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Intanto picchiatori e criminali si mescolano agli studenti, veri e finti

Le proteste in Serbia sono iniziate dopo il crollo della tettoia della stazione di Novi Sad, una città nel nord del Paese, che ha causato la morte di 15 persone. Era il 1° novembre 2024 e la struttura era appena stata ricostruita grazie ai fondi ottenuti dalla Cina nell’ambito della Belt and road initiative, ovvero la Nuova via della seta. «All’inizio erano gli studenti a manifestare contro la corruzione che ha causato quel disastro e contro il Governo che cercava di insabbiare le indagini», ricorda Massimo Moratti. Tra gli slogan appunto: «La corruzione uccide».

Il malcontento è dilagato di mese in mese, coinvolgendo larghi strati della società. «Ad essere messo in dubbio ora è tutto il sistema al potere in Serbia, impregnato di clientelismo e malaffare. Si chiede il rispetto della Costituzione e il ripristino dello stato di diritto, delle regole democratiche». Intanto le manifestazioni diventano sempre più imponenti, si è visto il 15 marzo con quella, oceanica, che si è svolta a Belgrado.

«Evento peraltro a più riprese ostacolato, con autobus soppressi e treni cancellati», fa notare Moratti. «Ma non solo: l’aspetto più preoccupante dei giorni precedenti è stata la creazione di una tendopoli improvvisata nel Pionirski Park di fronte alla Presidenza, a poche decine di passi dal Parlamento, il luogo designato per la protesta del 15 marzo. Le persone accampate erano, secondo le informazioni ufficiali, gli “studenti che vogliono imparare”, conosciuti anche come “studenti 2.0” e che, in contrasto al movimento delle piazze, hanno come unica richiesta quella di tornare nelle aule. La loro presenza è stata subito notata e sono stati ricevuti dal presidente Vučić e – a partire da domenica 9 marzo – tali gruppi hanno cominciato ad ingrossarsi.

Più gente arrivava e più era chiaro però che non si trattava di studenti ma “comparse” pagate per far numero e presidiare lo spazio. La situazione è divenuta ancora più inquietante quando nel parco sono comparsi giovani nerboruti ultras e i “berretti rossi”, i veterani della JSO, la famigerata unità per le operazioni speciali che dopo aver operato in Croazia e Bosnia Erzegovina, ai comandi dei criminali di guerra Stanišić e Simatović, si è resa responsabile del tentato colpo di stato in Serbia nel 2001 e dell’omicidio del primo ministro Đindić nel 2003». Anche picchiatori e criminali, insomma, schierati dalla parte del presidente alla luce di un sistema basato sul clientelismo e sulla corruzione.


«In Serbia lo scontro continuerà ad oltranza»

Rimpasto di Governo o nuove elezioni non calmeranno gli animi dei manifestanti che chiedono giustizia e il ripristino dello stato di diritto. Lo afferma l’esperto Massimo Moratti di stanza a Belgrado
/ 24/03/2025
Romina Borla

Che aria si respira in Serbia, dove continuano le proteste contro la corruzione, la poca trasparenza e l’autoritarismo del Governo Vučić? «La frustrazione e la rabbia dei manifestanti continua a crescere, mentre le autorità non sembrano voler modificare la rotta intrapresa», afferma Massimo Moratti, corrispondente da Belgrado dell’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa (www.balcanicaucaso.org).

Dopo l’imponente manifestazione del 15 marzo nella capitale, il Parlamento serbo ha confermato le dimissioni che il primo ministro Miloš Vučević aveva presentato il 28 gennaio, in seguito a gravi incidenti avvenuti a Novi Sad, a margine delle proteste degli studenti (leggi box in basso). Il presidente Aleksandar Vučić ha dichiarato che, se non si troverà un accordo per formare un nuovo Governo entro trenta giorni, indirà elezioni anticipate. Sarebbero le seconde elezioni parlamentari in Serbia nel giro di un anno e mezzo, dopo quelle del dicembre del 2023 vinte dal Partito progressista serbo, il partito conservatore e nazionalista di Vučić e Vučević.

«Nessuna di queste soluzioni risolverà la crisi purtroppo», osserva Moratti. «Sono anni che la Serbia scivola verso un regime autoritario e populista, sul modello del sistema ungherese. Un rimpasto di Governo non normalizzerà questa situazione anomala». In caso di nuove elezioni? «Non ci sono i presupposti affinché queste avvengano nel rispetto dello stato di diritto». Già il voto del 2023 era stato contestato ed erano emerse accuse di brogli. Dal canto suo, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Ocse) aveva evidenziato «vantaggi sistemici del partito al potere», «parzialità dei media» e «pressioni sui dipendenti pubblici». «Addirittura si racconta di liste elettorali non aggiornate, dove figurano cittadini ormai deceduti», aggiunge Moratti. «Si rende dunque necessario un cambiamento sistemico se si vuole scongiurare il rischio di manipolazioni e risultati falsati», un cambiamento che richiede intenzione, sforzi e molto tempo.

