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Con «Azione» al Concerto

«Azione» mette in palio alcuni biglietti per il concerto con il violoncellista Jean-Guihen Queyras giovedì 2 febbraio alle 20.30 all’Auditorio Stelio Molo RSI. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Haydn» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro domenica 29 gennaio.


«Durante le prove si costruisce l’intesa e la fiducia»

Influenzato dal grande maestro Rostropovich, il violoncellista Jean-Guihen Queyras suonerà a Lugano il 2 febbraio
/ 23/01/2023
Enrico Parola

Applaudito pochi giorni fa a Lugano Musica, Jean-Guihen Queyras torna a Lugano nella doppia veste di direttore e solista: con l’OSI accosterà il primo Concerto per violoncello di Haydn e quello in la maggiore di Carl Philipp Emanuel Bach, alla Sinfonia n. 13 sempre di Haydn e Ramifications di Ligeti, omaggio al compositore ungherese nel centenario dalla nascita.

«Haydn e Bach sono due mondi diversi. Haydn creò il primo vero concerto per violoncello se consideriamo non tanto la forma, col dialogo tra solista e orchestra, quanto piuttosto l’indagine sulle possibilità espressive e timbriche che potevano essere ottenute da questo strumento all’interno di una forma orchestrale. Il suo insistere ora sulle note più acute, con alcune melodie intonate ad altezze prima di lui neppure pensabili – ora su un continuo salto dal registro acuto a quello grave, proiettarono il violoncello in una nuova dimensione. Bach era un cembalista e il concerto che suona a Lugano fu scritto in tre versioni: oltre a quella per violoncello, anche per clavicembalo, l’originale, e per flauto. La scrittura talvolta non è immediata tecnicamente, ma musicalmente ha sempre una fantasia, un’originalità e una vitalità che conquistano. Il terzo movimento non è mai costruito simmetricamente – otto battute più otto, sei più sei, per esempio – ma le corrispondenze tra temi musicali e battute cambiano continuamente, dando un’impressione di schizofrenia che però non è disordine ma sorpresa, disorientamento sempre corroborato da ironia e leggerezza».

A differenza di altri strumenti, il violoncello impone al solista di voltare le spalle all’orchestra, e se il solista deve essere anche direttore, come in questo caso… «si fa come nei grandi quartetti» sorride Queyras «Durante le prove bisogna costruire l’intesa e la fiducia; quartetti come l’Alban Berg provavano ponendosi ai quattro angoli della sala, rivolti al muro, così da non vedersi e imparare a comunicare solo attraverso i respiri, il fraseggio, le dinamiche. Così dobbiamo fare questa volta, anche se ho un jolly: il primo violino, con cui possiamo scambiarci gli sguardi; ed è lui, come anche nelle grandi orchestre sinfoniche, il tramite tra il direttore e tutti gli altri musicisti». Accanto a Haydn e Bach, Ramifications di Ligeti.

«Da sempre ho amato spaziare tra generi ed epoche: mi sono cimentato nella musica barocca suonando strumenti dell’epoca, con corde di budello invece che con quelle moderne in metallo; allo stesso tempo già in Conservatorio ero come affetto da una tale bulimia verso la contemporanea che, sparsasi la voce, venivo letteralmente inseguito dagli studenti di composizione: sapevano che qualunque cosa avessero scritto per violoncello io gliela avrei suonata».

Forse profetica fu quella prima settimana col violoncello, senza ancora conoscere le note né le posizioni delle dita sulle corde: «Lo strumento mi arrivò una settimana prima di prendere la prima lezione e lo strimpellai per il puro gusto di sentire i suoni – non ancora note! – che poteva produrre; in effetti, talvolta, me lo sono ricordato studiando certi brani di contemporanea». Non era piccolissimo, aveva «già» nove anni: «Può sembrare tardi rispetto a tanti altri concertisti, ma fu a quell’età che lo ascoltai per la prima volta: sono nato in Canada da genitori francesi, a cinque anni la famiglia si trasferì in Algeria, poi a otto potemmo finalmente prender casa in Provenza. Fu lì che lo vidi e lo ascoltai per la prima volta: lo suonava un bambino di undici anni, assieme a mio fratello che era violinista. Rimasi stregato, iniziai ad assillare i miei genitori finché non cedettero; ci volle un mese perché mi arrivasse, un mese in cui probabilmente fui insopportabile… Quando lo ebbi tra le mani ero incantato dalle sue dimensioni: tutto era grandioso, monumentale. Abitavamo in una zona rurale, non era facile trovare scuole di musica; dopo una settimana, finalmente, mi iscrissero in un istituto a Manosque, a una quindicina di chilometri da casa».

Il suo modo di intendere e vivere il concertismo è stato segnato dal più carismatico violoncellista del Novecento, Rostropovich: «Mi colpì profondamente perché quando era su un palco dava l’impressione che per lui suonare fosse una questione di vita o di morte. Una volta, a Parigi, stava suonando il terzo Concerto di Schnittke, una quantità spaventosa di note difficilissime; a un certo punto dimenticò la parte, e non per un istante, ma per qualche secondo; non si fermò, ma suonò le corde vuote del violoncello in “fortissimo”: sembrava un leone circondato dai predatori – l’orchestra. Mi spiazzò vedere un mito vivente non cercare di nascondere l’errore, ma quasi condividerlo col pubblico; mi insegnò che noi esecutori non siamo perfetti, e siamo transeunti. Questo ha smussato e non poco il desiderio, credo naturale per un concertista, di piacere e di essere amato dal pubblico. Da quel momento più che di piacere al pubblico ho cercato solo l’interpretazione più vera per me».