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«Devo di nuovo dar prova di me»

Sergio Ermotti è il più importante banchiere della Svizzera; in questa intervista ci svela quali lezioni di vita ha tratto dalla sua esperienza di apprendista bancario e perché ha accettato il lavoro più difficile dell’economia elvetica
/ 20/01/2025
Christian Dorer

Sergio Ermotti ha iniziato la carriera come apprendista alla Cornèr Banca di Lugano. Oggi ha il difficile compito di integrare Credit Suisse in UBS. Per svolgerlo, ad aprile del 2023 è rientrato d’urgenza come CEO in UBS, che aveva già guidato per nove anni a partire dal 2011.

Signor Ermotti, lei ha il compito più difficile dell’economia svizzera. Come sono le sue giornate?

Dal lunedì al venerdì mi alzo alle 5.45, due volte alla settimana vado in palestra. Poi in ufficio, dalle dodici alle quattordici ore. È un ritmo intenso, ma il mio lavoro mi piace. Nei fine settimana di tanto in tanto devo lavorare, ma ho anche tempo per rilassarmi.

Quanto spesso è all’estero?

Al massimo per un terzo del mio tempo. Prima del Covid, era circa la metà.

A maggio compirà 65 anni. Potrebbe prendersela più comoda…

Lo avevo già pensato a 60 anni (ride).

Perché è tornato ai vertici di UBS?

È stato un grande onore che il consiglio di amministrazione mi abbia chiesto di tornare in questo momento difficile. Due fattori sono stati decisivi: da una parte ritenevo fosse mio dovere, dall’altra ero attirato dall’idea di contribuire a scrivere uno dei capitoli più importanti dell’industria finanziaria globale.

Non deve più pianificare una carriera né dimostrare niente. Questa condizione le dà indipendenza nel prendere decisioni difficili?

Già quando ero sulla trentina avevo deciso che non sarei sceso a compromessi che violassero i miei principi. E anche se negli anni qualche risultato l’ho già ottenuto, qui devo di nuovo dar prova di me ed è una grande responsabilità.

Quali sono i principi cui accennava?

Dico quel che penso. Mi impegno al massimo. Ho aspettative molto elevate su me stesso e sui nostri team: per me contano prestazioni, comportamento ineccepibile e lealtà. Mi considero parte di un sistema e mi aspetto che tutti e tutte aderiscano a ciò che rappresentiamo come azienda. Tutte e tutti devono contribuire, anche in modo critico, ma alla fine dobbiamo remare nella stessa direzione.

Oggi lei è sul gradino più alto, una volta era su quello più basso: di quel che ha appreso da apprendista cosa le è utile ancora oggi?

Sapere cosa significa partire dal basso. Nutro un’enorme stima per i quasi 130’000 tra collaboratori e collaboratrici della nostra banca.

Quali consigli darebbe a un apprendista che volesse diventare un CEO come lei?

Bisogna avere le giuste capacità e tenacia, lavorare sempre con molta passione, fare le più disparate esperienze, saper uscire di continuo dalla propria zona di comfort e investire molto nella formazione continua. Poi ci vuole coraggio (e molte persone sono brave, ma non coraggiose) e un po’ di fortuna. Non consiglierei a delle persone giovani di voler diventare le numero uno perché se poi la cosa non funziona, c’è il pericolo di vivere nella frustrazione. È meglio porsi l’obiettivo di arrivare alla fine della propria carriera potendo dire di essere soddisfatti di ciò che si è fatto.

L’integrazione del Credit Suisse in UBS è un’impresa titanica. Come sta andando?

Per prima cosa abbiamo dovuto stabilizzare clienti e dipendenti. Abbiamo quindi rimborsato con la massima celerità possibile gli aiuti della Confederazione al Credit Suisse. Poi si è proceduto a integrare tutte le unità aziendali. Per farlo, abbiamo dovuto ottenere 180 autorizzazioni da 80 autorità di regolamentazione in 40 Nazioni diverse! Al momento si sta effettuando la migrazione dei e delle clienti del Credit Suisse sulle piattaforme di UBS. Siamo trasferendo dati per oltre 110 petabyte. Un petabyte equivale a 500 miliardi di pagine di testo standard stampato o a due anni e mezzo di visione ininterrotta di film.

Cosa le crea più fastidi?