In caso di elezioni parlamentari nei prossimi mesi, dunque, è molto probabile che l’opposizione – un insieme di persone variegato e piuttosto disorganizzato – le boicotti, osserva l’intervistato. Intanto i giovani continuano a chiedere il ripristino dello stato di diritto, della democrazia e delle libertà fondamentali. «Richieste molto semplici ma altrettanto complesse in una realtà come la Serbia: uno “Stato prigioniero” (captured State) in cui il partito di Vučić condiziona ogni ambito di vita. Il partito si è infatti infiltrato in tutte le istituzioni, le categorie professionali, i media ecc. ed è a questo che la gente si sta ribellando».

Va notato però che l’adesione alle proteste, seppur massiccia, spesso divide le varie organizzazioni, osserva Moratti. Per esempio, solo una parte dei sindacati sostiene i manifestanti e solo una minoranza dei giudici. «Questo indica l’esistenza di una spaccatura verticale nella società serba. Nonostante il dissenso si stia espandendo, molti settori della società esitano a schierarsi apertamente contro il Partito progressista serbo. La situazione si spiega considerando la diffusione capillare del sistema di favoritismi e scambi instaurato dal potere allo scopo di ottenere principalmente sostegno elettorale. Se non appoggi il partito di Vučić, insomma, puoi perdere lavoro e privilegi. Molti hanno ancora paura, ma le cose stanno cambiando…». Tante persone alzano la testa.

Vie d’uscita? Per il nostro interlocutore non ce ne sono molte. «L’opposizione ha proposto la costituzione di un Governo di transizione composto da esperti, con la partecipazione degli studenti, che ponga le basi per elezioni libere. Più controlli sulla legalità, liberalizzazione dei media ecc. Ma il presidente Vučić ha risposto: “neanche morto”. La situazione rimane quindi bloccata. Lo scontro continuerà anche perché, il possibile uso del cannone sonico durante la manifestazione del 15 marzo, dà una spinta ulteriore nella direzione della perdita di fiducia nel potere e nelle forze dell’ordine e aumenta la rabbia, la frustrazione dei cittadini e delle cittadine». Il cannone sonico, per chi non lo sapesse, è un dispositivo che emette onde sonore ad alta frequenza: può essere usato per disperdere le folle causando effetti nefasti quali dolore, nausea e disorientamento nelle persone.

L’Europa intanto rimane in posizione defilata. Ha chiesto di avviare un’indagine indipendente sul possibile uso del cannone sonico da parte delle autorità serbe. E si limita a punteggiare alcuni aspetti importanti: il rispetto dei diritti umani, la libertà dei media e di protestare ecc. Non ha preso una posizione politica in merito alla situazione nel Paese. «Forse questo è anche un bene», dice Moratti. «L’appoggio dell’Europa rischiava di spaccare il movimento. Dopo 20 anni dall’avvio del processo di adesione all’Unione europea, in Serbia si verifica infatti un calo costante di chi è favorevole allo stesso. L’Europa è vista sempre più come una meta irraggiungibile, nonché un’entità che continua a “fare affari” con Vučić», vedi ad esempio la firma di un memorandum per un partenariato strategico sulle materie prime, soprattutto litio, nel luglio 2024. Da notare che Vučić gode del sostegno di Vladimir Putin. Stando al servizio stampa del Cremlino, infatti, il leader russo gli ha di recente telefonato sottolineato «l'inammissibilità di interferenze esterne nella situazione politica interna della Serbia» e «ha espresso sostegno alle azioni delle autorità elette legalmente».

Restando con gli occhi puntati ad est si vede come i problemi della Serbia – corruzione, malaffare – siano diffusi e creino malcontento nella popolazione. Pensiamo solo alla Macedonia del nord: di recente sono morte una sessantina di persone e 150 sono rimaste ferite a causa di un rogo divampato in una discoteca di Kocani, cittadina a un centinaio di chilometri a est della capitale Skopje. Locale che registrerebbe numerose irregolarità e sarebbe stato sprovvisto delle più elementari misure di sicurezza. Senza contare la falsa autorizzazione ad operare rilasciata alla società responsabile…

Un caso che incendia un’opinione pubblica che è già scesa in piazza per una ragazza investita sulle strisce pedonali da un giovane ubriaco, con precedenti, che se l’è sempre cavata con poco. Le rivendicazioni si sono poi allargate all’intero sistema giudiziario che, secondo chi protesta, regala l’impunità ai colpevoli. Come in Serbia, la corruzione uccide. «Bisogna vedere come risponderanno gli organi di giustizia in Macedonia», commenta Moratti. «Se le indagini sul rogo in discoteca non verranno ostacolate, come nel caso di Novi Sad, la crisi potrebbe essere contenuta». Altrimenti anche qui il malcontento potrebbe divampare.