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Bibliografia
J. W. Goethe, F. Schiller, Carteggio 1794-1805, Maurizio Pirro e Luca Zenobi, Istituto italiano di studi germanici (Roma) e Quodlibet (Macerata), 2022.
Goethe e Schiller, non fu amore a prima vista
Lo scambio epistolare integrale tra i due giganti della letteratura tedesca pubblicato per la prima volta da Quodlibet
Natascha Fioretti
Quante volte Goethe nelle sue opere ci ha parlato della bellezza delle affinità di spirito o della ricchezza nel trovare dei compagni d’anima. Pensiamo soltanto al Wilhelm Meister e alle Affinità elettive… Certo però avere la fortuna e la gioia di trovare in vita delle corrispondenze d’animo cosi profonde è tutta un’altra storia.
«Tanti auguri per il nuovo anno! Facciamo in modo di trascorrerlo come abbiamo terminato il precedente, prendendo vicendevolmente parte a ciò che amiamo e coltiviamo. Che fine faranno la società e la socievolezza se gli spiriti affini non entrano in contatto tra loro? Mi rallegra la speranza che l’influenza reciproca e la confidenza tra noi aumenteranno sempre più».
Goethe scrive a Schiller il 3 gennaio del 1795. Ai tempi Schiller vive ancora a Jena ma se a qualcuno di voi è mai capitato di visitare la casa del drammaturgo a Weimar an der Esplanade (dove visse dal 1802 fino alla sua morte) e quella del padre di Faust am Frauenplan 1, vi ricorderete che non ci può essere nulla di più diverso. La casa di Goethe dagli spazi ampi e luminosi è sontuosa, impreziosita sin nel più piccolo dettaglio con uno splendido giardino sul retro; quella di Schiller invece più sobria, spartana e classica. Se le case ne avessero rispecchiato gli animi potremmo dire che mai due persone furono più diverse, ma leggendo le loro lettere e diventando testimoni di un profondo sodalizio umano e professionale in crescendo non possiamo che riconoscere in loro due compagni d’anima (nella foto ritratti nel monumento di Ernst Rietschel a Weimar davanti al Nationaltheater).
Non fu però amore a prima vista come conferma Maurizio Pirro, professore ordinario al Dipartimento di Lingue, Letterature, Culture e Mediazioni dell'Università Statale di Milano e curatore insieme a Luca Zenobi del volume, uscito per Quodlibet, che raccoglie il carteggio integrale tra i due letterati dal 1794 al 1805. Galeotta fu la lettera di Schiller a Goethe il 13 giugno 1794 in cui si rivolge a lui con «Illustrissimo signore, Stimatissimo signor Consigliere Segreto» in cui gli chiede di collaborare alla rivista «Horen». «Goethe a quel tempo ha già una posizione sicura come uomo di potere anche nel campo culturale mentre Schiller è il classico outsider. Questa differenza si rispecchia nelle prime fasi del loro rapporto caratterizzate da reciproca diffidenza. All’inizio non si sono affatto simpatici, si evitano. Goethe vede in Schiller un giovane intemperante, un letterato privo di gusto, Schiller vede in Goethe l’uomo di potere che pratica una concezione conservatrice della letteratura e dell’arte. Le cose cambiano con l’incontro che avviene nel 1794 alla viglia del carteggio. La diffidenza iniziale tra i due viene superata dalla capacità di Schiller di toccare alcuni punti su cui Goethe era molto sensibile». È evidente nella lettera a Goethe del 28 agosto del 1794 «nota come lettera di compleanno» in cui egli lo lusinga e traccia con mirabile sintesi il profilo di una personalità spirituale e culturale. «Goethe per la prima volta si sente profondamente compreso, sente di avere vicino un interlocutore capace di cogliere la grandezza, la molteplicità del suo disegno culturale». A soprendere del carteggio è anche la grande cura, la gentilezza, l’attenzione che i due hanno l’uno per l’altro. «C’è una grande sollecitudine. L’epistolario in Germania è stato letto come un documento significativo non soltanto dal punto di vista della storia dell’arte e dal punto di vista della storia delle idee, ma anche perché l’amicizia, la solidarietà che si sviluppa tra i due si estende a tutto il complesso della loro esistenza. C’è una continua premura, una continua cura reciproca che riguarda non soltanto le comuni imprese di carattere letterario e culturale ma tocca una profonda consonanza sul piano del gusto, tocca anche una empatica partecipazione di entrambi alle vicende della vita privata di ciascuno dei due. È un documento culturale ma innanzitutto di una profonda affinità umana». Le lettere contengono molte sfumature della loro vita quotidiana e domestica, Schiller conclude le sue mandando a Goethe i saluti della moglie, condividono i loro acciacchi e spesso si inviano casse di legno colme di verdure appena raccolte o addirittura dei pesci appena acquistati.
