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Il fuoco di Oppenheimer

Grande successo per il film più riuscito di Christopher Nolan
/ 28/08/2023
Nicola Falcinella

Incubi e visioni, luce e oscurità. Oppenheimer, la pellicola di Christopher Nolan è un film di contrasti, del quale tanto si sta parlando e si spera, si parlerà, perché come il vino bisogna lasciarlo decantare per capirlo al meglio.

Oppenheimer è un’opera importante che negli Usa e nei Paesi in cui è già uscito nelle sale ha riscosso un grande successo di pubblico, a differenza della precedente pellicola che aveva già raccontato questa storia. La vicenda di Robert Oppenheimer, considerato il padre della bomba atomica, era stata portata sullo schermo nel 1989 da Roland Joffé (noto soprattutto per Urla del silenzio e Mission) ne L’ombra di mille soli con Paul Newman, Dwight Schulz, John Cusack e Laura Dern. Una pellicola molto classica, basata soprattutto sul rapporto tra lo scienziato e il generale Leslie Groves responsabile del progetto Manhattan, che si inseriva nel filone del cinema bellico con una bella colonna sonora di Ennio Morricone e con un risultato per nulla malvagio, che però si rivelò un flop al botteghino.

Tutt’altro interesse si avverte per il dodicesimo lungometraggio del regista inglese di Insomnia, Il cavaliere oscuro, Inception e Interstellar, basato sulla biografia Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato (in originale American Prometheus) di Kai Bird e Martin J. Sherwin. Naturalmente non si tratta di un film biografico comunemente inteso, bensì di un thriller costruito a tasselli avanti e indietro nel tempo, come ci si aspetta da Nolan. Se il titolo italiano del romanzo è molto esplicativo, quello americano centra il punto di partenza della visione nolaniana, ovvero quella del fisico che come Prometeo, il titano della mitologia greca, ruba il fuoco agli dei per darlo agli uomini. Oppenheimer avrebbe rubato un altro fuoco, quello della fissione tra atomi all’origine del mondo, per farne un’arma micidiale. Il personaggio è proiettato in una dimensione mitica ed esprime la sua ribellione a Dio, quasi a voler diventare un altro Dio. I concetti di creazione e distruzione stanno alla base dei contrasti che alimentano le tre ore del film: il rapporto tra benefici e potenziale devastante del fuoco è estremizzato nel caso del nucleare.

Oppenheimer, incarnato da Cillian Murphy quasi emaciato e spiritato, ascetico nella sua determinazione, è animato dall’ambizione e da un ideale, che diventeranno ossessione e poi tormento lacerante. Nolan non ne tratteggia la parabola in un lineare percorso di ascensione e caduta, parte invece da un momento chiave nella sua vita. Nella realtà, da eroe nazionale, lo scienziato finì presto processato in piena epoca maccartista, accusato per le simpatie comuniste che non aveva nascosto fin dagli anni Trenta, quando aveva fornito il suo contributo a diverse organizzazioni. Nel 1954 fu messo sotto inchiesta e gli fu revocata l’autorizzazione di sicurezza, quella che gli dava accesso ai segreti atomici di interesse militare. L’interrogatorio è uno dei punti di partenza del film, la linea narrativa dalla quale tutto deriva e subito presenta una delle sue controparti di spicco, il senatore Lewis Strauss (interpretato da Robert Downey jr.), ambiguo nei confronti dello scienziato che cerca di incastrare sulla base delle idee politiche. Lo spettro del comunismo è pari a quello dell’atomica in quegli Stati Uniti nel pieno della Guerra fredda, così Oppenheimer si trova di nuovo a dover allontanare i sospetti che sempre l’avevano accompagnato. Del resto l’uomo aveva a lungo frequentato la dirigente comunista Jean Tatlock (divertenti i loro siparietti con i fiori, uno dei tormentoni, nonché momenti di alleggerimento, della vicenda), anche dopo il matrimonio con la biologa Kitty, fino all’improvviso suicidio di lei che gli instilla un senso di colpa che divamperà dopo il Trinity test e ancor più dopo Hiroshima e Nagasaki.

A questo proposito arriva la scena che riassume il senso più profondo del film, l’incontro con il presidente Harry Truman (Gary Oldman in pochi minuti lascia il segno): questi smonta, anche con il gesto beffardo del fazzoletto, le convinzioni del protagonista (e pure le tentazioni da superuomo) prendendosi tutte le responsabilità dell’impiego degli ordigni. Le responsabilità della scienza e della politica sono separate, si tratta di due piani distinti, sebbene una volta che uno strumento sia disponibile qualcuno deciderà di usarlo. Così pure, quando ci sono le conoscenze scientifiche per realizzare qualcosa, si scatena una gara per arrivarci: Oppenheimer, quando capisce che anche i tedeschi possono arrivare alla bomba, moltiplica gli sforzi per precedere i nazisti e difendere il mondo libero. Anche in questo si vede un legame con l’attualità, che si tratti di bioingegneria o intelligenza artificiale, se una cosa è possibile, qualcuno la raggiungerà.

Forse non sarà un secondo Prometeo, ma Nolan riesce a stare vicino alle proprie ambizioni per il suo film forse più riuscito

Nolan vuole rendere le ossessioni di Oppenheimer non solo esplicitandole tra visioni e incubi, ma con la forma contorta che gli è consona, in modo meno cervellotico rispetto ad altri suoi film. Il regista esplora i limiti e le potenzialità della scienza e degli umani e anche del cinema, forse la sua ambizione è essere il Niels Bohr della situazione, il fisico danese che fece lezione a un giovane Oppenheimer nel 1926 spiegando che la fisica quantistica non rappresentava un semplice passo avanti, ma un cambiamento completo rispetto alla fisica classica.

Forse non sarà un secondo Prometeo, ma Nolan riesce a stare vicino alle proprie ambizioni (ha filmato in pellicola 70 mm, per una proiezione che rende al massimo sugli schermi Imax, con un lavoro sul sonoro di grande impatto) per il suo film forse più riuscito. Curiosamente, sembra essere un’estate cinematografica dedicata al nucleare: il bel thriller serbo-francese Guardians of the formula di Dragan Bjelogrlić, su uno sconosciuto episodio di ricerche in Jugoslavia nel 1958 e di generosità di medici francesi, ha vinto il Pardo verde e il premio Variety al Festival di Locarno, mentre Wes Anderson in Asteroid City racconta a suo modo la paranoia da guerra fredda.