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Un freschissimo Cimarosa
Il matrimonio segreto, uno spettacolo firmato da Irina Brook e Ottavio Dantone per l’Accademia del Teatro alla Scala
Davide Fersini
L’episodio è arcinoto. Per festeggiare l’enorme successo della prima viennese de Il Matrimonio segreto, il 7 febbraio 1792 l’imperatore Leopoldo offrì alla compagnia di canto un lauto banchetto, terminato il quale, chiese – ma tali richieste han forza d’un editto – di ripetere l’intera opera da cima a fondo. In quel preciso momento, quella «favola dolcissima nemmeno lontanamente adombrata dal sospetto della sua improbabilità» (F. Degrada) sostenuta dalla musica «tutta ideale» di Domenico Cimarosa, diveniva l’archetipo dell’opera buffa del Settecento. Il libretto di Giovanni Bertati, del resto, prendeva le mosse da una celeberrima narrazione pittorica di Hogarth del 1745 intitolata Marriage A-la-mode, in cui con somma arguzia venivano derise le mire nobiliari della nascente borghesia. Ed ecco, dunque, apparire sulla scena i tipi psicologici – rassicuranti e squadrati – della commedia dell’arte: dal ricco mercante Geronimo, che punta ad ammogliare una delle due figlie, Carolina ed Elisetta – perennemente in lotta fra loro – al conte Robinson, un nobile squattrinato ma di buon cuore; il giovane garzone di bottega Paolino, che segretamente ha già sposato Elisetta prima ancora dell’inizio dell’opera; e infine l’anziana zia Fidalma, tardivamente accesa da voglie proibite per il bel Paolino. Un teatro di burattini, insomma, che si muovono in una scatola chiusa – la casa di Geronimo – spinti unicamente dal continuo accavallarsi di equivoci e segreti, il cui scioglimento è perpetuamente rimandato alla scena successiva.
O ancora meglio, un meraviglioso acquario – o una voliera – dove i protagonisti, a mo’ di pesci o uccelli, sono liberi di nuotare o volare a piacimento, ma da cui è impossibile fuggire. Ed è proprio questa l’immagine proiettata sulla scena della Scala prima ancora che si spengano le luci: enormi sagome di animali legati fra loro dalla rete che li intrappola. Per allentare i nodi stringenti di cui è intessuto l’intreccio del libretto, l’acclamatissima regista Irina Brook ha, quindi, costruito una drammaturgia ispirata all’immaginario delle sit-com televisive di Netflix, in grado di incontrare lo sguardo del pubblico contemporaneo attraverso la meticolosa definizione delle relazioni fra i personaggi e l’identificazione con i loro umanissimi difetti. In questa nuova realtà, Geronimo è un trafficone un po’ imbolsito, il conte un eccentrico britannico che reca doni comprati al duty-free, Fidalma una signorotta assatanata, Paolino il classico stagista sotto-pagato e le due sorelle i poli opposti della femminilità. Completano il cast, quattro infaticabili – e applauditissimi – servi muti che smontano e rimontano in continuazione l’arredamento delle scene firmate da Patrick Kinmonth: monumentali pareti mobili costituite da coste e copertine di quaderni e libri contabili, tra cui spunta proprio quella del libretto de Il Matrimonio segreto – perché, in fin dei conti, dallo spazio di questa trama è impossibile fuggire.
Il risultato è uno spettacolo spassosissimo in cui, molto spesso a denti stretti, ridiamo inconsapevolmente di noi stessi. Impressionante, in questo senso, la prestazione dei ragazzi dall’Accademia del Teatro alla Scala per i quali la produzione è stata pensata, sia in buca sia in palcoscenico. Il Piermarini è notoriamente l’unica istituzione al mondo che sia in grado di mettere al servizio dei propri studenti una bacchetta come quella di Ottavio Dantone e una regista del calibro di Irina Brook. E a buon diritto, ché questi giovani possono degnamente rivaleggiare con colleghi già in carriera da molto tempo. Grazie a loro, la musica di Cimarosa, che «sembra uscita da una macchina per scrivere» (Savinio) trova nella bellezza del canto il suo principale mezzo di seduzione: svettano su tutti la Carolina di Greta Doveri, che instancabilmente seduce con il suo squillante fiume di voce e il Paolino timbratissimo e piacevolmente agile di Paolo Antonio Nevi; ma non da meno sono la pirotecnica Elisetta di Francesca Pia Vitale, che stordisce il pubblico con una girandola di colorature e la brunita Fidalma di Mara Gaudenzi, impagabile nel ruolo della seduttrice agé. Nel reparto dei bassi brilla il conte Robinson di Sung-Hwan Damien Park, dal bel timbro nobile, e accanto a lui, vera colonna della serata, il rodato e solido Pietro Spagnoli che disegna un Geronimo a metà fra il capocomico e il classico cumenda della commedia all’italiana.
Alla testa dell’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala, un magnifico Ottavio Dantone segue, accompagna, sostiene e guida amorevolmente ogni passo della sua compagnia di canto, con una tale empatia che a tratti ci si dimentica della sua presenza; una qualità essenziale – l’invisibilità – per ogni grande direttore d’opera! Al termine, applausi entusiasti da parte di una sala gremita di giovani. Questa sera alle 20.00 alla Scala l’ultima replica. Illuminante!