Il loro scambio è un nutrimento di spirito e di cuore: «I nostri recenti incontri hanno rimesso in moto tutto il complesso delle mie idee… l’intuizione del Vostro spirito ha acceso in me una luce inattesa» (Schiller a Goethe il 23 agosto 1794); si inviano i manoscritti delle loro opere, collaborano agli epigrammi, Goethe chiede consiglio a Schiller per il suo Wilhelm Meister e Schiller a lui per il Wallenstein. Ed è proprio grazie a Schiller che Goethe decide di riprendere in mano la materia del Faust tanto che a pochi anni della sua morte, nel 1808, Goethe pubblicherà la prima parte della sua opera: «È evidente il debito, il legame maturato negli anni precedenti con il drammaturgo».
«Tutta la materia del Meister è pervasa nell’immaginazione di Goethe da un fittissimo, inespugnabile significato simbolico. Il Meister che noi intendiamo come romanzo di formazione mostra progressivo sviluppo delle migliori capacità dell’individuo alla ricerca di un accordo tra le facoltà del singolo e le necessità della comunità in cui il singolo è iscritto. Ecco Schiller, in vari passaggi, trova questa costruzione simbolica, eccessivamente astratta, troppo difficile da decodificare e induce Goethe a una più netta esplicitazione della propria intenzione».
Schiller invece chiede lumi all’amico sul motivo astrologico nel suo Wallenstein «Goethe e Schiller sono innanzitutto – tra le tante altre cose – due uomini di teatro, per questo la discussione che si sviluppa tra loro riguarda soprattutto la teatrabilità della materia – la maggiore o minore efficacia della resa dello spettacolo a teatro. Goethe ritiene il motivo astrologico troppo astratto per riuscire a realizzare un effetto sicuro sul pubblico e sollecita Schiller a concretizzarlo in maniera più netta e a renderlo più facilmente comprensibile allo spettatore. Ma la discussione tra i due supera poi aspetti di carattere contingente e va a toccare la funzione complessiva che il teatro deve assumere nel progetto culturale che è alla base della loro collaborazione». Nello spirito del classicismo il l teatro doveva avere una finalità pedagogica, il pubblico doveva essere educato, «doveva essere portato a sviluppare gradualmente tutte le proprie migliori capacità e a sviluppare l’intero spettro della propria umanità. Lo spettacolo teatrale doveva contribuire al perfezionamento spirituale, alla crescita morale dello spettatore».
Il Settecento europeo è il secolo delle grandi scritture epistolari, pensiamo a Pamela, o la virtù ricompensata di Samuel Richardson (1741) o a La nuova Eloisa di Rousseau (1761). «La lettera è il mezzo privilegiato della comunicazione tra dotti, tra eruditi, è il mezzo che dà corpo e sostanza a un altro grande ideale che è alla base di tutta la cultura del Settecento: la socievolezza, l’apertura degli intellettuali a una dimensione collettiva, comunitaria».
L'importanza della lettera emerge anche nelle principali opere di Schiller e a più livelli «Schiller è quello più forte dal punto di vista teorico. È un ingegno critico acutissimo, è autore di alcune opere decisive per la comprensione critica dei grandi processi di modernizzazione che in questa fase di fine Settecento mutano il volto non soltanto della Germania ma di tutta la società europea. Quello che forse è il più rilevante tra questi scritti teorici critici che possiamo definire di critica della civiltà è concepito e sviluppato in forma epistolare. Sono appunto le lettere sull'educazione estetica dell’uomo (L'educazione estetica dell'uomo, Bompiani, 2021) lettere indirizzate ad un destinatario reale, al principe di Augustenburg che gli aveva messo a disposizione un generoso finanziamento per dedicarsi per qualche tempo in modo indisturbato alla propria attività. Per ringraziare questo aristocratico del suo sostegno, Schiller gli indirizza queste lettere che trascendono di gran lunga la relazione personale tra l’autore e il destinatario per cui arrivano a toccare i grandi temi legati a ciò che globalmente noi definiamo il moderno. Vi ritroviamo un’analisi spregiudicata, modernissima, dei grandi fenomeni di trasformazione sociale, politica ed economica. La grandezza di Schiller sta nell’intuire i più radicali tra questi fenomeni di trasformazione da una posizione che è tutto sommato periferica. In queste lettere il drammaturgo si spinge, per esempio, a una comprensione lucidissima di ciò che troverà poi una definizione comunemente accettata soltanto una cinquantina di anni dopo con l’analisi che Marx farà dell’alienazione dell'operaio alla catena di montaggio. Solo che Marx svilupperà questi concetti almeno un secolo dopo la sua elaborazione avendo davanti la realtà avanzata delle grandi fabbriche londinesi. Schiller invece viveva in un contesto del tutto arretrato dal punto di vista dello sviluppo sociale ed economico. La Germania di fine Settecento è un paese caratterizzato da una condizione di forte ristagno dal punto di vista dello sviluppo delle attività economiche, è un paese ancora sostanzialmente privo di quella rete di prime strutture industriali che invece va già caratterizzando paesi più avanzati dal punto di vista sociale e politico come Francia e Inghilterra. Schiller - pur non avendo a disposizione una struttura sociale ed economica complessa - per quella capacità di intuizione tipica dei grandi intellettuali arriva a capire la sostanza profonda di alcuni fenomeni che poi arriveranno in Germania soltanto alcuni decenni dopo e lo fa servendosi della lettera nella quale identifica evidentemente un medium privilegiato per l’espressione delle proprie idee».