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«Molte rinunciano a far valere i propri diritti»
In Ticino sono poche le azioni giudiziarie promosse annualmente sulla base della Legge sulla parità dei sessi, tra i motivi di questa situazione anche quelli economici, oltre alla paura di ritorsioni e ai tempi lunghi delle procedure
Romina Borla
Settimana scorsa, in apertura di giornale, abbiamo parlato della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) – che compie 30 anni – e «mira a promuovere l’uguaglianza effettiva fra donna e uomo» nel mondo del lavoro, vietando ogni forma di discriminazione basata sul genere. Come licenziamenti al rientro dal congedo maternità, molestie sessuali, discriminazioni al momento dell’assunzione o in caso di promozione, differenze di salario ecc. Tutte situazioni che regolarmente si presentano anche alle nostre latitudini, e non risparmiano nessuna categoria professionale. Ma sono davvero poche, in Ticino, le azioni giudiziarie promosse annualmente sulla base della LPar (nessuna nel 2021, 4 nel 2022, 5 nel 2023 e nel 2024, secondo i dati della Divisione della giustizia) e in tanti altri Cantoni la situazione è simile.
È anche una questione di denaro? «Certamente», osserva Nora Jardini Croci Torti, avvocata di Equi-Lab, un servizio di consulenza in materia di conciliabilità e pari opportunità con sede a Lugano (www.equi-lab.ch). «Fare valere i propri diritti è sempre più difficile se non si dispongono di mezzi adeguati, anche se c’è la possibilità di chiedere un sostegno finanziario…». Ma facciamo un passo indietro. «La LPar – dice l’esperta – si applica sia ai rapporti di lavoro nel settore pubblico sia a quelli nel settore privato. Chi lavora in un Comune o per il Cantone può rivolgersi all’Ufficio di conciliazione (sede a Bellinzona), che ha il compito di tentare di conciliare le parti in un’udienza informale, spiegando loro la situazione giuridica. Se non si riesce a trovare un accordo, la palla passa nelle mani dell’istanza superiore che può essere, a seconda dei casi, l’autorità di nomina, il Consiglio di Stato o il Tribunale cantonale amministrativo». Lavorando in un’azienda privata, l’istanza all’Ufficio di conciliazione è consigliata ma non obbligatoria, si può passare direttamente alla causa in Pretura (del luogo di lavoro o di domicilio di chi presenta l’istanza). Nel caso in cui si trovi un accordo in conciliazione – di solito si tratta di un’indennità – la procedura si chiude. Altrimenti l’Ufficio di conciliazione rilascia alla/al dipendente l’autorizzazione ad agire entro 3 mesi per promuovere la causa vera e propria in Pretura. Dopo la sentenza in prima istanza, si può ricorrere in Appello e rivolgersi infine al Tribunale federale.
Per quanto attiene ai costi di giustizia: la procedura di conciliazione LPar è gratuita, sottolinea Jardini Croci Torti. Analogo discorso per la procedura di merito. Rimangono da considerare i costi dell’avvocato/a ed eventuali ulteriori spese necessarie causate dalla lite, chiamate ripetibili. «Noi di Equi-Lab possiamo accompagnare le lavoratrici in conciliazione, applicando tariffe agevolate poiché siamo sussidiate dal Cantone: dai 50 franchi all’ora in su, in base al reddito. Gli/le avvocati/e attivi/e sul nostro territorio chiedono invece dai 250 franchi all’ora… È difficile dire quanto può costare una procedura LPar: dipende dal tipo di controversia, dal numero di udienze necessarie ecc. Si va dai 2-3 mila franchi ai 10-15 mila». Solo in caso di vittoria questi soldi possono essere totalmente o in parte recuperati tramite il pagamento delle ripetibili da parte della controparte. Chi non può permettersi di sostenere l’impegno finanziario – spiega la nostra interlocutrice – può richiedere, ad ogni stadio della procedura, il beneficio dell’assistenza giudiziaria mediante domanda scritta e motivata, alla quale devono essere allegati tutti i documenti giustificativi (vedi Legge sul patrocinio d’ufficio e sull’assistenza giudiziaria). La persona deve insomma dimostrare al giudice competente di essere davvero indigente, e la causa deve avere buone probabilità di successo. Proviamo solo ad immaginare il disagio se non l’angoscia – amplificati dall’attesa/speranza di un sì – di una donna già provata da una situazione gravosa sul posto di lavoro. Se il giudice, comunque, accoglie la domanda di sostegno, lo Stato si assume i costi della procedura LPar, almeno in un primo tempo. Infatti la persona beneficiaria dell’assistenza giudiziaria è tenuta a rifondere al Cantone gli importi versati quando il miglioramento della sua situazione economica lo permette. Quello che è sicuro, afferma Jardini Croci Torti: «L’incertezza in merito ai costi può portare molte lavoratrici alla rinuncia ad intraprendere un’azione giudiziaria».
Spesso e volentieri a questo fattore si aggiunge il timore di venire licenziate/i o di subire ripercussioni sul posto di lavoro attuale oppure in eventuali impieghi futuri. Ha affrontato pesanti conseguenze una signora di nostra conoscenza che, da molti anni, «combatte» contro quello che è rimasto il suo datore di lavoro «spendendo un patrimonio, non lontano dai 50 mila franchi». «Me lo diceva il mio avvocato: bisogna avere tanta pazienza e le spalle larghe. Se non cambi lavoro, poi, devi aspettarti ogni genere di ritorsione. Per fortuna ho un compagno e dei colleghi solidali ma non è per niente scontato». Per ora la dipendente ha vinto in Appello; la controparte deve decidere se rivolgersi o meno al Tribunale federale. «Non molla, anche perché forse non vuole creare dei precedenti pericolosi…». Ma nemmeno lei rinuncia alla battaglia, anche per tutte le lavoratrici che verranno dopo.