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Una copertura iperbolica?
Sguardo sulle maratone elettorali
Marco Züblin
Iperbole informativa nella «repubblica dell’iperbole»: così si potrebbe dar conto delle elezioni cantonali ticinesi e della copertura che le televisioni hanno dedicato all’evento.
Per quanto riguarda TeleTicino, si è rimasti in sintonia con il profilo dell’emittente; programmazione fluviale, con un alternarsi implacabile tra le dirette e la loro replica, qualità né meglio né peggio del solito. L’idea di base era che il pubblico non fossero i divanisti in astinenza da politica, ma gente che domenica ha fatto soprattutto altro e che doveva potersi inserire nel flusso non perdendosi nulla di quanto era passato in precedenza. Una scelta non sbagliata, neppure a livello di impegno finanziario.
Discorso diverso per la copertura televisiva della TSI (in particolare la domenica), che ha optato per una maratona articolata, complessa e costosa; affidata al vellutato cerimoniale di Reto Ceschi, ben affiancato da una presenza femminile (Sharon Bernardi e Sandy Sulmoni) più spigliata e tonica rispetto alle passate edizioni. Si è cercato, spesso con avvertibile fatica, di ammobiliare tempi morti, eterni a causa delle solite inefficienze dello spoglio. La crescente angoscia, venata di rassegnazione, per i ritardi nei risultati ha reso penosi alcuni momenti; imbarazzo palpabile ma gestito da professionisti, con ospiti in studio e fuori, e i soliti collegamenti dalle postazioni enogastronomiche dei vari partiti. Poi dibattiti-vetrina in cui gli intervenuti sciorinavano le quattro righe preparate prima, spesso fregandosene della domanda per la quale avevano ricevuto parola. Come troppo spesso, si è sentita crudelmente la mancanza della seconda domanda che mettesse l’interlocutore in minimo imbarazzo, fuori dalla sua zona protetta; e quindi si è subìto lo stesso chiacchiericcio della campagna e il filo di compiacenza (o di misericordia, non so) degli intervistatori. Nessun intervallo per rifiatare, salvo i siparietti di Casolini; nemmeno un Colombo, buonanima.
Temendo qualche critica, e visto che il tempo c’era, microfono a tutti, tenori e comprimari, untorelli e trombati; un coro di trasversali frasi fotocopia, per lo più roba buona da far bollire. Le vele della diretta sbattevano nella bonaccia, e ci si è dovuti aggrappare a tre temi. Uno vecchio come il cucco, il crescente astensionismo, che ha suscitato nei politici qualche preoccupazione di facciata ma un sovrano disinteresse di fondo; si è capito che conta solo l’essere eletti, non fosse che da uno sparuto drappello di sopravvissuti. Nessuno a mettere i politici di fronte al deficit di legittimità, e alla protesta silenziosa per il vuoto di idee e di progetti, cui appunto l’astensione dà corpo e voce. Poi la grancassa per il successo assai prevedibile di un «nuovo» movimento e la preoccupazione corrucciata per la “frammentazione” del quadro parlamentare (di cui una puntuale iniziativa si propone di fare strage, per tornare in Aula agli antichi e retorici minuetti).
Interessante è il paragone con le sorelle SSR impegnate su fronti simili; là una copertura sobria e fattuale, nonostante dinamiche elettorali interessanti (Ginevra), nessuna maratona. Ma il motivo della diversità è semplice, e inquietante in prospettiva futura, cioè quando, e se, si voterà sul canone a 200 franchi; sembra si consideri la RSI non un medium di lingua italiana, e per italofoni, ma un’emittente della Svizzera italiana, addirittura del Ticino. Ebbene, così non è: la chiave di riparto concede alla RSI mezzi sovra proporzionali rispetto al pubblico della Svizzera italiana (e al canone versato) proprio per il suo essere elemento di coesione tra italofoni in Svizzera (compresi quelli che non votano in Ticino) e tra loro e le altre componenti geo-linguistiche. Tema importante, magari vitale per il futuro della RSI.
Sugli eventi elettorali gioverebbe quindi una copertura più modesta, congrua all’attuale qualità delle proposte politiche e di coloro che le incarnano.