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Dove e quando
Nanda Vigo. Light Project. Palazzo Reale, Milano. Fino al 29 settembre 2019. Orari: lu 14.30-19.30; ma, me, ve e do 9.30-19.30; gio e sa 9.30-22.30. Ingresso gratuito. www.palazzorealemilano.it

Nanda Vigo, Palazzo Reale, Milano, 2019 Deep space (Photo Credit Marco PomaCourtesy Archivio Nanda Vigo)


Opere di luce

Milano omaggia Nanda Vigo con una rassegna a Palazzo Reale
/ 09/09/2019
Alessia Brughera

Quella che Milano dedica a Nanda Vigo è una mostra che l’artista stessa attendeva da tempo, consapevole di aver dato tanto alla città meneghina eleggendola luogo prediletto per elaborare la propria multiforme e avanguardistica produzione.

Nata nel capoluogo lombardo nel 1936, dopo la laurea al Politecnico di Losanna la Vigo parte alla volta degli Stati Uniti per lavorare in Arizona nell’entourage di Frank Lloyd Wright; una breve esperienza, questa, che seppur scaturita dalle più entusiastiche intenzioni, si rivela piuttosto deludente. Ecco allora che il ritorno negli anni Sessanta a Milano, centro brulicante di creatività e teatro di continue sperimentazioni, fa capire alla Vigo che quello che sta cercando è proprio lì, sotto i suoi occhi: in quel periodo vivace e innovativo l’artista trova nella sua città natale il terreno fertile per dare avvio alla propria indagine incentrata sul rapporto fra luce, spazio e forma, all’insegna dell’integrazione tra le arti.

Non è difatti facile dare della Vigo una definizione precisa. La sua attività si muove tra arte, architettura e design, ambiti ancora oggi da lei esplorati con il piglio radicale che ha da sempre contraddistinto il suo lavoro.

A contribuire alla sua visione versatile e globale dell’arte sono i molteplici incontri con figure di primo piano avvenuti proprio nel fervido contesto culturale milanese degli anni Sessanta. C’è, in primis, quello con Lucio Fontana, maestro da cui la Vigo impara a sondare le potenzialità dello spazio e a cui si affianca nell’esecuzione di alcuni «ambienti»; ci sono quelli con Enrico Castellani e Piero Manzoni, quest’ultimo suo compagno di vita fino alla tragica morte per infarto non ancora trentenne; c’è quello con Gio Ponti, con cui collabora lavorando agli interni della famosa casa Lo scarabeo sotto la foglia, a Malo.

La Vigo realizza opere d’arte, progetta edifici e produce oggetti (alcuni dei quali divenuti delle vere e proprie icone, come la lampada Golden Gate, di cui acquista il LED nel 1972 direttamente dalla NASA perché in quegli anni solo lì lo si poteva trovare): arte, architettura e design si fondono così in un unico processo creativo caratterizzato soprattutto dalla sperimentazione delle possibilità offerte dalla luce.

Non è quindi un caso che la mostra milanese ospitata nelle sale di Palazzo Reale, prima retrospettiva antologica che un’istituzione museale italiana dedica alla Vigo, sia intitolata Light Project, a sottolineare come nella lunga attività dell’artista il medium luminoso abbia assunto il ruolo di protagonista della sua ricerca. La rassegna raccoglie un’ottantina di lavori – tra progetti, sculture e installazioni – eseguite dalla fine degli anni Cinquanta a oggi, testimonianza delle diverse tappe del prolifico percorso della Vigo orientato allo studio della luce e della trasparenza attraverso il pionieristico impiego di materiali (dal neon al vetro, dal metallo alla plastica) che nei primi anni Sessanta erano ancora poco utilizzati in campo artistico.

Opera tra le più significative in mostra è la Global Chronotopic Experience, un ambiente immersivo in cui il visitatore può vivere l’esperienza di uno spazio invaso da una luminosità pura e assoluta. Allestito nella Sala degli Specchi, questo lavoro costituisce il naturale approdo dell’evoluzione della Vigo e la summa del suo credo artistico, essendo piena espressione di quel concetto di incorporeità della luce che l’artista ha sempre inseguito allo scopo di raggiungere una smaterializzazione che non fosse solo fisica ma anche, e forse soprattutto, mentale, un’esortazione per lo spirito ad andare oltre la mera contingenza.

Il cammino per giungere a questo tipo di opere parte dal 1962, quando la Vigo incomincia a realizzare i primi «cronotopi» (termine coniato dall’artista stessa associando le parole cronos e topos), creazioni dalle forme semplici e dinamiche, concepite in alluminio e vetro, capaci di filtrare e modulare la luce artificiale alterando nell’osservatore la sensazione spazio-temporale.

Seppur frutto di un’indagine sviluppata in maniera personale, questi lavori si avvicinano alle esperienze portate avanti dal Movimento Zero, gruppo di respiro internazionale fondato nel 1957 a Düsseldorf da Otto Piene e Heinz Mack, con cui la Vigo si sente in sintonia per la medesima visione di un’arte allargata che ridefinisce completamente lo spazio facendovi confluire elementi sino a quel momento inusuali. Un’arte che, rientrando nell’ambito delle tendenze ottico-cinetiche, muove dalla consapevolezza che la percezione della realtà, come la tecnica e la scienza stanno teorizzando in quel periodo, sia sempre più fluida e mutevole.

Da quei primi «cronotopi», passando per le «piramidi» degli anni Settanta, per le opere postmoderne del decennio successivo e per le Light Progressions degli anni Novanta fino ad arrivare agli esiti più recenti, la Vigo ha percorso una traiettoria peculiare in cui la luce è diventata metafora della leggerezza, della purezza e della spiritualità, «dando l’idea di uno spazio», come ama sottolineare la stessa artista, «che continua all’infinito, anche dentro noi stessi».