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Alle origini dei legionari della droga

In Marocco alla ricerca delle storie dei componenti delle bande attive anche nei boschi al confine con il Ticino
/ 24/07/2023
Andrea Galli

Conseguenza della combustione della polvere da sparo, le minuscole particelle fuoriescono dalla bocca della pistola, si raffreddano a contatto con l’aria assumendo forma sferica, si espandono sullo sparatore – dorso delle mani, naso, pieghe dei vestiti – così come sulla vittima ammesso che essa non sia lontana, e quindi si depositano nell’ambiente sostando poche ore.

Quei cadaveri ignoti

Nei boschi lombardi della droga, specie al confine con il Canton Ticino, da mesi giacciono cadaveri ignoti devastati dal freddo, poi dal caldo e torturati dagli animali selvatici. Forse un giorno questi cadaveri saranno scoperti dal cane d’un cacciatore, dai cercatori di funghi, da bimbi a passeggio sui sentieri insieme alle loro mamme e ai loro papà. Forse nell’autopsia il medico legale scoverà pallottole incastrate nei corpi che in precedenza avevano colpito cuori e polmoni, cervelli e arterie, interrompendo subito la vita oppure originando lente agonie, il sangue che colava sulle radici degli alberi e l’ossigeno che cessava di rifornire la testa; ma di sicuro un carabiniere o un poliziotto costruirà la sua indagine ipotizzando l’ennesimo regolamento di conti tra pusher divenuti rivali.

Si predicano fratelli e lo sono – le stesse origini nella regione di Béni Mellal-Khénifra, entroterra marocchino, gli stessi Paesi, le stesse scuole elementari – ma fin quando il denaro non attacca a girare vorticosamente. Allora si scannano: verbo necessario per registrare la progressione feroce delle bande della droga. «In considerazione della crescita numerica e degli arsenali dei gruppi, e contando gli omicidi finora avvenuti, abbiamo la ragionevole certezza che vi siano state altre esecuzioni, quante non si sa, ma senza dubbio avvenute», conferma un investigatore.

Eppure da qui, dall’altra parte, dal punto di partenza, insomma dal Marocco, al solo nominare le faide intestine tra connazionali, tra identici spacciatori, appunto tra fratelli, riceviamo sguardi rabbiosi che azzerano in un niente il credito accumulato avendo noialtri lavorato di fonti, ganci, amici degli amici di conoscenti che ci hanno permesso di girare e chiedere.

Manca il vertice

La geografia giusta, anzi ineludibile, poggia su un’unica strada, non larga, che attraversa il villaggio di Ouled Youssef, e attorno alla quale si susseguono le bancarelle dei macellai, dei contadini, dei venditori di vestiti, e il Café Duomo. L’insegna è un evidente omaggio al passato milanese del gestore, un omino scattante che interrogato sul tema della droga attacca perfino a vantarsi dei sette anni nel carcere di Opera, di quando e come veicolava significativi carichi di cocaina, delle case popolari in periferia che servivano come basi, salvo però innervosirsi alla richiesta – ed eccoci – sul perché mai, a un certo punto, anziché muovere tutt’insieme uniti e pertanto più forti, certamente sempre operando contro la legge – ma non è, capirete, l’ambito per dibattiti sulla morale – i pusher finiscono per darsi addosso. Forse per l’assenza di una struttura organizzata e verticistica con «norme» di comportamento? Forse perché alla lunga questa della fratellanza è una gran balla? «Salutami Milano», dice il gestore del Café Duomo. «Io a Milano dirò grazie in eterno, mi ha fatto ricco».

Il PIL del male

Ha detto un investigatore esperto di delinquenza internazionale che in Italia si provvede al PIL, il Prodotto Interno Lordo, del male, nel senso che in Italia si ospita (anche) qualunque straniero non abbia voglia di faticare, persegua i propri comodi sulla pelle del prossimo, metta da parte denaro per sé, i figli e i nipoti, e rimpatri per trascorrere una bella vecchiaia benedicendo l’impunità avuta nella Penisola. Vero però che a camminare per Ouled Youssef, uno dei principali punti di reinvestimento dei capitali della droga, schivando galline, instabili motorette scoppiettanti e folate di vento più che afoso, s’innesca il seguente fenomeno: si fanno avanti rispettosi anziani che vogliono raccontare un’altra storia. Quella dell’emigrazione sofferente di muratori, imbianchini, i famosi «vu cumprà» che inizialmente vendevano tappeti ma all’occorrenza commerciavano sui marciapiedi accendini, sigarette, calze, magliette, e poi operai, magazzinieri, custodi, giardinieri. Decine di migliaia di persone che hanno rappresentato e rappresenteranno l’enorme maggioranza.

Pullman sospetti

E però, di ritorno nel Café Duomo, il gestore, non si capisce se per scherzo oppure per sfida, se non per trappola, propone il trasporto di panetti di cocaina in Italia garantendo un sostanzioso anticipo cash – il resto alla consegna – e predicando la facilità della missione: basta infilarsi su una delle corriere che in tre giorni vanno a Tangeri, attraversano la Spagna e sbucano in Liguria. «Alla dogana – dice – gli spagnoli non possono fermare tutti i pullman e mettersi lì a controllare ogni passeggero… Ci sono autisti svegli che sanno dove nascondere la droga».

I marocchini, ricambiati, detestano i tunisini che considerano infidi a prescindere, e i francesi: negli infiniti posti di blocco della Royal Gendarmerie c’è stata infatti una premessa, appena abbassato il finestrino, che definiva i successivi tempi d’attesa: «Sei francese?». Con gli spagnoli, invece, al netto dello scontro diplomatico relativo al passaggio dei profughi tra Nordafrica ed Europa, i rapporti sono buoni in quanto funzionali. Molti degli spacciatori ricercati a Varese sono latitanti specie in Andalusia dove hanno reti, appoggi, fornitori di armi.

«Madame cocaina»

Un sistema consolidato raggiunto anche da parte di uno degli ultimi che si è sottratto alla cattura. Componeva la banda autrice del massacro di un 24enne che aveva osato derubare i complici di 30mila euro in contante e dosi. Nonostante la distanza, i traffici del latitante non sono mai diminuiti: merito della fidanzata che svolgeva ruoli da contabile, organizzatrice, che riforniva i «soldati» nascosti nelle radure e addetti alla vendita diretta, che verificava lo stato delle armi, monitorava le mosse dei concorrenti, esplorava colline e monti alla ricerca di nuovi luoghi di smercio.

È la prima donna con un ruolo da protagonista nella narrazione delle bande della droga. Un’anomalia, a considerare il maschilismo imperante di un popolo nato sulle leggi coraniche. Il soprannome della donna è «Madame cocaina». Arrestata, pernotta in cella. Parlerà tradendo l’innamorato e la banda? O forse che, con lei, ventenne, si sta configurando una nuova regina del crimine che genererà emulatrici e addirittura cambiamenti nella società marocchina?

 

(2. continua; la prima puntata, Giovani analfabeti e disposti a tutto per denaro, è apparsa sull’edizione del 17 giugno 2023).