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«La religione è una mia esperienza intima»

Intervista  ◆  La regista Carmen Jacquier ci racconta Foudre, il suo film che tra pochi giorni sarà nelle nostre sale
/ 25/09/2023
Nicola Mazzi

La Svizzera, per la corsa agli Oscar, sta puntando su Foudre, in arrivo nelle nostre sale il 28 di settembre. È solo al suo primo lungometraggio ma grazie a una grande forza visiva e a una buona struttura narrativa, Carmen Jacquier, classe 1985 (ritratta nella foto), si dimostra «un grande talento da coltivare e far maturare.

Il film è ambientato durante l’estate del 1900 nella Valle di Binn, nell’alto Vallese. La vicenda raccontata è quella della 17enne Elisabeth (una convincente Lilith Grasmug) in procinto di prendere i voti quando sua sorella, improvvisamente, muore. Un fatto che la sconvolge e che cambia il modo di vivere la fede e vedere la famiglia, i suoi compaesani e la società agreste nella quale vive.

La pellicola è stata proiettata al Film Festival di Locarno con la presenza della regista. Un’occasione che abbiamo colto per incontrarla.

Come è arrivata a pensare a questo film?
All’inizio volevo fare un film sull’amore e l’amicizia tra quattro giovani. Ma poi mi sono imbattuta in alcuni quaderni di mia nonna nei quali raccontava la sua infanzia e la sua vita da ragazza. Pagine molto interessanti che mi hanno spinto a effettuare alcune ricerche e ad approfondire la vita contadina in quel particolare periodo storico.

Come è stata la vita sul set e la collaborazione tra i membri della troupe?
L’atmosfera era davvero ottima, anzi oserei dire che c’era anche una certa euforia. È stato il primo film girato dopo la pandemia e tutti avevamo voglia di collaborare e soprattutto di lavorare all’aria aperta. Un lavoro anche molto fisico, perché abbiamo girato in montagna, in situazioni non sempre facili e lontani dalle comodità. Ho avuto la fortuna di poter preparare il set con gli attori per un’intera settimana e di poter creare un bell’ambiente – attraverso giochi, canti e passeggiate – tra i giovani che non si conoscevano. Tutti aspetti che hanno contribuito a rendere più realistiche le relazioni tra di loro.

La religione è un aspetto centrale del film. Lei come si pone su questo tema?
La religione è una mia esperienza intima e il film è una parte della mia personale ricerca. In particolare, del mio desiderio di capire l’ambiente in cui sono cresciuta visto che ho vissuto in una città protestante come Ginevra, ma provengo da una famiglia cattolica. Attraverso le azioni della protagonista volevo approfondire il sistema sociale vigente in quegli anni e come le autorità religiose e sociali si ponessero di fronte ad alcune questioni come la libertà delle donne.

Come ha scelto la protagonista?
Ho effettuato diversi casting perché per me era necessario trovare qualcuno somigliante al personaggio della fine del film e quindi libera, con una grande forza interiore e provocante. Ho invece incontrato Lilith – ragazza riflessiva, docile e tranquilla – che, al contrario, somigliava molto alla protagonista dell’inizio del film. Ed è stato interessante perché durante le riprese abbiamo visto un’evoluzione del personaggio parallelo a quello dell’attrice.

La musica e i luoghi sono strettamente connessi. Ci spiega questo legame?
Prima di scoprire i luoghi e prima di iniziare il film avevo abbozzato degli schizzi sulle distanze e sui percorsi che dovevano fare i personaggi. In altre parole, avevo disegnato i territori nei quali volevo ambientare la storia. A essi abbiamo poi abbinato alcuni dettagli e alcune sensazioni che volevamo far emergere. E, infine, grazie al grande lavoro del compositore, è stato costruito un tappeto sonoro che si abbinasse a quegli spazi e a quei sentimenti.

Qual è la sua sensazione quando rivede il film oggi e quindi a qualche mese dalla sua realizzazione?

Sicuramente ci sono alcuni momenti del film che mi emozionano come alla prima visione e mi accorgo anche di una certa tenerezza. Ma oggi lo guardo con altri occhi, come se fosse un figlio cresciuto, e lo lascio camminare con le proprie gambe.

A proposito di viaggio, di recente Foudre è stato scelto per rappresentare la Svizzera nella corsa agli Oscar. Come ha preso la notizia?
Sono contentissima e fiera del lavoro fatto insieme a tutta l’équipe che ha collaborato davvero con tanta energia. Probabilmente non tutti l’hanno amato o l’ameranno, ma credo che il film – malgrado sia ambientato in un’epoca che risale a più di un secolo fa – ponga delle problematiche e faccia emergere questioni di grande attualità.

Quali sono i registi ai quali si è ispirata?
Sicuramente ci sono dei modelli come Pier Paolo Pasolini e Jane Campion. E, sebbene sia un cinema molto diverso dal mio, mi ha influenzata anche il lavoro che ha fatto Harmony Korine sugli adolescenti.

Sta già pensando al prossimo lavoro?
Sto terminando un film co-realizzato con Jan Gassmann (autore di 99 Moons) che si intitola Les paradis de Diane e che esce nel 2024. Parla di una donna che, dopo aver dato alla luce il suo primo figlio e sofferente di una depressione post partum, si dà alla fuga.

Come in Foudre e nei cortometraggi precedenti anche nel nuovo lavoro Carmen Jacquier continua dunque la sua particolare esplorazione della femminilità. Vedremo se anche l’Academy saprà apprezzare questa indagine. La prima scrematura delle opere in concorso per il miglior film straniero avverrà il 21 dicembre. Mentre la cinquina delle nominations si conoscerà il 23 gennaio.