Il ritardo nella migrazione IT è la sfida più grande. Vi è poi il problema della discussione a volte superficiale e non basata sui fatti sulle grandi banche: può portare a decisioni che a lungo termine danneggerebbero il nostro Paese.

Molte persone hanno paura di un’UBS troppo grande: cosa accadrebbe se si trovasse in difficoltà?

In primo luogo andrebbe preso atto che UBS è stata parte della soluzione quando il Credit Suisse era allo stremo e l’obiettivo era quello di scongiurare dei danni per la Svizzera. UBS ha un modello di business sostenibile, una capitalizzazione molto robusta e molta liquidità. Ecco perché è riuscita a intervenire.

Nel 2008 lo Stato ha dovuto salvare UBS. Il Credit Suisse è crollato nel 2023. Perché non ci dovrebbe essere una terza volta?

Qualcosa può sempre accadere. Nel complesso, però, le grandi banche hanno imparato la lezione. Nelle crisi, ora sono un fattore di stabilità e non un problema. Il Credit Suisse ha causato la propria crisi da sé, e su questo punto devo essere chiaro: una parte della dirigenza, del consiglio di amministrazione e dell’azionariato ha lavorato male nel corso degli anni. E in più si è consentito che la rigorosa regolamentazione svizzera vigente non venisse applicata con coerenza al Credit Suisse. Tutti questi fattori hanno contribuito al suo tracollo. Ma ora dobbiamo guardare avanti e considerare i fatti e le cifre.

Il totale di bilancio di UBS e Credit Suisse è ora inferiore di circa il 60% rispetto a prima della crisi finanziaria del 2008. All’epoca, l’investment banking rappresentava circa due terzi del bilancio; una volta completata l’integrazione di Credit Suisse, l’investment banking non rappresenterà più del 25% del nostro capitale. UBS dispone ora di un capitale di quasi 200 miliardi di dollari per ammortizzare eventuali perdite, un capitale cioè quattro volte superiore a quello perso negli anni successivi alla crisi finanziaria. Anche se UBS avesse un problema, sarebbe improbabile che i contribuenti perdano un solo franco.

La politica vuole inasprire ulteriormente la regolamentazione. Perché lei è contrario?

Siamo favorevoli a molte delle misure proposte, ma queste devono essere mirate e proporzionate. Imporre un inasprimento generale sarebbe come ridurre il limite di velocità su tutte le strade solo perché un noto automobilista irresponsabile ha causato un grave incidente. La Svizzera non può permettersi di ricadere nella sindrome dell’allievo modello e di introdurre regole che gli altri Paesi non conoscono. Così facendo si indebolisce la piazza finanziaria.

Critiche sono giunte anche dall’industria e dalle PMI, che temono che UBS possa dettare le condizioni se non c’è più una seconda grande banca.

Questo timore è infondato. In Svizzera ci sono più di 200 banche nazionali ed estere. La concorrenza c’è. Alcuni clienti del Credit Suisse devono ora pagare di più per i loro prestiti perché il Credit Suisse ha concesso condizioni troppo basse per poter sopravvivere. Inoltre i tassi di interesse sono generalmente aumentati, i requisiti normativi sono stati innalzati e negli ultimi 18 mesi il contesto economico è cambiato. Tutto ciò non ha nulla a che fare con UBS. Parliamo piuttosto di quel che di buono UBS fa per la Svizzera.

Ad esempio?

Siamo in concorrenza con Londra, Hong Kong e Singapore, ma qui in Svizzera siamo impegnati a creare una piazza finanziaria di ampio respiro con banche cantonali, private e regionali. Facciamo in modo che la Svizzera mantenga la posizione nell’accesa lotta concorrenziale con le altre piazze finanziarie. Grazie al denaro che affluisce in Svizzera, le imprese e i privati ottengono credito a basso costo. Offriamo buoni posti di lavoro e siamo il terzo maggior datore di lavoro privato con oltre 2300 posti di formazione e perfezionamento. L’anno scorso UBS, Credit Suisse e i loro dipendenti hanno versato 2,6 miliardi di franchi di imposte: una cifra pari al costo del nuovo tunnel del Gottardo! Grazie alla nostra forza finanziaria, siamo in grado di investire ogni anno più di 50 milioni di franchi nella sponsorizzazione di formazione, sport e cultura.

Un’ultima domanda: com’è il suo rapporto con la Banca Migros?

Di lunga data: mia madre ha sempre avuto un conto di risparmio alla Banca Migros.