiosi. Per questa mostra lei è partita da un punto di vista diverso…
Questa mostra è stata per me molto stimolante perché mi ha dato la possibilità di combinare i miei due principali ambiti di ricerca: la grafica e la scultura. Gli studiosi che si sono occupati dei disegni di Vela li hanno sempre interpretati come un mezzo espressivo funzionale al risultato plastico finale. Ben consapevole del fatto che in Vela la produzione grafica e quella scultorea sono strettamente legate, io ho adottato invece un approccio alla lettura di questi disegni che li considerasse come lavori a sé stanti, autonomi, focalizzandomi sulle questioni relative alla maniera caratteristica dell’artista.

Come vediamo anche nell’immagine (Giuseppe e la moglie di Putifarre, 1855-65, inchiostro di china su carta) Vela si concentra sulla figura umana. Come viene rappresentata?
Vela rappresenta la figura umana da sola o in relazione a un monumento. Spesso la troviamo su un piedistallo o inserita in una nicchia. Talora c’è una semplice silhouette stante, talatra ci sono figure in movimento o sedute. La cosa interessante è che Vela studia la postura dei corpi riuscendo a dare espressione a una grande varietà di sentimenti e di sfumature dell’animo.

Signora Ostinelli, abbiamo visto come per Vela il lavoro grafico avesse una grande valenza. Lo stesso Albisetti si è formato alla Scuola di Disegno di Clivio. Anche per lui era importante il disegno?
Quanto il disegno fosse rilevante per Albisetti possiamo soltanto supporlo. Purtroppo non è pervenuto un corpus di sue opere grafiche. Recentemente sono comparsi sul mercato antiquario quattro disegni dell’artista che il Comune di Stabio ha acquisito. Si tratta di opere servite per realizzare dei ritratti. Nonostante ci siano pochi esempi a nostra disposizione, si può certamente affermare che per Albisetti il disegno fosse qualcosa di basilare per il suo lavoro.

Albisetti è stato un artista di talento eppure è oggi una figura pressoché sconosciuta. Come mai?
Le ragioni sono diverse. Albisetti vive nel periodo storico che precede le avanguardie. È un artista figlio del proprio tempo legato agli stilemi dell’epoca. Quando arrivano le avanguardie, che spazzano via tutto quello che c’è, è come se lo scultore rimanesse impigliato nella maglie della storia, con un linguaggio che ormai non è più attuale. Il fatto poi di aver effettuato un’importante donazione al proprio paese di origine, Stabio, se da una parte ha preservato la sua opera dalla dispersione, dall’altra ha reso più ardua la sua conoscenza perché i suoi lavori sono rimasti nascosti, di difficile accesso. Un’altra ragione è l’aver vissuto per tanto tempo in Francia, poiché, pur mantenendo i contatti con il Ticino e con la Confederazione, l’artista è stato considerato come una sorta di espatriato. Ultimo elemento è che Albisetti non ha avuto eredi diretti e questo ha fatto sì che la trasmissione della sua conoscenza sia stata limitata.

Qual è stato il suo rapporto con Vincenzo Vela e in che modo è stato da lui influenzato?
Non abbiamo evidenze di un rapporto diretto tra i due. Non ci sono lettere o cartoline. La figura del grande scultore ligornettese, però, ha contato moltissimo per la formazione del giovane Albisetti. Molti sono gli omaggi dell’artista all’opera di Vela: in un ritratto della madre, ad esempio, c’è un crocifisso che è una citazione della Preghiera del mattino e nella sua scultura più famosa, l’Arnoldo di Melchtal, il pugno è una citazione dello Spartaco.

Com’è stata pensata e allestita la mostra di Ligornetto?
L’allestimento è stato curato dalla direttrice Mina, che ha privilegiato un percorso tematico. Ho segnalato alcune opere che mi sembravano rappresentative della produzione di Albisetti, come ad esempio i gessi per i concorsi pubblici, lavori, questi, particolarmente importanti per uno scultore perché costituiscono delle occasioni eccezionali per confrontarsi con i colleghi e con lo spirito del tempo. Ci sono poi alcune sculture di genere e una sezione dedicata agli affetti, con ritratti dei nipoti, della madre e della moglie dell’artista, Fortunata, una figura molto interessante, anche biograficamente: veniva dal Lazio e apparteneva a quella schiera di persone che lasciavano la loro terra per recarsi a Parigi per intraprendere la professione di modelli. Fortunata diventa la modella principale di Albisetti e tra i due si instaura uno stretto rapporto di arte e vita.

Pur vivendo all’estero Albisetti mantiene un forte legame con il Ticino e la Svizzera…
Ai suoi tempi, nella Confederazione, Albisetti faceva parte della Commissione federale di belle arti ed era uno degli scultori di primo piano. L’artista ticinese era stimato in Svizzera perché viveva a Parigi, e aveva quindi uno sguardo privilegiato su quella che all’epoca veniva considerata la capitale dell’arte, ed era stimato a Parigi perché era un autore che arrivava dalla Confederazione, portando con sé un bagaglio di conoscenze e di frequentazioni che nella città francese avevano trovato un solido impianto. Il rapporto con Stabio, poi, è sempre stato molto profondo. Qui Albisetti aveva acquistato una grande abitazione di nove locali dove soggiornava e lavorava in alcuni mesi dell’anno. Alla sua morte, nel 1923, l’artista dona alla città una gipsoteca composta da circa ottanta gessi e da un parte documentaria.