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Le case vuote di Ettore Sottsass
Adelphi pubblica l’ultimo volume della trilogia curata da Matteo Codignola
Elio Schenini
Tra gli innumerevoli titoli di merito che si possono ascrivere alla lunga e intensa attività editoriale di Roberto Calasso, figura tra le più intellettualmente indipendenti e colte del panorama culturale italiano degli ultimi sessant’anni venuta a mancare lo scorso luglio, vi è anche la decisione di includere gli scritti di Ettore Sottsass nel catalogo Adelphi. Una decisione che risale al 2009, quando a un anno dalla morte del grande designer italiano apparve, per i tipi di Adelphi, Foto dal finestrino, un volumetto che raccoglieva gli interventi di Sottsass per l’omonima rubrica di «Domus» che Stefano Boeri gli aveva affidato alcuni anni prima.
Ma quel libricino semplice, eppure prezioso, per il modo in cui testo e immagini dialogavano tra di loro, non era che il prologo di un evento editoriale ben più importante: la pubblicazione, avvenuta l’anno seguente, dell’autobiografia Scritto di notte. Pubblicato nella Collana dei casi, questo libro, che ha rivelato al grande pubblico l’indiscutibile talento letterario di Sottsass, è a tutti gli effetti uno di quei «libri unici», di quei libri che hanno il «suono giusto», tanto amati da Roberto Bazlen che di Adelphi era stato uno dei fondatori nei primi anni Sessanta. Ma proprio perché si trattava di un libro veramente «unico» da tutti i punti di vista, ancora prima che andasse in stampa apparve subito chiaro che la presenza di Sottsass nel catalogo adelphiano non poteva rimanere un unicum e infatti già in terza di copertina di quel volume si annunciava la futura pubblicazione delle sue opere principali.
Oggi, a distanza di una decina d’anni, possiamo dire che l’obiettivo espresso in quell’annuncio è stato finalmente portato a compimento. È infatti appena uscito nella Piccola Biblioteca Adelphi, con il titolo Di chi sono le case vuote?, il terzo e ultimo volume di una trilogia, curata da Matteo Codignola, che raccoglie un’ampissima selezione di scritti, sia editi che inediti, prodotti da Sottsass nel corso di tutta la sua vita. Questo terzo volume, che comprende gli scritti realizzati tra gli anni Settanta e gli anni Duemila, si affianca così ai due precedenti, Per qualcuno può essere lo spazio del 2017 e Molto difficile da dire del 2019, non solo offrendo un’alternativa all’ormai introvabile antologia di scritti pubblicata da Neri Pozza nel 1992, ma soprattutto ampliandola notevolmente.
Così come nelle pagine di quello che l’hanno preceduto, anche in questo volume si alternano testi di vario tipo e natura: saggi per cataloghi di mostre, articoli apparsi su riviste, conferenze e racconti. Eppure al di là del loro carattere variegato, tutti questi scritti dimostrano ancor oggi una freschezza e una vitalità sorprendenti e soprattutto la capacità di sopravvivere alla loro origine non di rado occasionale. E questo perché Sottsass non è stato solo un designer, un architetto e un fotografo, ma anche uno scrittore. E basta averne lette poche pagine per capire che si tratta di un grande scrittore.
L’evoluzione della sua scrittura deve molto al lungo sodalizio con Fernanda Pivano
Se i suoi esordi letterari si collocano nei primi anni Quaranta, l’evoluzione della sua scrittura deve molto al lungo sodalizio con Fernanda Pivano, che è stata la sua prima moglie e grazie alla quale Sottsass ha avuto modo di entrare in contatto fin dagli anni Cinquanta con la letteratura americana e con la cultura della beat generation. È infatti anche grazie a questi apporti che si è venuta costruendo quella sua voce particolarissima, quel suo gusto per un’affabulazione monologante attraverso la quale possiamo immergerci in un pensiero liquido, intrinsecamente magmatico, che come materia incandescente si divide nei rivoli di continue digressioni ma che nello stesso tempo riesce a conservare il senso di una precisa e limpida unitarietà. Certo, il design e l’architettura sono temi ricorrenti nei suoi scritti, temi dai quali Sottsass continuamente parte oppure ai quali continuamente ritorna, ma non in maniera astratta o teorica bensì radicandoli nell’osservazione precisa di ciò che lo circonda, nell’esperienza di una quotidianità che è fatta di lavoro, di viaggi e di memoria.
Quello che vediamo all’opera nei suoi scritti è un pensiero mosso da una costante tensione etico-politica, che non si lascia soffocare nell’angustia dei propri confini disciplinari ma che si apre verso tutto ciò che lo attornia, contaminandosi e ibridandosi con le realtà, anche quelle più disparate e triviali che il suo occhio attento, al contempo ironico e malinconico, scandaglia con impietosa attenzione.
Come in un testo intitolato Cucine, apparso inizialmente sulla rivista «Terrazzo» che lui stesso aveva fondato (perché, detto per inciso, oltre a tutte le attività che abbiamo già ricordato Sottsass è stato anche l’editore di alcune riviste di culto quali «Pianeta fresco»). Un brano intenso che, senza scivolare nel pastiche, è al contempo narrazione autobiografica, divertito pezzo di costume sulle abitudini della società dei consumi, rievocazione nostalgica della realtà rurale del Tirolo dei primi decenni del Novecento, lucida analisi sociologica e antropologica del rapporto tra l’uomo e il cibo e infine riflessione sulle trasformazioni che ha subito l’organizzazione architettonico-spaziale di questo locale della casa.
In questo tentativo di tenere tutto assieme c’è l’essenza della scrittura di Sottsass. Del resto, per il padre del controdesign, il design non si è mai identificato con la produzione di oggetti più o meno belli e funzionali attraverso i quali alimentare la produzione industriale e quindi la società dei consumi, ma è sempre stato, come ricordava lui stesso, un modo per «discutere la vita». Quella vita che ci vede continuamente in viaggio verso «deserti, foreste, fiumi, valli montagne, città, dove ci sono ruderi da vedere, metafore da interpretare, yantra da percorrere e poi odori e vento, luci notti, colori, pesi, e suoni, e tutto, per finire dentro un orgasmo d’amore per la vita, dentro un lunghissimo orgasmo di nostalgia».