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Dove e quando

Casorati, Milano, Palazzo Reale, fino al 29 giugno 2025. Orari: ma, me, ve, sa e do 10.00-19.30; gio 10.00-22.30; lunedì chiuso.Info: www.palazzorealemilano.it


Vellutate curve e altre forme di intransigenza

La pittura di Casorati e la centralità del nudo come campo di resistenza all’avanguardia spettacolare e alla censura borghese
/ 21/04/2025
Elio Schenini

Sarà che quando abbiamo visitato la mostra di Felice Casorati a Milano avevamo ancora nelle orecchie le recenti esternazioni di Trump che hanno sdoganato anche nel mondo tradizionalmente prudente e felpato della diplomazia internazionale la volgarità irridente, brutale e oscena dello slang, ma aggirandoci nelle sale di Palazzo Reale non abbiamo potuto fare a meno di notare la frequenza con la quale l’artista nato a Novara nel 1883 ha indugiato, nei suoi nudi, proprio su quella parte anatomica che secondo il presidente americano i leader di mezzo mondo farebbero la fila per baciargli dopo la minaccia dei dazi.

La duplice rotondità vellutata delle natiche è in effetti un motivo plastico privilegiato della pittura casoratiana e fa la sua comparsa già in alcune opere degli esordi. Lo si ritrova, ad esempio, in quelle Signorine del 1912 che, come ha giustamente osservato Lionello Venturi, è indubbiamente il suo quadro migliore del periodo che precede la Prima Guerra Mondiale. Nella versione iniziale di questo dipinto, le natiche nude di una delle quattro figure femminili che vi campeggiano in primo piano si riflettevano nello specchio ovale posto dietro i suoi piedi, costituendo un preciso riferimento a uno degli armigeri che affiancano il Santo nelle quattrocentesche Tentazioni di Sant’Antonio di Bernardo Parentino, come riferito dallo stesso artista all’amico Pietro Gobetti. Il senso della decenza d’inizio Novecento non era però quello dell’America di oggi, per cui, quando, dopo essere stata esposta alla Biennale del 1912, l’opera venne acquistata per la collezione di Cà Pesaro da Nino Barbantini, Casorati fu costretto a modificare il dipinto, attenuando la scandalosa rotondità dell’efebico ma prorompente «fondoschiena» riflesso nello specchio (della versione iniziale rimane testimonianza grazie a una fotografia).

La centralità e la fedeltà al genere del nudo, quasi esclusivamente femminile, che attraversa tutte le stagioni della pittura di Casorati se da un lato riflette il confronto con il vero che ha luogo nell’intimità e nella solitudine dello studio (non a caso è proprio questo il titolo di uno dei suoi capolavori che andrà perso nell’incendio del Glaspalast di Monaco nel 1931), dall’altra è frutto di un costante dialogo che l’artista intrattiene con i grandi modelli della storia dell’arte, partendo da Botticelli e arrivando fino a Ingres e Cézanne. D’altronde, come scriveva nel 1940 Albino Galvano che di Casorati era stato allievo, il nudo gli offriva «una forma elementare, categorica, simile a quella delle scodelle, delle uova e dei libri» e soprattutto «la possibilità di un tono uniforme e di un insieme di linee ellissoidali» che sono una costante della sua pittura. Ecco, tra le linee ellissoidali, così tipiche della pittura di Casorati, accanto alle scodelle vuote e alle uova vanno indubbiamente collocate anche le natiche femminili che non a caso coincidono con il fulcro compositivo di alcuni tra i suoi dipinti più importanti come Meriggio del 1923, Concerto del 1924, Ragazze dormienti del 1927, Donne del 1926-27.

Eppure, la sensualità levigata e morbida di queste forme tondeggianti non sembra aver colpito particolarmente la pruderie dei suoi contemporanei, visto che l’accusa che gli veniva rivolta era quella di praticare una pittura cerebrale, decorativa e, aggettivo che più di ogni altro gli dava fastidio, neoclassica. Come ricorda lo stesso Casorati nei suoi pochi scritti, quasi sempre modulati su un calibratissimo registro narrativo, la sua pittura spesso accusata di arcaismi e passatismi, nasceva in realtà da un’aspirazione alla modernità che però rifiutava quelle che lui considerava le facili strade delle avanguardie, in particolare la ricerca fine a se stessa del nuovo e lo sperimentalismo esasperato che considerava unicamente una conformistica e provinciale adesione alle mutevoli parole d’ordine imposte dal frenetico susseguirsi degli ismi.

Per lui era più importante cercare le possibilità di un rinnovamento della pittura restando dentro la tradizione, ossia rimanendo fedele all’essenza immutabile dell’atto pittorico. Allo stesso tempo però Casorati non era nemmeno interessato – è sempre lui a dirlo – «ai pittori legati a un passato sempre più lontano, che si adagiano pigramente su schemi scontati, su ritorni, su restaurazioni, su ripetizioni inutili e noiose». Da questo suo intransigente rifiuto a fare gruppo sia con gli uni sia con gli altri deriva l’impressione di una solitudine e di un isolamento dell’artista nel contesto italiano, che sono veri solo in parte. Negli anni Venti, infatti, anche se rimase sostanzialmente autonoma, la sua pittura venne iscritta e ottenne importanti riconoscimenti a livello europeo nel contesto di quelle ampie e variegate tendenze che pur avendo tratti comuni hanno preso nomi diversi quali Metafisica, Realismo magico, Neue Sachlichkeit.

Per arrivare agli spazi silenti, all’aria tersa e alle figure immote e assorte dei suoi capolavori degli anni Venti, Casorati aveva però dovuto lottare a lungo con se stesso, recuperando il valore plastico della linea dai grandi protagonisti del Rinascimento toscano, da Masaccio a Botticelli a Piero della Francesca. Alla pittura, Casorati si era infatti avvicinato da autodidatta nei primi anni del Novecento – dopo aver abbandonato lo studio della musica che gli aveva causato una grave malattia nervosa – dimostrando fin da subito una facilità di esecuzione e un virtuosismo non comuni. Paradossalmente fu proprio contro questa sua facilità che fu costretto a lottare per tutta la vita. Il naturalismo iniziale rischiava infatti di scivolare facilmente in un puro esibizionismo tecnico e in un estetismo vuoto che non a caso lo fecero accostare da molti critici a uno dei trionfatori delle Biennali di quegli anni: lo spagnolo Ignacio Zuolaga.

La scoperta delle avanguardie europee, in particolare della Secessione viennese, negli anni veronesi quando si legò alla cerchia degli artisti raccolti attorno a Cà Pesaro, lo portò poi a sviluppare per breve tempo un linearismo lirico, spettrale e decadente, in cui si avvertono forti le suggestioni di Klimt, ma anche di Kandinsky e di Adolfo Wildt. Pure in questa fase però la tentazione della decorazione, come riconosceva lo stesso Casorati, continuava a incombere sulla sua pittura. L’antidoto gli fu infine offerto dall’approdo nel primo Dopoguerra a una pittura in cui la linea definiva volumetrie semplificate ma precise, neo-quattrocentesche, che la luce avvolgeva in un’atmosfera sospesa, magica e modernissima. Nell’arco di un decennio, quello della grande stagione casoratiana, videro così la luce in rapida successione una serie notevole di capolavori, tra scene d’interni, ritratti e nudi femminili, le cui precise e setose forme ellittiche, queste sì, varrebbe la pena, almeno idealmente, mettersi in fila per baciare.